There lived a certain man, in Russia long ago…
Così si apre una delle canzoni più celebri della disco anni ’80, che riassume perfettamente l’idea di Rasputin che permase nell’immaginario collettivo a partire dalla sua morte. Il suo nome è seguito da grande fama quanto da opinioni molto contrastanti. Durante l’ultimo secolo è stato spesso definito con epiteti quali impostore, donnaiolo, profanatore; quasi nessuno si è curato di tracciare un profilo oggettivo di questo fondamentale personaggio storico, in modo tale da bilanciare la negatività che lo perseguitò in vita e che continua a perseguitarlo dopo di essa. “Quasi” nessuno perché effettivamente qualcuno c’è stato: si tratta di Andrej Amal’rik (1938-1980), storico dall’inconsueta biografia, noto soprattutto per i suoi dissidi con il potere sovietico. È l’autore del libro intitolato Rasputin. Il monaco “nero” e la corte dell’ultimo zar, fonte vitale per gli appassionati della vicenda. Tornando proprio a Rasputin, è importante sottolineare l’aggettivo “fondamentale” riferendoci a lui: la sua storia ha avuto conseguenze indirette sugli equilibri dell’intera Europa, grazie all’influenza non indifferente esercitata sulla famiglia reale russa. Curioso notare come il libro di Amal’rik si muova esso stesso tra i generi letterari: è chiaramente una biografia, ma in alcuni punti si avvale di elementi tendenti al romanzo storico, lasciando volutamente calare un velo nelle burrascose vicende del suo eroe. Oggi dedicheremo un articolo a questa querelle, cercando di ribaltare (forse?) quel che si è sempre pensato sul personaggio. Chiaramente un fondo di verità ci sarà anche nella canzone dei Boney M: dopotutto, il mito si sarà pur originato in qualche modo.
Insomma, chi era veramente Rasputin? O meglio, chi era Rasputin prima di diventare Rasputin?
Secondo le fonti di Amal’rik, Grigorij Rasputin nacque attorno al 1863-65 dall’unione di Anna Egorovna (morta prematuramente all’età di ventidue anni) e Efim Andreevič, un agiato contadino di Povroskoe. Povroskoe è un piccolo villaggio della Siberia orientale che, secondo la ricostruzione di Amal’rik, non era lacerato dalla povertà come invece accadeva nel resto dell’impero. Il cognome “Rasputin” non presenta un’interpretazione univoca: sappiamo però che non gli fu dato in seguito alle vicende che caratterizzano la sua storia, le quali si aggrappano al concetto di распуство (raspustvo, “dissolutezza”), ma che lo ricevette semplicemente dal padre al momento della nascita. Allo stesso modo però non si può escludere che il cognome si riferisca proprio alla “dissolutezza” stessa, diventando un appellativo guadagnato dai suoi predecessori. Altre interpretazioni si riferiscono al villaggio di Povroskoe, situato tra due cittadine più grandi e quindi diventando di fatto un распутье (rasput’e, “bivio”), alla figura del распута (rasputa, lett. “saggio in grado di risolvere situazioni intricate”) o al colui che slega le путы (puty, “pastoie”), funi utilizzate per non far allontanare i cavalli dal pascolo. Sin dall’infanzia il nostro protagonista è avvolto nel mistero: si dice beneficiasse del dono della chiaroveggenza, utilizzato nei primi anni per aiutare la comunità, soprattutto nel caso di furti. All’età di diciannove anni si sposa con Praskov’ja Fёdorovna Dubrovina; la donna gli rimarrà sempre fedele, nonostante la vita avventurosa condotta dal marito. Crescendo, Rasputin non si distingue molto dai suoi compaesani nella vita pubblica, che invece lo descrivono come un uomo sporco, sregolato e beone: trasportato dai fumi dell’alcol, era solito rubare legna, rincorrere cavalli e darsi alle orge. Tutto ciò accadde fino al compimento dei suoi ventotto anni, quando qualcosa cambiò la sua vita.
Il 1892 è l’anno del pellegrinaggio a Ekaterinburg, più precisamente al monastero di Verchotur’e. L’uomo che ne tornò non fu lo stesso: Rasputin aveva rinunciato alla carne, al tabacco e all’alcol, si dedicava allo studio dell’antico slavo ecclesiastico e quindi alla preghiera. Diverse sono le teorie riguardo l’avvenimento che durante il viaggio lo portò a questo repentino cambiamento: la figlia Matrёna era convinta fosse dovuto all’apparizione della Madonna di Kazan’ che gli si manifestò; secondo il padre Efim, Grigorij vi si sarebbe recato per sfuggire alla vita agricola; altri sostenevano l’avesse fatto solo per salvarsi dalle inchieste cittadine che gravavano sul suo conto. Qualunque sia stata la ragione (o le ragioni), la svolta fu evidente. Mostrò inoltre, al suo ritorno, dei comportamenti bizzarri: parlava in maniera confusa, a scatti, e il suo umore era estremamente variabile, quasi affetto da un forte bipolarismo.
I pellegrinaggi comunque non si conclusero: arrivò fino a Gerusalemme e visitò in lungo e in largo la Russia nel giro di una decina d’anni. La cosa che lo colpì di più, dopo aver vissuto presso alcuni anacoreti, fu l’”ipocrisia” che incontrò nei monasteri russi: il fatto che i monaci fossero soliti intrattenere dei rapporti con le donne lo turbò molto. Le sue peregrinazioni si protrassero appunto per circa dieci anni; spesso in estate tornava dalla famiglia, occupandosi dei figli come un padre qualunque, giocando e raccontando loro delle sue esperienze. Gradualmente, Rasputin iniziò a raccogliere un certo seguito di fedeli nella preghiera, incuriosendo sempre più la comunità locale.
Occorre a questo punto, tramite un piccolo excursus, mettere al corrente il lettore dell’allora complicata situazione della Chiesa ortodossa russa. Senza addentrarci in profonde analisi politico-religiose che affondano le proprie radici nei secoli XIII e XIV nel bel mezzo del dominio tataro-mongolo (Khanato dell’Orda d’Oro), faremo direttamente riferimento agli avvenimenti del XVII secolo: dopo diversi screzi tra clero e fedeli, si diffuse una corrente che proponeva un riavvicinamento tra le due frange non soltanto tramite il culto, ma anche con l’impiego della parola. Si proposero nuove traduzioni, poiché le precedenti vennero considerate poco affidabili; queste vennero poi approvate dal patriarca Nikon (1605-1681), che intervenne con mano ferma sulle continue diatribe della sua Chiesa. Soppresse alcuni riti, ne confermò altri, quindi ordinò una rilettura linguistica integrale dei testi sacri. Queste decisioni crearono un vero e proprio scisma, dividendo non solo le fazioni in “occidentalisti” e “slavofili”, ma obbligando lo Stato ad intervenire nella questione in qualità di arbitro. Lo zar destituì il patriarca Nikon in favore di uno più flessibile; col tempo il patriarcato venne abolito completamente, portando così lo zar a ricoprire indirettamente la figura di capo della Chiesa (mediante il Sinodo) e rendendo la Russia, di fatto, uno Stato teocratico. Ciò provocò il dissenso di molti credenti, che nel XIX secolo iniziarono a perseguire un concetto di Chiesa indipendente, staccandosi da quella Chiesa “di Stato”. La formazione di “sette” indipendenti non era però cosa nuova, poiché se ne trovano già tracce nel periodo a cavallo tra XVII e XVIII secolo. Una delle più famose fu quella dei хлысты (chlysty), il cui nome probabilmente deriva dalla parola Christy, quindi “di Cristo”, poiché si definivano “gente di Dio”. I seguaci di questa setta credevano che Cristo potesse incarnarsi in ognuno di loro; basavano i loro riti sulla mortificazione del proprio corpo, si lasciavano andare a danze estreme per abbandonarsi alle emozioni, dal momento che secondo loro la vera Chiesa era quella che risiedeva nel cuore dell’uomo.
Tenendo a mente questo contesto, si può affermare che Rasputin riprendesse molte sue concezioni religiose da quella corrente mistico-anarchica che ha portato alla formazione di gruppi come i Chlysty. È fondamentale però anche notare come le sue stesse concezioni fossero spesso in contraddizione tra loro. Questa dualità di pensiero, che comunque riesce a convivere in Rasputin senza annullarsi, si manifesterà, come sarà visibile più avanti, anche nella sua vita, e può essere riassunta sotto il concetto chiave di “lotta contro il demone carnale”.
Lo старец (starec, “vecchio, saggio”, titolo attribuito a chi si occupa di guidare le coscienze; usato poi anche ironicamente dagli oppositori di Rasputin) mostra sin da subito una certa abilità nei rapporti personali con i fedeli, specialmente con le donne, le quali sono in qualche modo fortemente attratte da lui. Si confidano con Grigorij, accettano i suoi consigli e, soprattutto, si lasciano “curare”. Egli non chiedeva nulla in cambio, ma spesso accettava donazioni da parte dei suoi fedeli. La sua “terapia”, nel caso femminile, si basava chiaramente sul contatto fisico di natura sessuale, tramite il quale sarebbe stato possibile paradossalmente scacciare il “demone carnale”. Col tempo, Rasputin si rese conto della contraddizione che questa pratica rappresentava, finché non giunse ad una personale “teoria della spassionalizzazione”: il contatto fisico liberava la donna dalle passioni anziché alimentarle; era come se lui si facesse carico di tutte le tentazioni del corpo e dell’anima. Tuttora comunque non è noto se fosse principalmente lui a sedurre le donne che chiedevano il suo aiuto o se fossero loro a concederglisi spontaneamente; con ogni probabilità si verificarono entrambe le ipotesi durante i circa vent’anni in cui fece uso di questa pratica. Senza dubbio la sua fama, soprattutto durante i suoi ultimi anni, lo precedeva: era praticamente un’autorità spirituale, tanto influente da ingraziarsi poi l’intera famiglia reale. Oltre a quest’aura mistica Rasputin, secondo alcune fonti, disponeva di un altro elemento a suo favore: sembrava essere fisicamente molto dotato. Per anni si è attribuito a lui un membro dalla lunghezza di ben 33 centimetri, conservato sotto formaldeide ed esposto al museo di Erotica di San Pietroburgo. Ultimamente, pare che la paternità del pene sia stata smentita, poiché esso si sarebbe rivelato un semplice cetriolo di mare. Ma faccenda resta comunque poco chiara, il che contribuisce ad infittire il mistero sulla personalità e le azioni del “monaco nero”.
Molte sono le testimonianze che descrivono Rasputin come una persona umanamente calorosa, volenterosa di aiutare il prossimo senza cadere in atteggiamenti sprezzanti o di superiorità. Secondo l’autore della biografia, la nomea che Rasputin ancora porta con sé è data da coloro che iniziarono a non gradire la sua presenza e il suo successo negli alti ranghi della società russa; essi non sopportavano l’idea che il “bifolco” si comportasse esattamente come un loro pari. Ad un certo punto fu talmente malvisto che iniziò una vera e propria controffensiva propagandistica nei suoi confronti, che si occupava di raccogliere materiale in grado di compromettere e screditare la sua persona e in secondo luogo anche la famiglia reale. Da qui nasce l’idea, ingigantitasi poi nel tempo, di Rasputin come amante della zarina, di Rasputin come burattinaio di corte e di Rasputin come demone-minaccia per l’intera Russia (basti pensare poi alla successiva rappresentazione dello starec nella cultura di massa, come ad esempio nel film d’animazione Anastasia).
Le cure di Grigorij, fonte principale della sua fama, non erano ovviamente date dai soli intercorsi con le donne (poiché purtroppo, vista la già citata propaganda mossa contro di lui, è solo questo ciò che si tende a ricordare della sua storia), ma anche da testimonianze di guarigioni miracolose da incurabili malattie. Fatto sta che l’ascesa sociale di Rasputin fu ovviamente graduale, considerata la sua origine contadina. Essa iniziò proprio in ambito ecclesiastico, durante quei dieci anni di vagabondaggio religioso. Dopo aver “curato” una certa Bašmakova, ricca vedova di Tobol’sk, viene introdotto a Kazan’ al vicario del vescovato locale, il quale a sua volta lo raccomanda al vescovo Sergij Starogorodskij in persona, rettore dell’Accademia di teologia di Pietroburgo, nonché futuro patriarca Aleksej nel 1943. A Pietroburgo lo precede già la sua fama; stringe subito rapporti con Feofan, futuro vescovo di Poltava, e Trufanov (poi Iliodor), allora studente all’Accademia; conosce inoltre Ioann di Kronštadt, importante figura della Chiesa ortodossa russa, per cui nutre una grande ammirazione. Inserendosi quindi negli ambienti frequentati dall’alta società, ben presto (nel 1905) conosce gli intermediari che lo porteranno a corte: si tratta delle figlie di Nicola del Montenegro, Milica e Anastasija. Milica era sposata con Pёtr Nikolaevič Romanov, nipote dello zar Nicola I, mentre Anastasija, dopo un primo matrimonio, si sposò con il fratello di Pёtr, Nikolaj. Le due sorelle per diverso tempo furono confidenti della zarina, ricoprendo il curioso ruolo di “fornitrici di mistici” di corte. Grigorij ebbe rapporti più duraturi con Milica, la quale nel 1907 lo presentò ad Anna Vyrubova, figlia del capo della cancelleria imperiale e futura confidente della zarina Aleksandra. Con Anna stringe una buona amicizia che perdurerà negli anni di permanenza a corte.
Così Rasputin entra a far parte dei salotti pietroburghesi. Verrà notato soprattutto per il suo “rozzo” aspetto esteriore, poco curato nel vestiario e nell’igiene personale. Negli anni a venire si adatterà relativamente alla moda del momento, ma manterrà comunque molte abitudini “contadine” caratteristiche della sua persona; in ogni caso, le critiche nei suoi confronti colpirono sia le sue abitudini da “bifolco”, sia il suo adattamento all’alta società.
Da questi salotti il passaggio a corte è quasi istantaneo: nel 1906 lo zar cita Rasputin tre volte nel suo diario, parlandone con un certo entusiasmo. Quindi proprio nel 1906 avviene “ufficialmente” il contatto tra la famiglia reale e Grigorij, che viene invitato dagli stessi Zar tramite Stolypin, all’epoca primo ministro dell’Impero. L’invito non fu per niente casuale, poiché Stolypin aveva appena subito un attentato e lo zar e la zarina credevano nei poteri mistici del contadino siberiano. Iniziarono così gli incontri segreti con Nicola II e Aleksandra; essi si svolgevano di nascosto poiché per la famiglia reale vigeva una “legge” di isolamento dalla “bassa” società; ciò alimentò notevolmente la leggenda sui rapporti di Rasputin soprattutto con la zarina. Le due parti si trovano e letteralmente si adorano: Grigorij è un ottimo consigliere, gioca e fa pregare i bambini, ma soprattutto riesce a fermare le emorragie del piccolo Aleksej, erede al trono.
Dal 1908 gli incontri si fanno più frequenti; Rasputin fino a questo momento gode di un’ottima posizione, in equilibrio tra mondo ecclesiastico e politico. Trascorre parte del suo anno a Povroskoe, dove viene visto sia con scetticismo che con grande curiosità e probabilmente ammirazione. Grazie alla sua influenza, si occupa del benessere della sua comunità nativa: aiuta la comunità del villaggio con permessi speciali per il taglio della legna e finanzia la costruzione di ospedali e chiese. Nonostante ciò, parte della popolazione non si fida di lui, soprattutto il clero locale. Dopo aver raccolto “informazioni” sul suo conto, un’estate un certo padre Pёtr lo denuncia, facendo perquisire la sua casa in cerca di materiale che confermasse l’appartenenza di Rasputin alla setta dei Chlysty; non viene trovato nulla, ma la sua quotidianità da quel momento viene continuamente turbata. Poi, durante lo stesso 1908, facendo ritorno a Pietroburgo, anche i cosiddetti “piani alti” iniziano a muoversi, infastiditi dalla presenza del “bifolco” a corte: viene sorvegliato e arrestato. Ad esserne particolarmente infastidito è proprio Stolypin: da questo momento in poi Rasputin è il nemico da sconfiggere, soprattutto per motivi politici.
Stolypin non fu l’unico a voltare le spalle a Rasputin: fecero lo stesso Iliodor, considerato da Rasputin uno dei suoi confidenti stretti, il quale non si rivelò altro che un informatore, e Feofan, che iniziò egualmente a fornire rapporti per la caduta starec, raccogliendo e consegnando alle autorità soprattutto racconti delle sue “ex ammiratrici”. Una nuova minaccia proveniva poi dal neopresidente della Duma, Gučkov, che riversò il suo odio per lo zar sulla figura di Rasputin, visto lo stretto legame tra i due; controllando la stampa progressista, iniziò la famosa propaganda antirasputiniana, che lo accusò di essere un impostore e sostenitore dell’estrema destra.
Molto presto Rasputin fu circondato dagli oppositori: si ritrovò contro il clero tradizionalista, molti politici di destra, membri della corte e membri vicini ad essa ed anche la polizia; godeva comunque ancora dell’incondizionata fiducia della coppia imperiale. Stolypin venne tenuto in causa dallo zar solo per l’ancora aleggiante spettro della rivoluzione (ricordiamo il fallito tentativo del 1905, con già a capo Trockij e Lenin), fino al suo assassinio del 1911; intanto Rasputin aveva stretto rapporti con Vitte, il quale cercò di sfruttare l’influenza del consigliere di corte per tornare al potere, dopo il breve incarico di primo ministro conclusosi nel novembre del 1906. La spaccatura netta tra Rasputin e Iliodor avvenne in due occasioni; la prima con la questione “Tolstoj”, poiché alla morte dell’autore (1910), Iliodor chiese allo zar la scomunica dello stesso, venendo però ostacolato da Grigorij. Successivamente Rasputin, dopo l’assassinio di Stolypin, venne umiliato fisicamente in Crimea dal vescovo Germogen e Iliodor stesso per le sue azioni “mosse dal demone carnale”. Oltretutto, non riconoscendo più in Rasputin la figura di intermediario con la famiglia reale, provarono a sbarazzarsene. Dopo questo avvenimento, entrambi vennero allontanati per volere dello zar; per difendersi davanti all’opinione pubblica, accusarono il Sinodo davanti alla stampa di favoreggiamento nei confronti di Rasputin.
Ormai, il polverone sollevatosi in merito a Grigorij è più che alto, così la famiglia reale, infastidita dall’ondata di odio, decide di farlo tornare a Povroskoe. Intanto una congiura formata da Gučkov, Rodzjanko (allora presidente della Duma), il principe Jusupov e due signore dell’alta società ostili alla zarina (Pavlovna e Jusupova) si occupa di screditare Rasputin in tutti i modi al fine di “salvare” lo zar. Viene quindi pubblicato un volume dal titolo Grigorij Rasputin e la depravazione mistica, prontamente distrutto dalle autorità, poiché conteneva anche lettere private (sottratte da Iliodor) scambiate con la zarina e le altre granduchesse. Di conseguenza, lo zar e la zarina cercano di mettere a tacere le voci e di allontanarsi (almeno pubblicamente) dallo starec, consultandolo solo in casi di necessità. Nel 1912 si ordisce a Pietroburgo una nuova fallimentare congiura, che ruota attorno ai nomi di Iliodor, del generale Bogdanovič e del granduca Nikolaevič, la quale si risolverà in nulla di concreto. In questo clima, si giunge presto al burrascoso 1914: l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e il conseguente scoppio di quella che sarà la Prima guerra mondiale infiamma gli animi politici russi. Conservatori e socialisti si oppongono all’entrata in guerra, mentre finanzieri, industriali e latifondisti premono per l’entrata; secondo Vitte, l’unico in grado di gestire le allora relazioni internazionali russe è proprio Rasputin. Rasputin era intanto tornato a Povroskoe, accolto da un bagno di folla, ma poco dopo viene accoltellato da una donna di nome Guseva, seguace di Iliodor; sopravvivrà grazie a una pronta operazione. Iliodor fugge in Svezia, a palazzo si preoccupano per Grigorij; egli è contrario all’entrata in guerra, ma le forze politiche attorno allo zar riescono a persuaderlo, determinando l’inizio del conflitto anche per la Russia. Rasputin, insistendo in direzione contraria, non fu ben visto dallo zar, il quale finalmente godé del favore del popolo. Vitte, unico fervente sostenitore della pace, cerca già diplomaticamente un accordo per essa, ma decede il 13 marzo 1915. Ormai Rasputin non ha più alcun appoggio in ambiente politico.
Rasputin, nel tempo, dimostrò un pensiero politico in cui si può riscontrare una matrice di tendenza democratica: riconosceva sì la figura dello zar, ma cercò di sottolineare l’importanza del popolo e dell’uguaglianza che doveva vigere in esso. Riteneva che la terra dovesse appartenere ai suoi lavoratori, senza però liquidare i ruoli dell’aristocrazia o delle altre classi in favore di quella contadina; propendeva per una soluzione pacifica (quindi riformistica?) e non rivoluzionaria. Altri punti fondamentali erano l’alfabetizzazione e il controllo del commercio alcolico, vedendone i problemi sociali che ne derivavano; tutti erano uguali davanti a Dio o lo zar. Dimostrò inoltre una grande consapevolezza della situazione politica russa, avendone oltretutto conosciuto da vicino le dinamiche e i protagonisti: riconosceva la “debolezza” politica di Nicola II, dovuta soprattutto al suo carattere, e quindi la conseguente necessità di un potere forte, autocratico o meno. Aveva bassa considerazione della Duma, poiché, tra le due rivoluzioni, essa puntò solamente a migliorare la già agiata condizione delle classi più elevate; inoltre, molto spesso attaccò Rasputin solo per colpire lo zar. Rasputin godeva di grande rispetto politico, tanto da ricoprire nel tempo ufficiosamente delle cariche, visto che era lui stesso a consigliare e far eleggere uomini di potere allo zar; questo fu uno dei fattori determinanti della crescente avversione nei suoi confronti. Egli riconosceva la missione quasi messianica d’ogni popolo e nutriva un grande rispetto per essa: da qui la sua propensione alle relazioni internazionali, riconosciutagli poi da Vitte. Proprio per questo motivo ripudiava la guerra; con l’adesione ad essa, pronosticò la caduta del regime zarista.
Nell’inverno del 1914-15 torna nell’ormai Pietrogrado ed inizia il suo lento epilogo, nonostante l’ancora crescente popolarità. Non reggendo il peso della situazione, politica e personale, dopo vent’anni torna a bere molto e, soprattutto, torna ad essere protagonista di scandali a sfondo sessuale. Uno degli episodi più noti è infatti il cosiddetto “scandalo dello Jar”. Il 25 marzo 1915 Rasputin arriva a Mosca e dopo due giorni si reca allo Jar, celebre locale del luogo, dove, stando ai rapporti della polizia, si sarebbe ubriacato mostrando i propri genitali e molestando le cantanti durante le loro esibizioni. Nello stesso periodo, poco dopo l’entrata in guerra, l’entusiasmo popolare va diminuendo, poiché iniziano ad evidenziarsi le prime difficoltà belliche.
Al momento attorno allo zar ruotano tre “sfere” d’influenza politica ufficiali: la prima è quella dello Stato maggiore del comandante supremo Nikolaevič, la seconda è identificabile con il governo Goremykin e la terza è rappresentata dalla Duma e dalle sue organizzazioni-satellite. In verità un quarto e quinto “centro” orbitano attorno alla famiglia reale; si tratta da una parte dell’estrema destra e dall’altra di Rasputin e la Vyrubova. Il 1915 porta con sé l’arretramento della Russia sul fronte e la conseguente morte di molti soldati (si stima intorno ai 3-4 milioni). Si cerca allora un capro espiatorio per la disfatta: si dà prima la caccia alle spie, poi l’opinione pubblica accusa gli ebrei, i gruppi etnici tedeschi, i tartari di Crimea, fino ad arrivare ad accusare la zarina di comunicare col nemico, viste le sue origini tedesche. Si diffonde allora un forte sentimento di germanofobia, che portò all’espulsione di molte famiglie di origine tedesca.
Il nuovo viceministro degli interni Dzunkovskij fu uno degli uomini che contribuì alla stesura del rapporto sullo “scandalo dello Jar”; nonostante le richieste dello zar, presto la vicenda venne resa pubblica. La zarina difese con decisione lo starec, finendo ancor di più nel mirino dello Stato maggiore di Nikolaevič. Di ritorno a Povroskoe, gli vennero imputati due nuovi capi d’accusa dovuti a dei disagi causati durante il viaggio; nonostante tutto vertesse contro di lui, Dzunkovskij venne sorprendentemente destituito, sancendo l’ancora potente influenza di Rasputin nelle pratiche di Stato. Nikolaevič teme l’imminente rivoluzione (che effetivamente avrà luogo nel 1917) e si ritira; lo zar si assume la piena responsabilità delle disfatte belliche e torna ad essere l’unico comandante supremo.
Riappropriatosi pienamente dei propri poteri, Nicola cerca un accordo con il blocco progressista a discapito della Duma; Goremykin fa notare che sono i ministri stessi ad essere più pericolosi della Duma, appoggiato in toto dalla zarina: il Consiglio dei ministri va rinnovato. Rasputin ancora una volta è il perno centrale delle questioni politiche, intorno a lui nasce il “triumvirato rasputiniano” formato da Beleckij, Chvostov e Andronnikov, di cui, in realtà, Grigorij si fida ben poco. Presto il triumvirato gli impone di partire, tendendogli una trappola: fingendo di obbedire ai loro ordini, lo starec evita l’attentato. Ormai temeva sempre più per la sua vita, poiché riceveva ogni giorno minacce di morte. Non mancarono nemmeno gli agguati fisici nei suoi confronti.
Nacque perciò un secondo triumvirato formato da Stjurmer, Pitirim e Mansevič-Manujlov, in un difficile clima politico, tra probabili sostituzioni di governo e incertezze sulla Duma, senza però fermare i loschi piani del “primo”. Chvostov infatti, stanco dei suoi nuovi incarichi, agì autonomamente, organizzando l’omicidio di Rasputin con Rzevskij, conoscente di Iliodor. Beleckij, dopo esserne venuto a conoscenza, denunciò Rzevskij per tenersi lontano dalla faccenda; seguirono l’arresto e la deportazione del sicario. Ben presto, entrambi gli appartenenti al primo triumvirato persero di credibilità agli occhi dello zar.
Qui si interrompe ufficialmente il racconto di Amal’rik, deceduto il 13 novembre 1980 a causa di un incidente stradale. Il curatore dell’edizione ha inserito in appendice delle indicazioni storiche, nonché le fonti a sua disposizione per provare ad integrare e concludere la storia di Rasputin. Seguendo passo passo i fatti storici (anche se non nella stessa misura dell’autore, c’è un’evidente mancanza di coesione) che portarono alla vigilia della rivoluzione, viene ripercorso l’ideale di pace e l’organizzazione di essa da parte di Rasputin. Nei consigli dati allo zar e nelle scelte attuate in ambito politico si evince un ideale basato su un concetto di umanità e tolleranza. Per concludere, si passa all’assassinio dello starec raccontato proprio dal principe Jusupov, suo omicida.
L’assassinio di Grigorij Rasputin avvenne nella notte tra il 16 e il 17 dicembre 1916 (secondo il calendario giuliano) per mano di Feliks Jusupov, supportato da Pavlovič (membro della famiglia imperiale), Suchotin (amico di Pavlovič), Puriškevič (deputato alla Duma), uno dei capi delle Centurie nere e Lazovert, medico militare. Dopo essersi avvicinato molto a Rasputin negli ultimi mesi della sua vita, il principe Jusupov lo invitò come di consueto in quel periodo a passare una serata nella sua residenza di Palazzo Moika. Conoscendo la sua passione per dolci ed alcol, riempirono molti bicchieri e pasticcini di cianuro, al fine di avvelenarlo. La testimonianza del principe, riportata nella sua memoria sotto il titolo La fine di Rasputin (Parigi, 1937), è carica di tensione e misticismo alimentati dalla figura del “monaco”. Rasputin beve e mangia molto, ma il veleno non ha alcun effetto su di lui; da un’analisi successiva, sembrerebbe che esso sia stato ritardato proprio dall’alta quantità di zuccheri presenti nel vino e nei dolci stessi. Ritardato quindi, non annullato. Presto infatti Grigorij accusa i primi sintomi di intossicazione, seppur lievi; ne consegue la decisione di sparargli. Apparentemente morto, giace al suolo per un breve lasso di tempo, per poi rialzarsi – secondo il racconto di Jusupov – “con la bava alla bocca” e “gli occhi stranamente diventati verdi e fissi come quelli di un serpente”. Inizia da qui quindi una descrizione demoniaca di Rasputin, quasi tornato indietro dal regno dei morti e pronto a vendicarsi sul suo omicida; riesce a fuggire in cortile, inseguito dai suoi assassini, dove venne colpito ancora una volta dalla rivoltella. Il suo corpo venne gettato poi nel fiume Neva, a quanto pare legato, ferito gravemente, ma incredibilmente ancora vivo. Stando a quanto riportato nel racconto, Grigorij Rasputin morì o per ipotermia o per annegamento, alimentando il mito della sua quasi immortalità. Jusupov, in seguito ai fatti del 1917, scappò con la moglie Irina Aleksandrovna Romanova in Occidente; morirono entrambi a Parigi, lui nel 1967, lei nel 1970.
Questa è la versione di Feliks Jusupov; se si tengono in considerazione le intricate dinamiche di potere e le azioni ad essere correlate, come già abbiamo fatto nell’analisi della propaganda antirasputiniana, cercando di perseguire un ideale di oggettività, si potrebbe giustamente pensare che il racconto del principe sia stato “gonfiato” ad hoc per alimentare ancora una volta le voci sul conto di Rasputin. A sostenere ciò, senza dar troppo conto alla soluzione di natura complottistica presenti in rete e in altri ambienti, ci sarebbero degli esami a giustificare la poca efficacia del veleno somministratogli, come anche l’improbabilità che il moribondo starec sia riuscito a fuggire nel giardino del Palazzo, vista la mancanza di escoriazioni da corda e le grave ferite riportate che lo avrebbero ucciso in molto meno tempo di quanto riportato.
La vicenda di Rasputin si conclude, in fin dei conti, in una fitta nebbia del tutto coerente con sé stessa; la sua nascita, l’intera vita e la morte continuano, ancora ad oggi, seppur non completamente, ad essere avvolte nel mistero.