Elena Guro: la simbolista tra gli avanguardisti

Quando si pensa al futurismo, al cubofuturismo o ai movimenti poetici d’avanguardia nella Russia del primo Novecento, si pensa sempre a Majakovskij, per carità non ingiustamente: la sua innovazione è innegabile, parliamo di contributi culturali rivoluzionari, in tutti i sensi. Come una struttura gerarchica, dopo Majakovskij ci si affanna a ricercare personalità che possano essere rilevanti in tutto quel fermento creativo d’avanguardia. Tra questi, pochi sanno che a ruotare intorno ai gruppi artistici dell’epoca non c’erano solo i Burlyuk, Chlebnikov, Kamenskij, ma c’era anche una donna, Elena Genrichovna Guro.

Perché si sa poco – se non nulla – di lei? Probabilmente perché morta giovane, troppo giovane, stroncata dalla leucemia a 36 anni, nel 1913. La morte prematura non farà di lei una rockstar, ma un’avanguardista sì. Scrittrice, pittrice, appassionata dei movimenti culturali, partecipante attiva ed in un’ultima analisi, moglie di un altro grande artista, Mikhail Matyushin: Elena Guro nella storia non è una fiammella tenue che ha dato “semplicemente” il via all’incendio femminile di Achmatova e di Cvetaeva, ma una donna che merita il suo posto nella storia, letteraria ed artistica che sia.

Nata nel gennaio del 1877 a San Pietroburgo, deve il suo cognome poco russo alla stirpe paterna, francese ed ugonotta. Il padre, Genrikh Stepanovič Guro, fu un ufficiale dell’esercito imperiale russo, mentre la madre, Anna Mikhailovna Čistyakova, fu una pittrice di discreto talento, figlia di Mikhail Čistyakov, uno dei promotori di una riforma scolastica di metà Ottocento e scrittore di libri per bambini, caratterizzati dall’importanza del rapporto con la natura, dell’amore per la patria e da un linguaggio divertente e vivace. Famiglia dunque importante, che era solita portare Elena nelle tenute vicino Pskov ed in Finlandia, luogo importante per il percorso artistico dell’artista. La formazione decisiva avviene nel periodo tra il 1890 ed il 1893, quando studia alla Императорское общество поощрения художеств (Imperatorskoe obscestvo pooscrenia kudogestv), la Società Imperiale per l’incoraggiamento delle Arti, per poi studiare nell’atelier di Jan Ciągliński, pittore di origine polacca, considerato tra i primi esempi di impressionismo russo. Qui Elena trova l’amore, trova Mikhail Matyushin.

 

Musica, pittura e cubofuturismo

 

Di 16 anni più giovane, Guro riuscì a cambiare completamente la percezione artistica di Matyushin, all’epoca musicista ed aspirante pittore: dapprima si avvicinarono entrambi a temi prettamente simbolisti, fino alla pubblicazione di Elena nel 1909 di Sharmanka, libro di poesie, opere teatrali e racconti, che attirò le attenzioni di autori del calibro di Ivanov, Remizov e Blok. Quest’ultimo aveva un particolare legame con la coppia: Guro illustrò un almanacco di poesie per lui, che derideva Matyushin per la sua età avanzata (era da poco divorziato con quattro figli), scrivendo che “in modo del tutto futurista cercava di apparire giovane”. Perché lo chiamava futurista? Perché i due entrarono negli ambienti cubo-futuristi come primi esponenti del gruppo Gileja, con Chlebnikov ed i fratelli Burljuk. Matyushin musicò Vittoria sul sole, uno spettacolo teatrale sperimentale futurista scritto da Chlebnikov e Kručënych, dove comparse per la prima volta l’opera di Malevič, Quadrato nero. Il sole, per Matyushin, rappresenta il senso quotidiano realtà che non è più infallibile e quindi poteva essere vinto, come la cosmogonia di base può essere modificata dagli esseri umani, che un giorno diventeranno in grado di catturare fisicamente il Sole. Musicò anche l’opera teatrale di Majakovskij “Vladimir Majakovskij: una tragedia di Vladimir Majakovskij”.

Bisogna comunque tener conto che i simbolisti parteciparono alle avanguardie russe mantenendo una certa diffidenza di fronte ad un accoglimento acritico dei modelli occidentali ed alla loro ansia di innovazioni drastiche, anche eversive, rifacendosi piuttosto a quello che poi verrà chiamato primitivismo. Il gruppo Gileja di Mosca (cui fece parte Majakovskij), fondato nel 1911 dai pittori Kamenskij e Burljuk, prese il nome russo della Scizia, ossia delle pianure sarmatiche abitate, ai tempi di Erodoto, da popolazioni che lo storico greco considerava barbare e semiselvagge, segno di una visione futurista intrisa di temi naturali. Spesso si attribuisce la nascita stessa del cubofuturismo al gruppo Gileja, citando la pubblicazione miscellanea Cадок судей (Sadok sudej), Trappola per giudici, nella quale compaiono i contributi anche della stessa Elena Guro. Soprattutto agli inizi, prima della comparsa di Majakovskij come firmatario nel 1912 del manifesto Schiaffo al gusto corrente, l’idea di futurismo non può essere paragonata a quella che in Italia conosciamo con Marinetti e il suo Manifesto (e forse è bene non unire mai le due correnti in un unico grande movimento). Per Guro, futurismo significava rifiuto della civiltà moderna, concezione elitaria e spirituale dell’arte e della poesia viste come antidoti della volgarità del reale. Il suo era un futurismo di tipo naturalista ed aristocratico, come se avesse ereditato la concezione pedagogica del nonno materno unendole a concetti sviluppati nella tenuta di campagna del padre in Finlandia ed ai paesaggi a lei cari, messi anche su tela.

 

La poetica dell’impressionismo


Cercare di definire la personalità artistica di Elena Guro con una sola poetica è pressoché impossibile, specie se non si esce dalla rigida idea che l’impressionismo non possa essere collegato alle avanguardie novecentesche. In Russia però l’impressionismo ha avuto una forma insolita, modificata. Gli artisti rappresentano il visibile in brevissimi attimi di contemplazione, trasmettono un quadro generale dell’apparizione visiva e con pose casuali dei personaggi, cercando di cogliere l’istante. Gli artisti quindi trasmettono sia il senso di indefinito, sia l’instabilità delle forme. Trasferire queste caratteristiche nella letteratura significa mettere su carta la riproduzione dell’istante, cosa che avvicinava un poeta come Rozanov ad Elena Guro. Se l’impressionismo pittorico fiorisce nel 1890, il letterario si sviluppa nel primo decennio del Novecento. La poesia non imita la pittura, ma offre la possibilità di creare una sintesi di elementi pittorici, musicali e semantici: l’idea sopravvisse alla sua morte ed il suo libro Sogno autunnale (Осенний сон, 1912) fu musicato da Matyushin nel 1921, ulteriore prova del connubio tra le arti, oltre che delle persone coinvolte. Guro e Matyushin non ebbero figli, probabilmente lei ne perse uno durante la gravidanza, e nel 1912, anno in cui Guro cominciò ad essere affetta da leucemia, inventò l’archetipo del figlio immaginario, un fanciullo che nasce artista e che – secondo Vera Kalina-Levine – raccoglie in sé il primo prototipo di futurista, imbevuto di linguaggio che negli anni delle avanguardie russe divenne simbolo estetico (lo zaum),che per la Guro significava linguaggio primitivo infantile, tema molto caro agli studi linguistici di Roman Jakobson ed al fonosimbolismo futurista di Chlebnikov e
Kručënych.

 

 

L’innovazione che porta Guro è quella del verso libero, che coincide con un nuovo modo di intendere la spazializzazione del testo: la pagina deve omologare elementi testuali e visivi, quindi non è raro trovare immagini “cinematiche”, a colori ed in movimento. Mentre gli altri poeti avanguardisti si diletteranno nella pittura come se fosse un hobby, Guro riesce a rivestire entrambi i ruoli, attirando anche l’attenzione degli studi linguistici di Jakobson sul formalismo. Elena Guro scrisse in un suo diario non pubblicato: «Versi liberi. Prosa nel verso, verso nella prosa. Prosa che è quasi verso…[…] Concentrazione della storia in due o tre parole. Pronunciare le parole come se non coincidessero con il significato, ma provocassero certe immagini, di cui non è stato detto nulla». Affascinata dall’animismo dei soggetti fiabeschi ed alle figure antropomorfe del folklore russo, Elena Guro trasforma la realtà in un mondo semi-magico, sospeso nel tempo, dove oggetti ed animali parlano, sacrificando l’oggettività della visione tipica dell’impressionismo. Non a caso, animali dal collo lungo e dalle gambe lunghe come gru, aironi e giraffe vengono usate per raffigurare giovani sognatori, che possono essere timidi o audaci, ma di solito sono fisicamente goffi e socialmente inetti, solitari, maltrattati dagli altri (spesso nobili) con una profonda sensibilità nei confronti della bellezza della natura. La tematica che ha interessato la critica per Guro è tuttavia la città, il paesaggio urbano. Qui Guro deve confrontarsi con Majakovskij e con Blok, ed è qui che si vede la grande innovazione dell’artista, che risulta senza dubbio molto più oggettiva dei suoi colleghi: il suo rifiuto dell’essere si trasforma in una immedesimazione con la strada stessa, annullando la distanza che separa il poeta con il paesaggio. La città diventa luogo di sofferenza dove la dominazione maschile umilia la natura e la donna. Milica Banjanin scrive: «Sebbene le finestre agiscano più spesso come barriere, dobbiamo notare che la finestra nelle opere di Guro non è intesa come una barriera tra la realtà fisica e l’umore interiore. In questo, si differenzia da Baudelaire e Blok, ad esempio, perché usano il dispositivo di una finestra nella loro poesia per esprimere sentimenti di alienazione e solitudine… lei, tuttavia, ha bisogno dell’interazione e della transizione tra questi due mondi per aiutarla a definire la sua esistenza. Nel lavoro di Guro c’è un costante scambio e giustapposizione del mondo esterno e dello stato d’animo interiore attraverso il telaio di una finestra. Così usa numerosi verbi di percezione: “visto”, “guardato”, “discernito”, “percepito”, “dipinto”, “canticchiato”, “annusato”. Il verbo usato di frequente […] “sembrare” indica la qualità soggettiva della realtà percepita che “appare” piuttosto che “è”».

 

In Sharmanka Elena Guro scrive: “La strada curvava intorno alla città senza inizio né fine. Finestre, goccioline. Davanzali. Gatti, piccioni. Davanti a sé si dispiega, si chiude, si apre. Angolo dopo angolo. Riflessioni, voci risonanti. Segreti, pensieri saltuari sconosciuti, scarti di fiori, scarti di conversazione”. L’Io narrativo si confonde tra poesia e strada, se non con l’intera città. In “strada” c’è proprio quella che sembra una trasposizione letteraria del quadro di Boccioni La strada entra nella casa: «Spruzzi rossi mordaci bruciano … Penetrano nel cervello … I denti rossi marci si surriscaldano nella mascella nera di un’entrata scarsamente illuminata. La mascella inghiotte, solleva l’oscurità della folla. Macchie malvagie rosso-rosee lussureggianti sibilano in modo invitante: “Per favore, per favore! Entra! Non essere timido! Ah, ah, ah! Abbiamo le ultime. Norma! … Igiene! …»

 

Nei suoi ultimi momenti di vita, Guro si rifugiò a Uusikirkko, in Finlandia, dove scrisse le sue ultime opere: Il cavaliere povero e Piccoli cammelli nel cielo, insieme al poema Finlandia, opere che continuano l’interpretazione avanguardista del suo simbolismo, forse troppo delicato per resistere alla polveriera che la Russia sarà a livello culturale, politico e sociale negli anni immediatamente successivi alla sua morte. Il suo senso etico-spirituale di bellezza rafforza la definizione che Vladimir Markov diede lei: probabilmente la più rappresentativa di tutti gli impressionisti russi.

 

Fonti:

Burini, S. (1994), Elena Guro: poetica dell’impressionismo;
Banjanin, M. (1994), Elena Guro’s city series impressions by day and by night;
Coghill, M. (2016), Russian Formalism and Revolution: Elena Guro (1877-1913) Russian Formalist writer and contemporary of Roman Jakobson (pseudonym: Aljagrov);
Markov, V. (1973), Storia del futurismo russo.

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