Nell’Arte della guerra, Sun Tzu gettava le basi per la retorica della dissimulazione bellica scrivendo che “la guerra si fonda sull’inganno”. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, o dell’“operazione militare speciale” che dir si voglia, lo sguardo dell’Occidente si è concentrato nuovamente sulle tattiche militari della Russia, che già dall’inizio dell’epoca sovietica si basavano sulla mistificazione: occultamenti, inganni, esche, camuffamenti, mimetismo e manipolazione dei fatti. In una parola, maskirovka, mascherata.
Sebbene il termine si riferisse inizialmente alle strategie elaborate negli anni Venti e messe in pratica sul campo della Seconda guerra mondiale, la parola maskirovka ha subìto uno slittamento di accezione in seguito alle manifestazioni dell’Euromaidan e all’occupazione militare della Crimea a cavallo tra 2013 e 2014. Un’accezione che fino a pochi mesi fa si riferiva allo stato di “guerra ibrida”, sotto gli occhi di tutti ma mai ufficialmente dichiarata – almeno fino agli eventi recenti.
È da questa risignificazione della politica del mascheramento, che vede nell’assetto degli affari internazionali una farsa senza possibilità di ritorno, che si muove il lavoro del fotografo Tobias Zielony e del suo progetto intitolato per l’appunto Maskirovka. Noto per il suo lavoro documentario nelle subculture giovanili e nelle realtà dell’emarginazione, tra il 2016 e il 2017 Zielony frequenta e ritrae il fermento underground della capitale Kiev focalizzandosi sulle scene techno e queer, popolate da una gioventù che si riappropria della mascherata per una creazione ex novo di identità ibride, collocate a quel margine della società che bell hooks vedeva come il luogo ideale per la nascita e per il consolidamento delle pratiche di resistenza.
Sebbene infatti le società e le politiche da cui muovono le sottoculture analizzate da Zielony anche in Germania, Francia e Polonia appaiano diverse -pur con le riserve di un mondo sempre più globalizzato-, il fotografo vede nella cultura pop il denominatore comune di uno sviluppo controculturale che è, nel linguaggio, comune ai contesti più disparati. In un’intervista a Blok Magazine, Zielony nota come il codice della moda sia mutato drasticamente con il crollo del Blocco Est, e come alla coesione politica della comune appartenenza alla working class sia subentrata una frammentazione identitaria data dalle possibilità infinite del consumo, soprattutto nel caso di Paesi satellite come Polonia e Ucraina. Ed è proprio la contraddizione tra crisi ed edonismo che funge da supporto per l’estetica di Maskirovka, che si colloca infatti al di fuori del canone della fotografia documentaria delle tragedie, spesso connotata da immagini scioccanti e da un concetto di resistenza che opera solo sul piano politico.
La polisemia della maskirovka da cui si dipartono i due filoni narrativi del progetto fotografico si struttura precisamente su questo contrasto: sulla dissonanza tra gli sfondi e gli scorci della città, indicativi del contesto da cui si muovono le strategie di resistenza dei giovani, e la loro quotidianità, una messinscena clandestina di ribellione in camere da letto, club, spazi liminali lontani dall’establishment corrotto contro cui l’impegno politico appare impossibile. Con un’alternanza tra interni ed esterni, centro e periferia, crepuscolo e alba, Zielony crea negli sguardi e nelle percezioni dei suoi soggetti una topografia del desiderio dissidente, che prolifera fuori dai registri e dai codici della crisi e delle norme che regolano i ritmi delle zone di conflitto.
Esposte alla Fondazione Sandretto a Torino nella mostra collettiva Safe House, il cui filo conduttore era la meditazione sulle pratiche di invisibilità temporanea come resistenza, le fotografie di Zielony spiccano per la spontaneità e la tenacia dei ragazzi, che in una dimensione collettiva di clandestinità riescono a creare legami in questi spazi altri. In una posizione simmetrica ma diametralmente opposta rispetto all’opera del russo Vlad Monroe, che con il drag e il camuffamento ridicolizzava il linguaggio e le strategie farsesche della politica del Cremlino, con l’arte della mascherata i ragazzi di Kiev cercano di crearsi attraverso il gioco, la festa, la comunità, la messinscena di rituali alternativi.Gli stessi ragazzi, come affermato da Zielony, erano entusiasti all’idea di essere fotografati in quei momenti della loro vita, nonostante il fotografo si trovasse a Kiev per soli due mesi e non fosse parte attiva della comunità.
Negli occhi, nei gesti e negli spazi immortalati da Zielony è evidente come la possibilità di fuga e di autenticità stia proprio nelle possibilità di soggettivazione plurima, di ritagliarsi un reale più reale di quel mascheramento politico che, nell’Ucraina post-Maidan, distorce lo stato stesso di realtà. L’utilizzo delle maschere, elemento preponderante nell’immaginario politico ucraino (si pensi al camuffamento degli omini verdi delle forze speciali russe in Crimea, o alle maschere indossate dai manifestanti del Maidan per proteggersi dai lacrimogeni), viene riappropriato dal coro dissidente della gioventù ai margini: trucco, artifici teatrali, bautte raffazzonate di carta e alluminio diventano il simbolo di una generazione che nella sicurezza dell’anonimato architettano forme collettive di resistenza.
Risignificazione e riappropriazione continuano tuttavia anche fuori dagli spazi espositivi e dal circuito dell’arte contemporanea. Rimasto in contatto con i ragazzi, Zielony ha avuto modo di osservare la ricezione dei ritratti e delle fotografie attraverso i loro profili social, notando discrepanze e similitudini nella percezione di sé e del loro racconto collettivo, e di come i repost, le condivisioni e i commenti assumano la connotazione di una rilettura collettiva di un mito creato dalle macerie.
Si ringraziano la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e il curatore Bernardo Follini per la visita guidata, le fotografie e i materiali sull’artista.