Le figlie del generale: Mimoza Hysa e il regime come doppio malefico

Una caratteristica imprescindibile contraddistingue i romanzi che hanno saputo raccontare efficacemente i regimi: quella dell’incanto come mascheramento. Una veste, cioè, che non richiedesse esplicitamente di raccontare la violenza, ma che si servisse del simbolo, mitico e non, per farlo.  Romanzi complessi come quello di Mimosa Hysa rischiano di essere fraintesi, se la mente non è abituata a estrapolare il simbolo e interpretarlo. L’intelligenza di Hysa sta però nel fornire al lettore un archetipo ben definito, che per quanto complesso e sfaccettato, lo conduce a una chiave di lettura più o meno univoca, quella del doppio. Il doppio è un archetipo fortemente radicato nella storia psichica dell’uomo. Il vampiro per esempio rappresenta, probabilmente, il doppio per eccellenza, codificato dal folclore e ampiamente diffuso in tutte le culture. Per poter comprendere il concetto di doppio che contraddistingue il romanzo le figlie del generale è necessario soffermarsi sul valore psicologico che il doppio ha rappresentato e rappresenta ancora oggi per l’uomo.

 

Tornando alla figura del vampiro, la sua odierna feticizzazione e incapacità di coglierne il significato archetipico, ha dato vita a un filone letterario e cinematografico alquanto confusionario e che manca della sua originale efficacia. Il vampiro nasce come abitante di uno spazio altro, quello dell’inconscio, che si manifesta in opposizione a un certo ordine sociale. Può essere un doppio collettivo, rappresenta cioè l’inconscio di un intero gruppo sociale, o può essere un doppio riconducibile a una singola persona. Le caratteristiche che lo inquadrano nell’archetipo del doppio o ombra sono varie. Non è necessariamente fisico – non ha cioè un corpo – e ha bisogno quindi di cannibalizzare le energie altrui per sopravvivere. Il suo parassitismo fa ammalare i vivi che, intrappolati un uno stato di incantamento, si lasciano consumare.

 

Lo sdoppiamento risulta essere così il tentativo dell’inconscio di segnalare una contraddizione interna alla psiche, scatenata di solito dall’incapacità di integrare impulsi e desideri con il compasso morale del contesto sociale in cui si vive. L’inconscio prende forma e inizia a parlare facendo uso di una bocca demoniaca, che emula malamente i tratti della nostra voce. Non è casuale che l’arrivo del doppio, o del doppelgänger, venga associato alla morte del suo originale. La morte però non deve necessariamente corrispondere a una morte fisica. Se gestito bene, lo sdoppiamento può dare la possibilità all’individuo che ne soffre di risolvere la scissione interna.

 

 

 

 

 

Accanto al vampiro troviamo un doppio ancora più terrifico e forse meno conosciuto, il changeling. Di tutti i doppi, il changeling costituisce l’esempio più agghiacciante, in quanto non è un doppio evidente, non accompagna l’originale, ma si sostituisce a lui. Chi gli sta vicino è turbato, ma non sa individuare esattamente in cosa differisce dall’originale. Questa tipologia di doppio può gettare nel dubbio l’originale stesso, che viene portato a credere così di essere lui stesso il changeling. Questo sentimento perturbante, così sagacemente ricreato dal filone cinematografico horror – basti pensare a opere come La cosa di John Carpenter, in cui gli stessi protagonisti sono indotti a credere di essere loro stessi il mostro – più raramente è stato raccontato in letteratura. Hysa è riuscita a generare, al pari di scrittori come Géza Csáth (in Silenzio nero) ed E.T.A Hoffmann (in L’uomo della sabbia), questa sensazione di perdita di se stessi.

 

La figura del changeling è altrettanto radicata nella nostra cultura come quella del vampiro, anche se in modo meno consapevole. Le ragioni dietro la natura del changeling potevano essere varie. Secondo il folclore, in particolare quello irlandese, una persona poteva essere rapita e sostituita con un’entità sovrannaturale. Questo scambio poteva essere sintomo di uno stato depressivo dello scambiato, che per un periodo viveva in uno stato di catalessi e apatia che lo rendevano irriconoscibile agli occhi dei parenti. Un altro motivo invece è da rintracciare nella ghettizzazione da parte di una comunità di un individuo, che non rispondeva pienamente alle norme sociali; pertanto, la persona sostituita non era da reputarsi umana, ma demoniaca e quindi da isolare, se non addirittura uccidere.

 

All’interno del racconto di Hysa, il doppio non si identifica in una sola categoria, ma attinge a varie tipologie di doppio. Inizialmente il romanzo ci viene presentato come la storia di due gemelle e, in un piano più manifesto, lo è. Ciò che però sconvolge i sensi del lettore e lo trascina in una labirintica discesa nelle tenebre è il linguaggio che le due gemelle, Martina e Marsina, adottano. Il racconto è il nudo incatenarsi dei pensieri delle due donne, che a turno dialogano formando un nastro di ricordi. Il lettore si aggrappa a questa fragile lingua di parole e a ogni cambio di voce tra Martina e Marsina, l’anello che forma questa catena trema, dando l’impressione che possa spezzarsi. Al lettore non viene fornito altro appiglio, può solo aggrapparsi alla catena di pensieri, sperando che questa non si spezzi nella sua discesa verso l’abisso. Non esiste spazio fisico e temporale, la narrazione si svolge esclusivamente su un piano mentale. Non ci sono luoghi definiti e a nessun altro personaggio viene concessa parola, se non tramite i ricordi delle due donne, i cui pensieri sembrano rimbombare all’interno di uno spazio stretto, non abbastanza grande per accoglierle entrambe. Le due, infatti, si alternano nel prendere parola proprio come se si contendessero lo stesso spazio mentale, che non possono occupare assieme allo stesso momento. Sembrano distanti l’una dall’altra, ma non lo sono.

 

La danza-lotta di Marsina e Martina assume le sembianze di una cosmogonia divina. Marsina emerge da quel mare gelato che è il ventre squarciato di Martina, la quale, reduce da un’operazione che le è quasi costata la vita, inizia a percepire la gemella come corpo estraneo. Il taglio che il giorno del loro quindicesimo compleanno segna i confini tra le due gemelle è stato effettuato in modo maldestro, fatale. Quel grumo di carne che è Marsina turba Martina, che vorrebbe rinchiudere la gemella in uno spazio di carne più circoscritto. Il desiderio di definizione e ordine di Martina sfiora le vette della psicopatia, assumendo quasi un atteggiamento cannibalistico – tipico del doppio malefico – nei confronti della gemella. Vorrebbe riassorbirla o, perlomeno, assoggettarla alla sua concezione del mondo, la stessa che ha loro padre, il generale, perfetto prototipo dell’uomo comunista.

 

Martina è, in una certa misura, già nella sua forma ultima, che però risulta imperfetta. Lo squarcio che le ha lacerato la pancia rendendola sterile, si rivelerà essere qualcosa di più sinistro e profondo. È il taglio che traccia il confine tra lei e Marsina e tra lei e il suo stesso corpo. Nel desiderio di definizione Martina ha finito per tagliare via il suo corpo intero, riducendosi a una flebile ombra. La sua sterilità si traduce anche in una sterilità di emozioni e sentimenti, poiché non ha più un corpo con cui poterli esprimere. L’unica emozione che è in grado di provare è il disgusto per la mancanza d’ordine. Martina sembra, in sostanza, il doppio male amputato della sua gemella.

 

 

Marsina, che un corpo invece lo ha, di carne informe, malleabile, come appena uscita dal ventre materno, decide di aprirlo al mondo. Si fascia intorno agli altri, simile a un raggio di sole che avvolge e scalda. Nella sua ricerca di definizione ed emancipazione, Marsina comprende perfettamente le potenzialità di avere un corpo. La potenza del corpo era già stata teorizzata in passato in una delle più grandi opere teatrali di Pasolini, Calderon. È in questa opera che il poeta illustra perfettamente come la macchina del Potere cerchi di annichilire la carne, poiché veicola la libertà, che altro non è che la capacità di amare. Quando infatti la protagonista viene imprigionata, non reclama la sua libertà, ma reclama indietro il suo corpo. Vari sono stati i modi del Potere durante la storia di annientare i corpi e la forma ultima di repressione l’ha costituita proprio il lager nazista, ultimo mezzo che il Potere adotta in Calderon per annientare la protagonista. Per questo stesso motivo, l’uso che Marsina fa del suo corpo disgusta Martina, perché in contrasto alla logica del regime. Martina si delinea così sempre più doppio vampiresco di Marsina. Non ha un corpo e vorrebbe parassitare quello della sorella per cederlo al regime comunista. La stessa Martina arriva ad ammetterlo:

 

Il mio corpo al tempo era già carne marcia, puzzava spesso di farmaci e avevo la sensazione che fosse meglio che mi abbandonasse. La carne aveva iniziato a puzzare di putrido o a me sembrava sempre di avere addosso la pelle di un animale morto che si decomponeva all’interno, piano piano. Tu eri un germoglio in fiore e io avevo bisogno di attaccarmi al tuo corpo, come facevamo quando eravamo bambine e dormivamo nello stesso letto.

 

È in questo momento che appare un altro personaggio, Zani, raccontato sempre attraverso i ricordi delle due gemelle. Zani altro non è che un’ennesima emanazione del regime. Viene dallo stesso villaggio del padre delle ragazze e, come lui, sta facendo carriera militare. Questo dettaglio è tutt’altro che banale e ci lascia intendere che il generale abbia compiuto le stesse atrocità del giovane Zani per raggiungere la sua condizione di intoccabile all’interno dell’Albania comunista. L’arrivo di Zani però, spezzerà l’ordine creato del generale, rendendolo consapevole del fatto che nemmeno l’uomo più sottomesso al regime è salvo. Un’immagine quasi biblica annuncia la cacciata dal giardino dell’Eden, che il generale crede di aver creato per sé e la sua famiglia. In un momento di pace apparente, quando il generale si ferma nel giardino del padre di Zani, ancora bambino, per prendere il caffè, l’uomo coglie due mele da un albero per darle alle figlie. Sarà da quell’esatto momento che Zani, che osserva la scena da lontano, assumerà il ruolo di serpente per insinuarsi non solo nelle grazie del generale – e quindi del regime – ma anche nel ventre di Marsina. Le mele che vengono colte nel giardino di Zani sottoscrivono un patto silenzioso tra lui e il Potere, che rompe l’equilibrio del mondo del generale, dapprima sottraendo a Marsina l’uomo che ama, Jeton, e, in seguito, stuprandola. Il regime si appropria così non solo del corpo di Marsina, ma anche dell’atto che l’aveva resa libera, quello sessuale, ora svuotato di qualsiasi tipo di amore.

 

 

 

 

Il corpo di Marsina, fecondato dalla serpe incarnata da Zani, diventa così per un attimo quello di Martina, un corpo meccanico, fatto di olio e ingranaggi, non atto a procreare, ma che sia in grado solo di fabbricare uomini che siano congeniali al regime.

 

Passo per passo, anello per anello, il lettore scende nella regione più cupa dei ricordi delle gemelle ed è l’ultima parola che forma la catena, quella di Marsina, che la spezza. I ricordi si infrangono a terra e con essa la maschera di Martina, che si rivela per quello che è, il regime stesso. Martina non esiste, o meglio, la creatura tornata dalla tomba non è lei, è un doppio malefico, quello del Potere che ha cercato di annichilire Marsina, riuscendoci. Il dialogo che per tutto il tempo Marsina intrattiene con la gemella è in realtà uno stato febbrile in cui la ragazza tenta disperatamente di non farsi divorare dal Potere. L’impossibilità di Marsina di allinearsi crea in lei una forma di dissociazione, che assume i panni della sua gemella. Il confronto con il suo doppio vampiresco, quello incarnato dal regime, è un tentativo di guarigione, affinché il suo doppio torni allo spazio a cui appartiene. Violata, ma decisa a non piegarsi definitivamente al regime, Marsina cede suo figlio a Martina, cioè al suo doppio e lascia l’Albania. Il Potere glielo concede, in quanto non ha più bisogno di lei. Marsina ha condotto la sua esistenza vampirizzata dall’ombra del regime e, in un tentativo di guarigione, si mette a tavolo con il suo doppio, per riappropriarsi di quella unità mentale che le è stata negata per anni.

 

Lo spazio che Marsina e Martina condividono è quello del ventre dell’inconscio, in cui entrambe le gemelle lottano per divorare l’altra ed emergere alla vita. Sebbene Marsina abbia un corpo, non è ancora totalmente formata e la sua esistenza viene continuamente minacciata dal doppio malefico del regime che cerca di sostituirla, allo stesso modo di un changeling, con la sua versione demoniaca. La lotta di Marsina risulta quasi una lotta per rimanere sveglia e cosciente, in cui ad occhi spalancati nel buio sonda ogni più piccolo movimento nel terrore che, appena le si chiudano gli occhi, il suo doppio si impossessi del suo corpo. Marsina sarà costretta alla fine a spegnere la sua coscienza e a cedere il posto a Martina per evitare che il regime la annichilisca completamente. Marsina però non cede il posto al suo doppio. Si riappropria presto della sua mente, si oppone al regime che vorrebbe il corpo di Marsina con la mente gelida e sterile di Martina.

 

Il doppio di Marsina è però anche un doppio collettivo, è il doppio di tutti gli uomini che vivono sotto a un regime e che sono costretti a sdoppiarsi per sopravvivere, finendo col galleggiare in uno stato di ordinata schizofrenia. Chi rinuncia al corpo ha bisogno di quello degli schizofrenici, dei vivi, per perpetrare la vita del regime, chi sceglie la vita, e l’amore, finisce per essere cannibalizzato dai morti. La storia che Hysa ci racconta sembra senza via di uscita. Personalmente, la bellezza che Mimoza ha saputo mostrare in questo racconto, mi ha portato alla realizzazione che il Potere non è indipendente, è un doppio, un vampiro che ha bisogno di parassitare per sopravvivere. Se il Potere è dipendente allora si può contrastare, o perlomeno si può tentare. Marsina esce sconfitta dal confronto, ma non totalmente vinta. Non rinuncia a vivere e trova la forza di cercare un’alternativa alle macerie che la circondano. La sua storia è una storia dell’annichilimento di un corpo, che cerca di mantenere integra la sua mente, nonostante la sua carne sia diventata l’incubatrice di una bestia.

 

Non solo questo, Hysa ha saputo sfruttare come nessun altro la forza simbolica del vampiro-doppio, che sta nel suo non dover essere esplicito. Il vampiro non ha, cioè, bisogno di essere vampiro in senso stretto per esercitare il suo potere. Il fascino del doppio creato da Mimoza Hysa sta nel suo essere nascosto, mascherato, sta nell’avere le sembianze di una gemella, Martina. Ciò che è celato è più forte del mostro che si para davanti a noi rivelandosi per ciò che è. Si muove su un piano che non è fisico, ma psichico, rendendo difficile combatterlo e contrastarlo. Hyza ci fornisce una soluzione anche per questo: parlare col doppio, impedirgli di pedinarci e restituirlo allo spazio a cui appartiene, quello del mondo dei morti.

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