Praga fracica: pornografia, lavoro sessuale e queerness nella capitale ceca

Un topos che ricorre spesso nel parlare di determinati posti è quello di usare il nome della città con accanto un aggettivo che dovrebbe descrivere la sua atmosfera, l’impressione che lascia. Faccio un esempio. In film, guide turistiche, libri, articoli, nomi di aziende, recensioni di turisti-clienti Napoli è: violenta, esoterica, velata (ma anche svelata), sotterranea, porosa e se vogliamo anche centrale. Questa tattica funziona con più posti, basta avere un certo afflusso turistico, una certa nomea e poi una certa volontà di dire che quella città in realtà è anche di più di quegli aggettivi stereotipati che le si affibbiano.

 

Praga invece è sempre e solo magica: l’acqua qui costa più della birra ed è piena di musei, monumenti, palazzi in ogni stile architettonico che esiste.

 

Gli Offlaga Disco Pax la cantavano nel 2005, quando compravano i tatranky – nome di un dolce ceco “tipo Loacker” e della canzone – e notavano sul pacchetto un seminascosto marchio della Danone, multinazionale francese che ha acquisito l’azienda Opavia (che appunto li produce) intorno al 1992, in seguito ad un’ondata di privatizzazione di aziende nazionali. Se si pensa anche alla storia del trdelník, che ha raggiunto come la fama di dolce tipico praghese pur non essendo neanche nato nei dintorni, si potrebbe arrivare alla conclusione che i cechi abbiano un rapporto alquanto speciale con i dolci, ma non è proprio così.

 

Anche se i negozietti di trdelník sono ad ogni angolo del centro di Praga, un sottilissimo filo rosso collega il turismo enogastronomico e quello dell’arte al turismo sessuale. Praga è una città di sexy shop e intrattenimento per adulti, in un paese che si è affermato come il secondo produttore di film porno a livello mondiale dopo gli USA. La produzione è in larga parte di porno gay, seguita dal porno eterosessuale e poi dal porno lesbico. Ovviamente non è sempre stato così.

 

Sotto il regime la pornografia è una degenerazione capitalista, la prostituzione una forma di parassitismo tanto quanto l’accattonaggio. In particolare l’omosessualità maschile non trova posto nel socialismo, già Lenin la giudicava una trasgressione da borghesi. Eppure all’alba della Rivoluzione vengono abbandonate le leggi zariste del 1832 che la condannavano, e non vengono adottate nuove misure a riguardo nel nuovo codice penale. La condanna ideologica si concretizza in legge solo con Stalin nel ’34. Da qui in poi, nell’allora Cecoslovacchia (e anche in Ungheria) il rapporto omosessuale rimane illegale fino al ’62, viene decriminalizzato un po’ prima di molti altri posti – per fare alcuni esempi, ciò avviene nel ’67 in Inghilterra, nel ’68 in Bulgaria, nel ’77 in Jugoslavia, nel ’90 in Italia –, certamente prima della stessa Unione Sovietica, dove rimane un crimine fino alla caduta del regime – ma un ulteriore fatto interessante è che l’omosessualità femminile durante tutto questo arco di tempo non viene mai criminalizzata: il carcere per gli uomini si traduce per le donne in internamenti e interventi medici e psichiatrici.

 

La caduta del comunismo nell’’89 significa un improvviso rilassamento di una serie di restrizioni, per cui molto cambia sia a livello legislativo ed economico che a livello sociale e culturale, ma tutto succede in così breve tempo che non è possibile per la popolazione adattarsi completamente a nuovi paradigmi senza qualche tipo di conseguenza.

 

Esce proprio nell’’89 Kopytem sem, kopytem tam (tradotto in inglese come Tainted Horseplay) della famosa regista della nová vlna Věra Chytilová, un film che testimonia il caos morale di fine anni ’80. Protagonista è un gruppo di amici moralmente disordinati a cui piace uscire e divertirsi, bere, avere rapporti occasionali con donne altrettanto sregolate. Il divertimento finisce quando si scopre che uno dei membri del gruppo è affetto da HIV, da lì in poi le dinamiche  precipitano nella paranoia, le uniche reazioni possibili sembrano essere l’incredulità e la rabbia, non rimane che sedere inermi e impotenti con le conseguenze delle proprie azioni. Chytilová condanna l’edonismo del gruppo, ed è molto interessante che usi il sesso per farlo, lo è ancor di più il fatto che la “punizione” dell’incoscienza sia la malattia e che questa sia l’AIDS.

 

Kopytem sem, Kopytem tam (1988)

 

Un’altra cosa che salta all’occhio è che non ci sono personaggi omosessuali in questo film. La cosa salta all’occhio non per uno scrupolo di inclusione, ma perché l’AIDS è stato spesso utilizzato per condannare questo specifico gruppo sociale e all’interno del film non sembra essercene riferimento alcuno. Ciò si può spiegare perché in fondo l’AIDS qui è metaforico – come Sontag insegna –, di certo includere un personaggio gay sarebbe stato doppiamente disastroso, e difatti diverse associazioni fanno sentire la propria voce perché il collegamento non sia automatico. Inoltre, sotto il comunismo non sarebbe potuto esistere un film a tematica gay, e anche durante lo sfaldamento del regime non ci si può aspettare un immediato interesse per queste tematiche, che fino a quel momento sono state tabù da evitare – infatti, se anche l’atto in sé è decriminalizzato, la polizia segreta persegue e arresta lo stesso presuntə gay e lesbiche.

 

Tuttavia, quella che nei primi anni di Repubblica Ceca si sviluppa come sottocultura esiste ed è produttiva a suo modo. I primi anni ’90 vedono la nascita di un numero di associazioni di diversa natura: l’associazione studentesca STUD, la rivista SOHO revue, le prime produzioni cinematografiche a tematica gay. Tra queste vale la pena menzionare il corto diretto da Vladislav Kvasnička nel ’91, Zapovězená láska (Amore proibito), un piccolo documentario che tramite brevi interviste cerca di introdurre al pubblico in maniera sempice l’idea di una comunità LGBT+ ceca che esce allo scoperto.

 

Terminata la censura sovietica puritana, gli anni ‘90 sono il momento in cui tutti i discorsi su corpo e sessualità possono affiorare più liberamente, perciò i primi movimenti a difesa dei diritti LGBT+ hanno finalmente la possibilità di organizzarsi. L’attivismo in questo è perlopiù di stampo omosessuale, successivamente intorno al primo decennio del 2000 iniziano a delinearsi politiche più chiare sulle identità trans. Per autodefinirsi, gay, lesbiche, bisessuali e trans cechə guardano molto all’America e ai contesti anglofoni: anche se lo scambio di idee e di cose diventa più aperto e facile, si tratta pur sempre di un contesto in cui sviluppare una propria lingua che non sia solo un riappropriarsi dei molti termini offensivi è difficile.

 

L’intero Paese versa inoltre in una situzione che non è troppo rosea economicamente, perciò la nuova libertà sessuale coincide anche con maggiori possibilità di guadagno su questo fronte. Il crollo del modello economico comunista, sostituito abilmente dal modello economico capitalista, comporta non poche scosse di assestamento, anche sottoforma di dinamiche consumistiche: se prima non c’era che la scelta obbligata e imposta dall’alto, adesso le scelte sono tante – e scegliere è sempre un atto di grande responsabilità, a maggior ragione se bisogna reimparare a farlo. Il regista polacco Wiktor Grodecki arriva a Praga proprio in questo periodo, intenzionato a dirigere alcuni documentari sulla questione drammatica della prostituzione.

 

La famosa strada E22, che parte dalla Svezia per arrivare in Grecia, collega la Germania settentrionale con alcuni paesi cechi di un confine nuovamente aperto. La sezione della strada che va da Teplice al valico di Cínovec, attraverso Dubí, è diventata così particolarmente famosa per la prostituzione femminile che ha costretto il governo locale a prendere misure per preservare il decoro della città, per cui le prostitute possono continuare a lavorare solo dentro i night club e non per strada. La tratta sessuale degli esseri umani è un bel problema, soprattutto in un Paese in cui ad oggi non c’è una chiara legislazione riguardo la prostituzione. Sì, il traffico umano è illegale, come anche un’ampia serie di questioni che sono inevitabilmente legate alla prostituzione – lo sfruttamento, la corruzione di minore, l’abuso sessuale – ma dalla nascita del Paese nel 1993 si chiacchiera una legge che non è ancora arrivata, per cui ci si muove in un’area grigia di non illegalità, in cui le uniche argomentazioni proposte in parlamento hanno comunque più a che fare con questioni di tassazione e decoro che di tutela, che invece è una questione sempre molto complessa.

 

Questi luoghi vengono quindi identificati dai turisti sessuali in arrivo da Germania o dall’Austria (luoghi in cui la prostituzione è già all’epoca regolamentata e legale – ciò per dire che il movente dello spostamento non è l’impossibilità di trovare prostitute in patria) come posti in cui mettere in atto le proprie fantasie – e l’atteggiamento dei governi locali sembra essere anche lassista, basato su stereotipi razziali per cui in fondo sono le donne di origine rumena, minoranza molto presente nel Paese, a prostituirsi, non certo le donne ceche – la tratta sessuale in realtà coinvolge anche donne da diversi paesi limitrofi e non, in particolare ucraine. La realtà è che la situazione è complessa e una regolamentazione sarebbe complicata, anche perché chi si prostituisce non sempre rimane necessariamente a lungo nel paese, e in generale la prostituzione è un impiego che spesso non si trasforma in un’occupazione definitiva, moltə di coloro che si prostituiscono lo fanno anche saltuariamente o comunque passano dal paese e si spostano velocemente.

 

 

Grodecki dirige i due documentari Andělé nejsou andělé (Angels But Not Angels) nel 1994, Tělo bez duše (Body Without Soul) nel 1997, entrambi visionabili su Vimeo, e poi il film Madragora del 1997, che si può trovare su Youtube. L’attenzione di Grodecki non è dedicata alla prostituzione in generale, ma è diretta alla prostituzione omosessuale maschile che dilaga a Praga, e si vuole porre come una prospettiva quanto più possibile oggettiva e franca sul fenomeno. Infatti, le città di confine conoscono la prostituzione eterosessuale, ma a Praga anche la prostituzione omosessuale è molto presente nelle saune, in case di piacere e strip club, si infiltra molto spesso anche in ambienti dedicati alla comunità gay, ed è per questo che la situazione diventa ancora più complessa e scomoda.

 

Il legame tra la comunità e l’ambiente della prostituzione è liquido, nei club gay la situazione rende difficile decidere quando alcune iterazioni sono prostituzione e quando si tratta anche solo di pratiche saltuarie o di semplici flirt, ma ben presto è chiaro che la prostituzione non è di uomini gay e bisessuali verso altri uomini gay, ma molto più spesso di uomini che si identificano come eterosessuali e che fanno sesso con altri uomini solo dietro compenso. Si avvicinano a questa professione anche donne lesbiche, e moltə di loro spesso sostengono di poter separare vita sessuale privata e professionale, e che insomma la loro autostima e identità sessuale non sia toccata da ciò.

 

I due documentari di Grodecki si svolgono tramite interviste a giovani che si prostituiscono nei dintorni della stazione centrale e in diversi bar gay di Praga. La maggior parte delle interviste avviene in luoghi pubblici, e quando non è così le ambientazioni sono perlomeno strane: si possono vedere scene di ragazzi intenti a fare il bagno, o stesi su un letto, coperti solo da qualche cuscino, intenti a giocare alle slot. Non si capisce bene l’intento di queste messe in scena così esteticamente curate in quello che vorrebbe essere un documentario, soprattutto considerato che l’accompagnamento di queste immagine sono racconti di fughe da casa e disagi di vario tipo.

 

Le interviste offrono uno scorcio delle dinamiche interne all’ambiente – la differenza tra chi si muove nei bar e chi alla stazione centrale della città, l’invidia per i bisessuali che possono lavorare con più clienti e poi non subire la gogna pubblica perché possono tornare dalle loro ragazze, la paura per l’AIDS in un momento in cui la campagna di prevenzione non è forte ovunque, il disprezzo per i ladri sia tra di loro che tra i clienti, le loro tariffe, cosa gli piace fare e cosa no.

 

Su CSFD.cz, un database di film e serie tv cecoslovacchi, cechi e slovacchi, c’è al momento un solo commento sotto il secondo documentario, Tělo bez duše. Il 14 dicembre del 2020, alle 18:40, l’utente Wez scrive:

 

Che scrivere di questo documentario??? […] Sono riusciti a rendere questi giovini che fanno le prostitute dei poveretti che in pratica non avevano altra scelta se non battere,ma quando ascolti le loro storie,poco a poco svelavano la loro vera faccia-che tutti fino all’ultimo sono solo degli stronzi furbetti a cui fa schifo il lavoro fisico proprio nello stesso spirito che la nostra gioventù václav havel e il suo squadrone ha imparato dagli anni ’90:che il lavoro manuale è inferiore e comunista-tutti volevano andare alle slot machine, a drogarsi, volevano un sacco di cose belle-e tutti fino all‘ultimo di questi deficienti senza sgobbare!!!!Neanche da uno di loro ho sentito dire che ha avuto un lavoretto da qualche parte, è stato cacciato da lì e quindi è andato a battere-nemmeno da uno!!! Sono andati tutti a praga e hanno iniziato subito a succhiare uccelli e dare il culo-faccio notare in modo completamente volontario e assolutamente nessuno li ha costretti a farlo, come anche il girare porno da Pavel Rousek ‘la carogna’, che è stato l’unico di tutto il documentario che mi è risultato più o meno simpatico,perché si serviva solo della situazione-ma quelle giovani checche gli strisciano dietro e lui è stato l’unico che il documentario ha provato a descrivere in luce negativa perché secondo loro li usava…

 

Non so,però mi permetto di dire che metterei al muro con la coscienza del tutto a posto i giovani attori di questo documentario, ‘clienti’ inclusi, e li fucilerei tutti quanti-eventualmente andrei in qualche cava di pietra e lì li farei lavorare fino a crepare senza alcun rimorso-perché per me non sono neanche persone-per me sono solo sporchi batteri che dovrebbero essere già abortiti nel grembo!!!!!

 

Questo commento ha un valore molto interessante rispetto alla situazione analizzata dai documentari. In primis, è da notare la percezione per cui la situazione dei ragazzi che si prostituiscono è una questione di responsabilità personale: dai paesini di provincia da cui molti di loro vengono si trasferiscono a Praga, per poi scontrarsi con una realtà molto diversa dalle aspettative – soprattutto con le difficoltà a trovare lavoro o un posto dove stare. La droga, il gioco, il sesso diventano gli interessi particolari della nuova generazione, capitanata nel suo rifiuto del lavoro da Václav Havel, ultimo presidente della Cecoslovacchia, nonché primo della Repubblica Ceca.

 

Mandragora (1997)

 

Ricercando ulteriormente questo collegamento sul web, salta fuori in diversi articoli una presunta lettera di complimenti da parte di Havel a seguito della visione di Mandragora nel 1997, film basato sul secondo documentario. Il film sarebbe stato infatti visto dal presidente durante una delle proiezioni a festival che gli avrebbero fruttato diversi premi, e la lettera in questione sarebbe stata pubblicata in un numero del giornale Mladá Fronta. Non mi è stato possibile trovare o leggere questa lettera, ma a prescindere dalla sua esistenza o meno è interessante notare il legame ripreso in queste occasioni tra la figura di Havel e il fenomeno della prostituzione e della pornografia gay in Repubblica Ceca. Egli guida il paese durante la prima esperienza democratica dopo decenni – la percezione della sua figura, legata alla Rivoluzione di velluto, sembra essere abbastanza distante da quella dei suoi due successori, Klaus e Zeman, dichiaratamente omofobi. Negli anni ’90 infatti si esprime a supporto dell’attivismo LGBT+, in particolare riguardo le unioni registrate, ma non c’è traccia di altri commenti riguardo le questioni accennate dai documentari o dal film.

 

Allo stesso tempo, proprio nel 1997 Havel tiene un discorso in parlamento per riportare quello che è ormai un senso comune nella popolazione, ovvero la disillusione di un futuro brillante nel capitalismo. Il disincanto emerge sicuramente nel corso dei documentari, lo sguardo del regista cade spesso sui simboli americani sparsi in maniera naturale per la città, che nelle lenti di Grodecki è la buona vecchia Praga nebbiosa, cupa e accompagnata da musica adeguatamente drammatica.

 

In entrambi i documentari, di tutti i ragazzi intervistati complessivamente solo una cifra esigua si identifica come gay o bisessuale, gli altri raccontano che hanno scelto questa professione solo temporaneamente, per mancanza di alternative o per i soldi facili e veloci. La situazione si delinea in maniera ancora migliore quando ci si sposta nel mondo del porno. Quando in Tělo bez duše viene intervistato uno dei maggiori registi dell‘industria porno ceca, il sopracitato Pavel Rousek detto ‘la carogna’, egli afferma che in realtà molti clienti stranieri sono specificatamente interessati a vedere uomini e ragazzi eterosessuali nei filmini. Già dai racconti dei ragazzi emerge un certo atteggiamento dei clienti, i quali sono spesso uomini ricchi, certamente più ricchi dei cechi, molto spesso tedeschi non troppo perbene.

 

Il collegamento tra il porno gay e la comunità LGBT+ in questo contesto diventa indiretto e sottile, perché i papponi e i produttori, che spesso si rivolgono a loro per trovare attori, non sono gay, non cercano altri gay – allo stesso tempo non è nemmeno un caso che molti attori siano eterosessuali, e che Grodecki calchi molto la mano sulla loro ingenuità fondamentale e su quanto siano disgustose per loro alcune pratiche a cui devono sottostare, per esempio quelle legate al BDSM – percezione che da parte loro è più che comprensibile, dato che le attuano per profitto, e non in un contesto spontaneo.

 

Qui si ritorna al famoso trdelník, il dolcetto che non è nato qui, ma che spopola a Praga. Il filo che unisce il trdelník e il turismo del sesso è in ultima istanza lo sguardo orientalista che all’alba della Rivoluzione di velluto si è posato in maniera più insistente a Praga – un qualcosa che è improvvisamente ovunque in città, ma nessuno sa bene per quale via ci sia arrivato. Il turista che negli anni ’90 va a Praga alla ricerca di sesso con giovanə ragazzinə, o che preferisce consumare una pornografia gay in cui l’attore coinvolto è un ragazzo eterosessuale, è innamorato di un certo tipo di mascolinità (e di femminilità), di una città sessuale e flessibile fino all’estremo – dell’immaginario della “nuova Amsterdam” in cui tutti sono aperti a tutto.

 

Così facendo l’industria del sesso si concretizza davvero in quella degenerazione esportata dall’Occidente, ma con lei anche l’idea di sesso, di omosessualità e di sex work, perché il documentario si preoccupa molto di rendere il dramma della loro condizione – non si smette di riprende il ragazzo che piange per un amico morto di AIDS, ma curiosamente non si sofferma sulla situazione nazionale, su eventuali campagne di prevenzione, sull’informazione mainstream a riguardo, sull’operato di associazioni che si propongono di tutelare chi ne è a rischio, o anche sulla percezione generale della malattia: insomma sì dar voce al dramma, ma senza incastonarlo in qualche tipo di contesto ulteriore, se non quello della subcultura gay, a cui però ha ragione di essere collegato principalmente in un ottica di estrazione di profitto da e a scapito, non certo in un’opera di inclusione sociale.

 

A Praga ci sono interi quartieri associati alla prostituzione, ad esempio a Žižkov (Praga 3) la sua presenza contribuisce in parte alla sua brutta reputazione. Al momento, ancora nessun quartiere gay.

 

 

 

Bibliografia

 

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