Visioni diurne: Chagall e piani di realtà

C’è qualcosa sull’arte che continua a sfuggirci da secoli, ma che era evidente ai figli delle epoche che ormai ci guardano da lontano. Il ruolo dell’artista era – ed è – non differente da quello di una sacerdotessa o di un oracolo, che comunica con quell’oltre-mondo dai contorni immutabili,  fondamento della nostra realtà, per svelarne agli altri le trame.

Nella sua corrispondenza con Aleksandr Nikolaevič Benois, Chagall confessò all’amico che la possibile esistenza di questo oltre-mondo aveva stretto i suoi pensieri in una morsa. Il suo sospetto divenne infine una certezza. Ritrovatosi solo a Parigi per perseguire la sua carriera di pittore, Chagall scoprì il linguaggio che lui stesso definì “intinto […] in quell’alfabeto colorato che era la Bibbia”. Noi aggiungiamo in quella forma poetica pura in cui la Bibbia è scritta. Un linguaggio emotivo, quindi, che Chagall imprimeva sulla tela come una foto ai raggi x. Abbiamo già accennato in precedenza la natura evocativa dell’arte in un post su Kandinskij, che illustra ampiamente il suo pensiero nella sua opera Lo spirituale nell’arte.

Se per Kandinskij però l’uso dei colori è lo stimolo che apre la porta all’esperienza mistica e spirituale, per Chagall rappresenta la fedele emanazione dei moti interni all’uomo. Non stiamo parlando di contatti ultraterreni o di forme di escapismo, ma di giardini interni. I mondi dipinti dal pittore non sono proiezioni, ma visioni che esistono sovrapposte al nostro mondo. Non luoghi da visitare in sogno, bensì realtà che si manifestano durante il giorno. Sono mondi il cui accesso è sempre più difficile, e l’arte costituisce uno dei pochi mezzi che ne facilita il contatto. L’opera di Chagall ha senza dubbio il merito di essere inserita tra quelle che Kandinskij definì “spirituali”, ossia che permettono all’uomo di affacciarsi su panorami “oltre-reali”.

Come pittore, inoltre, Chagall fu in grado di trascendere dogmi artistici e affermare il libero stato dell’arte, che va al di là della logica del mercato. L’atto artistico è creazione che muore, o peggio ancora non nasce, se soffocata dai limiti che critici d’arte ed esperti del settore le impongono. Se l’atto artistico però è più forte del dogma, sarà egli stesso a spostare più in là il limite che la critica le aveva imposto.

 

 

All’inizio del novembre scorso, due delle anime del progetto Est/ranei sono state ad una mostra di quadri e illustrazioni di Chagall tenutasi a Palazzo Albergati a Bologna. Il progetto non era ancora nato, ma avevamo già in mente di dedicare a Chagall un articolo nel nostro sito, che al tempo era ancora in costruzione. Oggi vi portiamo la testimonianza di queste visioni oniriche che potranno essere per voi, forse, un profondo respiro non solo oltre le mura domestiche, ma oltre le mura del reale.

Prima di cominciare, però, è doveroso chiarire un punto: questo articolo non affronterà l’opera di Chagall da un punto di vista esclusivamente tecnico, ma piuttosto anche sensoriale: ciò che ci interessa in questo frangente è l’influenza che un prodotto artistico ha sull’uomo. Vogliamo fornire un’esperienza dell’arte e non una semplice “fruizione”. L’arte senza interazione umana muore, smette di esistere. E dal momento che l’arte deve essere liberamente goduta da tutti, quest’oggi la racconteremo senza soffermarci su tecnicismi, ma cercando di instaurare un dialogo sincero con la Musa. 

Detto questo, disperdete i pensieri inutili e preparate la mente ad accogliere questo sogno ad occhi aperti che è Chagall.

 

 

Simboli in Chagall

Siamo stati abituati a vedere l’arte categorizzata in correnti. L’opera di Chagall è stata definita “primitivista” o naïve, ma se ricorro all’esempio di altri pittori definiti primitivisti, come Paul Gauguin o Paul Klee, capirete immediatamente il limite di questa categorizzazione. In che senso, quindi, Chagall era un pittore primitivista? Che cosa indica una tale etichetta applicata a lui? Tenteremo di spiegarlo nel modo più concreto possibile.

Tenendo in considerazione che per arte primitiva si intende un tipo di stilizzazione che richiama motivi primitivi e folcloristici, l’arte di Chagall è primitiva non per la forma stilizzata in sé (o almeno non totalmente), ma per la rappresentazione del mondo che ci dà. Nonostante la presenza nella sua opera di elementi moderni, la realtà che Chagall ci restituisce è piena di echi ancestrali. I simboli “primitivi” che compaiono nelle sue tele, hanno la stessa valenza magica dei simboli usati dai nostri lontani avi; sono in grado cioè di suscitare nell’osservatore una forma di “stupore” magico di fronte ai fenomeni del mondo.

Le sensazioni di stupore che Chagall riesce a trasmetterci attraverso i simboli nelle sue tavole oscillano tra il fantastico e il perturbante. Quando parliamo di perturbante intendiamo un elemento angoscioso che si insinua nella nostra quotidianità. Un esempio lo costituiscono le fiabe. Nella favola di Cappuccetto Rosso, la giovane si ritrova di fronte a una versione grottesca e sinistra della nonna – il lupo travestito – senza saper comprendere però cosa è cambiato. In Chagall questo aspetto non sfocia in uno straniamento totale come avviene per esempio nei racconti di Hoffmann, ma piuttosto ricopre un ruolo analogo all’elemento sovrannaturale nell’Orlando furioso.

 

 

Non fu un caso che a illustrare molte delle favole di Esopo fu proprio Chagall. Durante il nostro percorso all’interno di palazzo Albergati, ci siamo imbattute nelle tavole che contenevano proprio le illustrazioni delle favole. Le percezioni visive che emanavano indossavano gli attributi dell’infanzia. La cicogna imbocca una volpe goffa e sul punto di strozzarsi mentre la vegetazione attorno si chiude sui due animali con fare inquisitorio. Gli scheletri che scrutano da dietro gli alberi hanno un aspetto clownesco e al limite del grottesco. Non sembrano però volerci spaventare, ma sembra vogliano ricordarci più il senso giocoso della vita che la sua precarietà. Un’altra tavola racconta l’ossessione amorosa di un uomo per il suo gatto che, infine, si trasforma in donna mantenendo però nel suo aspetto tratti felini che la rendono straniante e sconcertante. Non molla il contatto visivo con lo spettatore e lo fissa malinconicamente, quasi a implorarlo di renderla nuovamente un gatto.

Un altro elemento fondamentale nelle opere di Chagall è la ricostituzione di un ordine pre-cosmico ordinato: i suoi mondi mancano di quella razionalità che oggi dirige la nostra esistenza. Ogni fenomeno è nuovo e sconosciuto e il linguaggio ancora non conosce la differenza tra ciò che è un ideale e ciò che è materiale. Tutto convive in un’armoniosa condizione di caos non ascrivibile a categorie semplici. L’uomo non è uomo, ma è solo il concetto che lo rappresenta. La sua immagine si scinde in più volti mentre le membra si scompongono in pose innaturali. Non esiste direzione e il colore è riflesso dello stato emozionale e non descrizione attendibile della realtà.

Gli animali sono padroni di questa dimensione al pari dell’uomo e possono improvvisare assieme a lui un concerto nel cielo così come possono farsi portare in spalla da un acrobata mentre si cimentano in un numero di giocoleria sotto al tendone del circo. Il mondo dei circensi è uno scenario ricorrente nei quadri del pittore. Il microcosmo che lo compone è governato da un linguaggio differente da quello della parola. Libero dalle leggi del mondo degli uomini, acrobati e pierrot comunicano col movimento, con mazzi di fiori che lanciano al pubblico e coi i colori dei loro costumi. Non c’è fraintendimento in questo mondo, poiché il loro linguaggio è scevro dall’ambiguità della parola.

 

 

Il collasso delle linee

La linea ha un ruolo indispensabile nella creazione del prodotto artistico. Contiene non solo la forma, ma il movimento stesso del soggetto. Come afferma Kandinskij in Punto, linea, superficie: “La linea geometrica è un ente invisibile. Essa è la traccia lasciata dal punto in movimento, quindi un suo prodotto. Essa è sorta dal movimento […]. Qui ha luogo il salto dalla staticità al dinamismo.” Il tratto lasciato dalla linea permette all’immagine di diventare movimento che arreca in sé un significato.

Ciò che però osserviamo nelle opere di Chagall è una continua rottura del limite creato dalla linea. Il colore invade spazi che non gli appartengono, rompendo il rapporto che esiste tra lui e la linea che lo contiene. Paradossalmente, questa insurrezione dei colori crea per contrasto un nuovo movimento.  Le forme collassano, si staccano dal proprio scheletro, facendosi esse stesse movimento. Le linee continuano a esistere, ma non delimitano nulla, c’è fuga di forme e colori in ogni direzione. L’immagine continua ugualmente a essere un’unità, non c’è dispersione. Ciò accade poiché l’interazione di colori e linee crea una nuova dialettica che si dispone su piani diversi di realtà. Chagall se ne serve per creare una nuova narrazione che sia in grado di raccontare la realtà invisibile. È in questo modo che intravediamo nel ventre di una donna il suo bambino o in quello di un’amante il futuro frutto dell’unione con il suo amato.

 

 

Ancora, non stiamo parlando di piani immaginari, ma semplicemente invisibili. Vivono sovrapposti e al contempo uno all’interno dell’altro, esattamente come accade ai riflessi di due specchi posti l’uno di fronte all’altro. Le possibilità di questo linguaggio sono infinite e Chagall non teme di darcene la prova invitandoci a notare tutti i piani di realtà che ha celato nel suo quadro. Ecco che nella fronda di un albero sta incastrato un sole ed ecco ancora che in una piega del cielo ammicca il muso di un cavallo. Ed ecco la luna, che invece di pendere dal cielo se ne sta accanto a un uomo come fosse seduta a terra. Nascosto fra i fiori di un vaso c’è l’ala dell’angelo che sorveglia gli amanti. Questi non sono capricci artistici, me espressioni emotive. L’angelo che appare spesso vicino gli amanti è simbolo di un amore sia divino che sensuale e al tempo stesso capace di superare entrambi questi piani. È una rappresentazione che contiene la stessa energia passionale del Cantico dei cantici, che peraltro Chagall illustrò.

La bellezza di queste narrazioni è data dall’ingenuità che caratterizza i disegni dei bambini. I bambini non disegnano ancora imitando la realtà, ma ricreando uno scenario che si delinea nella loro mente. È proprio in questa disarmante semplicità che si nasconde l’atto creativo, che non è imitazione, ma creazione.

 

 

Linguaggio biblico poetico

Nato in un paesino non distante da Vitebsk in Bielorussia, il vero nome di Marc Chagall era Moishe Sagal.  Di origine ebraica, i suoi quadri sono costellati di scene dell’Antico Testamento. Ciò che emerge dalle sue opere però, va al di là della raffigurazione biblica tipica dei dipinti religiosi esposti in chiese e cattedrali. A dominare gli scenari dei suoi dipinti è la tenerezza del linguaggio poetico di matrice arcaica. Per quanto l’accostamento di poesia e Bibbia possa suonarci insolito, le sacre scritture usano in realtà un linguaggio poetico, intessuto di metafore e immagini simboliche. Il linguaggio poetico della Bibbia era già stato preso a esempio da poeti e filosofi come Klopstock e Hamann, che vedevano in questo linguaggio la capacità di cogliere sensazioni e passioni della natura.

La spiritualità di Chagall è imbevuta dell’insegnamento biblico nella sua forma più pura. La poesia è un linguaggio divino e in quanto tale è lo strumento che ci mette in comunicazione con quel mondo altro (o se preferite Dio) che è dentro e non fuori da noi.

 

 

Chagall riesce a tradurre questo linguaggio in immagini, servendosi della stessa potenza tipica della poesia. Per lui l’immagine era emozione interna e per questo motivo diede vita a una poetica che potesse restituire in linee e colori la forma pure delle emozioni.

Marc Chagall vedeva ciò che i nostri lontani parenti erano in grado di vedere, ovvero quell’enorme potenziale dell’arte di esteriorizzare ciò che stava nel profondo, scomponendolo in simboli universali comprensibili a tutti. Concepito nel contesto sacrale e sopravvissuto all’avvento del razionale rifugiandosi in fiabe e non solo, la semplicità del simbolo primitivo ha ancora un forte ascendente su noi, ascendente che però si sta affievolendo sempre più, poiché ogni nostra forza è incanalata nella costante e corrosiva attività mentale richiesta dal lavoro e dal costante obbligo (sottinteso) di partecipare alla vita virtuale. L’unico modo che abbiamo di sottrarci a questa vampirizzazione è allenare la nostra seconda vista mettendoci in comunicazione con opere come quella di Chagall. Noi abbiamo tentato di fornirvi uno strumento – Chagall – vi sfidiamo ora a cercare nella nostra realtà le visioni diurne raccontate nei suoi quadri.

 

(Tutte le foto sono state scattate da Giorgia)

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