La letteratura di Olga Tokarczuk mi ha insegnato che nascere e crescere in una regione di confine dimenticata dal mondo ha i suoi vantaggi. Potrei dilungarmi in panegirici dell’osservazione del mondo dal margine, del sostrato multietnico e multilinguistico o della pluralità di voci che compongono il tessuto sociale di una siffatta area, ma oggi sarò più venale. Ogni tanto, infatti, anche il Friuli-Venezia Giulia regala qualche gioia, in questo caso la notizia del conferimento all’autrice polacca del premio “La storia in un romanzo” nel corso di PordenoneLegge, manifestazione letteraria molto conosciuta e apprezzata sul territorio che lo scorso anno aveva conferito lo stesso riconoscimento a Svetlana Aleksievič.
Nello stesso periodo in cui Internet impazzisce per Among Us, ho potuto sperimentare sulla mia pelle il brivido dell’infiltrato. È più o meno da luglio che mi sono ingegnata in preparazione a questo articolo importunando chiunque per ottenere un accredito, dall’ufficio stampa della kermesse all’assistente dell’autrice e alla sua traduttrice, senza dimenticare i professori che mi hanno corretto il polacco più che opinabile delle mie mail, e che sicuramente staranno leggendo.
Non mi dilungherò sull’andamento della giornata, sia per risparmiarvi informazioni inutili che per becera scaramanzia nel caso di eventuali risvolti inaspettati. Ho scelto di scrivere quest’introduzione come una dichiarazione di esclusione di responsabilità da tutte le domande -tranne la prima- poste nel corso della conferenza stampa. Speravo in cuor mio di poter intervenire più di una volta, ma i giornalisti presenti erano una ventina per una mezz’oretta scarsa di tempo. Ciò nonostante, mi auguro ugualmente che questo botta e risposta possa piacervi o tornarvi utile. Almeno per me lo è stato.
A presto con la trascrizione del dialogo dell’autrice con Włodek Goldkorn, svoltosi la sera stessa al Teatro Verdi di Pordenone.
Tokarczuk: Anzitutto volevo ringraziare di essere venuta qui e in queste condizioni così faticose. Attraversare in viaggio l’Europa, in macchina, come ho fatto io, porta con sé in quest’epoca di pandemia una serie di interrogativi, innanzitutto su cosa sia l’Europa, su quale aspetto avrà il futuro, su quale sarà la forma della società e se ci saranno altre occasioni d’incontro. Penso abbiate fatto benissimo a organizzare il festival, pur con tutte le misure precauzionali del caso, perché credo sia importante non arrendersi e continuare a organizzare una comunità, soprattutto se fondata sullo scambio tra culture diverse. In Polonia anch’io sono l’organizzatrice di un piccolo festival che ha avuto luogo a luglio, è andato tutto bene e nessuno si è ammalato.
Vorrei ringraziare la direttrice della banca che promuove questo premio, guardo con particolare ottimismo al fatto che le banche si stiano assumendo delle responsabilità nei confronti della società e della comunità, vedo che sempre più spesso questi enti vanno oltre il loro ruolo prettamente economico e finanziario e si rendono responsabili nei confronti della società, consapevoli del potere che hanno. In Polonia in questo momento c’è una lotta per i diritti degli animali, e accade che alcune banche abbiano preso posizione in questa lotta, schierandosi ad esempio contro gli esponenti del business delle pellicce, e hanno quindi assunto il proprio ruolo anche da un punto di vista etico e morale.
D: C’è una forte presenza delle donne nell’attivismo, ambientale e politico, che è anche quello che sta accadendo in Bielorussia nelle proteste contro Lukašenko. Al di là della presenza femminile in strada, le giornaliste indipendenti hanno formato un cordone attorno alla casa di Svetlana Aleksievič per proteggerla dagli attacchi. Questa tutela reciproca tra letteratura e attivismo si è vista anche in Polonia, con il cartello “Janina Duszejko non vi perdonerà” riferito a Guida il tuo carro sulle ossa dei morti. Mi è sembrata una forma concreta di gratitudine per i mondi possibili e immaginati, un continuo scambio tra il piano della letteratura e quello dell’azione. Cosa ne pensa?
T: Appartengo alla generazione che dopo la rivoluzione dell’’89, di Solidarność, dopo la caduta del Muro e la rivoluzione democratica credeva che la letteratura si sarebbe liberata dal giogo della politicità. Pensavo che come letterati ci saremmo occupati di problemi profondi dell’esistenza umana, dell’essenza, della bellezza del mondo o comunque della dimensione della sfera privata. Ma presto mi sono accorta, come giovane scrittrice, che il mondo inteso in senso globale è denso e intriso di politica, è intrecciato strettamente con la politica e non è possibile disgiungerlo da essa. Tutto è politico: ciò che mangio, ciò che dico, ovviamente, come viaggio, tutto è politico. Penso che i lettori oggi siano più consapevoli, più coscienti, e che essi stessi trattino la letteratura come un modo per interpretare e guardare il mondo. Sono i lettori stessi a chiedere alla letteratura che tratti di temi attuali, il compito dello scrittore oggi è far sì che però questo non sia didattico, primitivo, semplicistico, in una parola propagandistico. Quando ho scritto il libro che hai citato mi sono trovata di fronte a un grande problema, ossia come non cadere nel sentimentalismo, nel patetismo, come non ricattare in qualche modo il lettore e allo stesso tempo come tenere insieme sia il contenuto, la trama del libro, sia il messaggio etico che lo innerva. Ho scelto l’umorismo nero che è sempre la miglior medicina a tutto.
D: Lei viene definita femminista, ambientalista e progressista, politicamente vicina ai Verdi – oltre che scrittrice straordinaria, ovviamente. Si riconosce in queste definizioni o sono fantasie di noi giornalisti?
T: Penso che alcune di queste definizioni sì, mi rispecchino, altre credo siano eccessive, ma in senso a volte anche positivo. Vengo spesso definita un’attivista: lo ritengo un enorme complimento, ma per natura sono molto introversa, quindi non ho quel tipo di natura del reale attivista. Quando è stato pubblicato Nella quiete del tempo, uscito ora in Italia in edizione aggiornata, mi sono accorta che milioni di persone avevano letto questo libro, e mi sono resa conto della forza che avevo come scrittrice, della forza che avevo e potevo indirizzare verso il bene.
D: Volevo sapere come ha vissuto intanto la vittoria del premio Nobel, poi il periodo del Covid e anche cosa le ha insegnato.
T: Attiro verso di me cose strane e fuori dall’ordinario, anzitutto perché come sapete ho ricevuto questo premio un po’ a ritroso, cioè per l’anno precedente, ossia il 2018, mentre nel 2019 è toccato a Peter Handke. In secondo luogo perché, nel momento in cui avevo appena ricevuto il Nobel e mi preparavo dunque a incontrare il resto del mondo e a una serie di tournée, si è verificata l’epidemia e si è stati costretti tutti al lockdown in casa. Questa è la terza volta che esco e prendo parte ad un’occasione pubblica dopo la chiusura in casa, a dir la verità quindi non ho ancora avuto il tempo di fare l’esperienza di essere un premio Nobel.
D: Lei ha fatto un lungo viaggio, è abituata ai viaggi lunghi, lo sappiamo. Prima ha detto che in macchina si è posta tante domande su com’è stata quest’Europa post pandemia: una delle impressioni, una delle idee che le è venuta mentre viaggiava attraverso questa Europa?
T: Sono ormai alcuni anni che viaggio con mio marito con calma in macchina ed è un’occasione unica per poter chiacchierare, perché casa nostra è diventata un’ufficio. Credo che questo tempo lungo del viaggio dia a chi viaggia la consapevolezza di rendersi conto di come lo spazio attorno a lui cambi, di come si modifichi la natura, la luce stessa, e di come il corpo abbia modo di adattarsi e reagire a questi cambiamenti. In una delle pause che abbiamo fatto ci siamo fermati a Vienna e abbiamo visitato il Kunsthistorisches Museum. Devo dire che è stato un piacere enorme passeggiare con calma tra le sue sale, guardare negli occhi i maestri del passato, le loro opere, pensare a come avevano vissuto, quale società avevano creato e di come quella società, quel mondo, sia ancora correlato e intrecciato al nostro. Adesso c’è la tendenza a ricercare sempre il nuovo, la scoperta, l’invenzione, l’andare sempre avanti, e dimentichiamo invece quella che è la dimensione che sta dietro di noi, tutta l’esperienza che si è raccolta alle nostre spalle. Credo che in questa corsa folle abbiamo perso la capacità di comprendere le metafore, le allegorie, e siamo diventati incredibilmente letterali e concreti. Credo che un esempio di questo modo di pensare alla lettera, che ormai non capisce più la metafora e l’ironia, siano i crescenti fondamentalismi che ci circondano, che vedono tutto come bianco o nero.
D: Volevo chiederle che effetto le fa rivedere questo suo libro che adesso Bompiani fa tornare in libreria, che significato ha per lei a distanza di tempo e se sta lavorando a qualcosa di nuovo. E poi scusi, volevo chiederle se ci può dire qualcosa di più sul dopo-Nobel, com’è stata quell’esperienza che ha vissuto, anche del doppio Nobel della premiazione.
T: Nei confronti di questa nuova edizione di Nella quiete del tempo mi sento un po’ strana, perché l’ho scritto venticinque anni fa e non me lo ricordo quasi più. Ma resta un libro per me fondamentale, perché dopo il successo che ha ottenuto in patria questo libro ho potuto liberarmi del lavoro di psicologa che facevo prima e occuparmi a tempo pieno della scrittura. La domanda la rivolgo dunque a voi, ai lettori: questo libro funziona ancora, agisce ancora in qualche modo dopo venticinque anni? Cosa posso aggiungere poi ancora sul Nobel… Ho la sensazione che si tenda a divinizzare gli autori che vincono il Nobel, che li si metta un po’ sul piedistallo. Ho l’impressione che ci si aspetti questo da me e non riesco a venirci a patti. L’aspetto positivo di ricevere il Nobel, però, è la totale libertà che esso mi ha portato. Adesso mi sento libera di scrivere tutto ciò che voglio e come voglio. A breve uscirà in Polonia un volume di saggi, un tomo che raccoglie saggi scritti negli ultimi anni, ed è piuttosto grosso, non mi ero resa conto di quanti ne avessi scritto. Conterrà anche delle lezioni che ho tenuto, e il titolo di questo volume è “Czuły narrator”, ossia “Il narratore tenero”, che è anche il titolo del discorso che ho tenuto per il Nobel.