Italiani veri: storia del pop italiano in Russia dagli anni Sessanta a Ciao 2021

Sole a Milano, ragazzi con la giardinetta, maschi italiani e tanto, tanto trash: gli speciali di Capodanno di Ivan Urgant sono ormai divenuti un fenomeno di culto, ma se gran parte del dibattito online e sulle testate si concentra sui due speciali russi, poco si sa del perché Urgant abbia scelto proprio l’Italia. La risposta è semplice: il pop italiano, lungi dall’essere parte della coscienza collettiva soltanto del nostro Paese, è stato parte integrante della formazione musicale e culturale dell’Unione Sovietica. Con i dischi di Robertino Loreti negli anni Sessanta e la messa in onda di Sanremo a partire dall’’83, la musica italiana è diventata una pietra miliare del portato emotivo di molte generazioni di epoca sovietica; e l’operazione di Urgant, lungi dall’essere soltanto parodistica, si rivela un pastiche di affetto, ironia e nostalgia.

 

E per discutere del sostrato culturale e del linguaggio televisivo di Ciao 2020 e Ciao 2021 non potevamo che parlare con Marco Raffaini, russista di formazione e autore del documentario Italiani veri, che attraverso una ricerca minuziosa e una serie di interviste incredibilmente eterogenee, che spaziano da Al Bano alla scena underground pietroburghese, esplora le pieghe della singolarità del pop italiano in Russia.

 

 

Partiamo da quello che è stato il tuo lavoro: che tipo di percorso hai fatto per la creazione del documentario? Da dove è nata l’idea e come ti sei mosso?

 

Allora, io ho studiato russo, sono laureato in russo e ho cominciato a frequentare la Russia nel ’91, durante il colpo di stato. Le cose che mi avevano colpito di più all’inizio erano quanto bevessero i russi e quanto ascoltassero e ascoltano tuttora la musica leggera italiana. Il primo è stato l’argomento della mia tesi di laurea; sul secondo avrei voluto lavorarci in seguito, e mi è sembrato che un documentario, un film, potesse essere l’opzione migliore, pur non avendo io nessuna formazione cinematografica. Soprattutto in quegli anni, essere italiano veniva legato a Celentano, a Robertino (che all’epoca non conoscevo) e a Toto Cutugno e funzionava quasi come un lasciapassare. C’era anche un certo imbarazzo nel dire che quella musica non mi piaceva e non la ascoltavo, proprio perché erano così entusiasti. Ma poi pian piano si inizia a capire il ruolo che ha avuto questa musica, perché allora non riuscivo a spiegarmi perché gente che in teoria faceva parte di un panorama culturale underground ascoltasse i Ricchi e poveri.

 

Come si è sviluppato questo culto della musica italiana?

 

La passione per la musica italiana nasce comunque da un amore e da un’apertura nei confronti dell’Italia, perciò chi riusciva a viaggiare di solito sceglieva come meta proprio l’Italia. In epoca sovietica, quando tutto era chiuso, il Partito Comunista Italiano era molto forte, quindi eravamo anche politicamente un Paese amico tra i nemici. Quindi sono arrivati prima i film del neorealismo italiano, poi è comparsa la musica. Inizialmente negli anni Sessanta c’era questo fenomeno di Robertino Loreti, che è stato citato anche in Ciao 2021, che era questo bambino di Roma dalla voce d’oro che è diventato famoso inizialmente nei paesi scandinavi, poi la sua voce entra non si sa come in Unione Sovietica e proprio lì negli anni Sessanta vende più di cinquanta milioni di dischi diventando un vero e proprio fenomeno. Tant’è che Valentina Tereškova, la prima donna cosmonauta, aveva chiesto di ascoltare le canzoni di Robertino in orbita. Questo lo racconta lui nel film ma ci sono tanti altri aneddoti, ad esempio prima di una partita di calcio tra le nazionali di Unione Sovietica e Italia, nel ‘62 o ’63, prima degli inni nazionali hanno fatto suonare dagli altoparlanti una canzone di Robertino.

 

Poi c’era stata una visita del presidente Gronchi in Unione Sovietica, e Chruščëv lo presentò dicendo: “Siamo onorati di avere ospite il presidente del Paese che ha dato i natali a personaggi come Leonardo, Michelangelo, Raffaello e Robertino” – e Gronchi non sapeva chi fosse Robertino. Ora, la fama di Robertino è stata spinta anche per motivi politici, perché era di famiglia comunista, era considerato l’erede di Claudio Villa, che in Unione Sovietica era famoso proprio per la sua appartenenza al PCI, ed era l’ottavo fratello di una famiglia povera. Quindi sì, il suo successo è stato sfruttato per motivi politici, però ha raggiunto livelli veramente incredibili, tant’è che ho scritto una sua biografia come progetto parallelo con il film. Così ho conosciuto Robertino, l’ho frequentato un po’ e poi siamo andati in Russia, dove la sua popolarità tra persone che erano giovani negli anni Sessanta era incredibile. Sembrava di andare in giro con Mick Jagger. Magari non lo conoscevano di faccia, però quando scoprivano chi era c’erano scene incredibili, gente che si metteva a piangere, gli regalavano i fiori… è stato interessante, insomma.

 

Dopo il fenomeno Robertino, negli anni Ottanta c’è stata l’esplosione degli altri cantanti resi famosi da Sanremo, perché a metà anni Ottanta la televisione russa ha iniziato a trasmettere la serata finale del Festival. Ormai la fame di cose che venissero dall’Occidente era talmente grande che bisognava lasciar filtrare qualche cosa, e la più innocua era il Festival di Sanremo. Poi c’era sempre questa immagine dell’Italia come terra di sole e amore, quindi è stato dato un lasciapassare a questo tipo di musica. Il tutto avveniva in un panorama in cui già a Leningrado, che era la capitale culturale, lo stesso KGB aveva aperto un locale, il Rok-Klub, per cercare di far sfogare un po’ questo panorama underground e tenerli sotto controllo con un pretesto. Ma da questo locale si sono formati tutti i gruppi rock alternativi degli ultimi anni dell’Unione Sovietica (molti dei quali sono tuttora in attività) che hanno contribuito a dare una spallata decisiva al regime. Con la musica italiana per la prima volta si poteva ascoltare liberamente qualcosa che venisse dall’Occidente senza bisogno di nascondersi, perché per ascoltare le canzoni rock inglesi e americane bisognava ascoltarle sulle radio straniere, di nascosto, nelle cucine. Chi conosce la realtà sovietica sa che c’era il pericolo di essere denunciati da un vicino di casa, se uno faceva dei discorsi politicamente pericolosi le pareti erano sottili e si sentiva tutto, quindi c’era sempre questa paura, il controllo era incredibile. Negli appartamenti sovietici la cucina era l’ambiente più protetto, perciò se si doveva far qualcosa di “proibito” lo si faceva lì. I libri proibiti si leggevano di nascosto in samizdat, e la stessa cosa succedeva con la musica. Ho visto un documentario sui Beatles dove chi riusciva ad andare all’estero portava i vinili in Unione Sovietica, poi questi vinili venivano duplicati e in alcuni casi venivano addirittura incise le lastre delle radiografie, che venivano poi vendute al mercato nero. Questo era il panorama da cui nasce la popolarità della musica italiana. Adesso è tutta un’altra cosa, ora è un fenomeno nostalgico che i giovani hanno vissuto tramite i genitori. I ragazzi non ascoltano direttamente la musica italiana.

 

Quindi c’è stato un cambiamento di paradigma su come i russi vedono l’Italia dopo il crollo dell’URSS?

 

Sicuramente continuano a vederla sempre in maniera abbastanza mitizzata, però qualcosa è cambiato, perché moltissimi russi quando hanno la possibilità di viaggiare vengono prima di tutto in Italia. Anche lo stesso Urgant ha spiegato che Ciao 2020 era nato perché aveva nostalgia dell’Italia, che visitava tutti gli anni durante le vacanze, e gli piaceva fermarsi a parlare con la gente. Penso che tutti gli artisti che hanno partecipato siano venuti più volte in Italia, e infatti si vede il gioco sugli stereotipi. Ho notato per esempio nella puntata di ieri una certa ricerca, anche il linguaggio è cambiato un po’. Il primo anno non avevo idea di cosa fosse Ciao 2020, poi ho cominciato a vedermi la bacheca Facebook piena di rimandi al tema e l’ho recuperato solo qualche giorno dopo. Mi sono divertito molto, ho pensato fosse una bella cosa da trasmettere in prima. Mi sono immaginato una cosa simile in Italia fatta da Amadeus, ma non la vedevo né la vedrei possibile.

 

Al di là di quello che è comunque partito da da un atto di ammirazione nei confronti dell’Italia, Ciao 2021 è stato anche un modo di giocare su questi stereotipi, non è stata solo una mitizzazione. La rappresentazione dell’Italia di Urgant è incredibilmente camp, artificiosa e improntata all’eccesso, c’è questa patina di finzione che crea un tipo di sospensione dell’incredulità completamente diverso. E un’altra delle differenze tra Ciao 2020 e Ciao 2021 è stato il cambiamento nel linguaggio televisivo, quasi come se tutte le aspettative e l’hype che si sono creati tra i due speciali, tra meme e risposte del pubblico, avessero condizionato le scelte autoriali.

 

Sono d’accordo, ha perso spontaneità. Trovo che il linguaggio quest’anno sia molto più ricercato, lo scorso anno la comicità scaturiva dalla spontaneità e quasi dall’improvvisazione del tutto. Qui invece c’è della ricerca che nonostante tutto mi ha fatto ridere, perché mi ha ricordato le prime volte che andavo in Russia, quando le persone che parlavano italiano erano poche, e chi lo parlava l’aveva imparato da testi classici, quindi sembrava di sentir parlare dei testi stampati. Mi ricordo di un mio amico che mi aveva detto “andiamo a giàcere nel parco” per andare a coricarci e leggere un libro in un parco, quindi mi ha fatto ridere perché mi ha ricordato questo modo di parlare, ma con Ciao 2021 il discorso è diverso. Secondo me ci hanno lavorato molto in questo senso, e hanno perso un po’ di spontaneità.

 

Oltre alla spontaneità c’è stato anche l’averlo pensato in riferimento a un pubblico italiano. Ciao 2021, almeno nella nostra fascia d’età, quindi tra i venti e i trenta, è seguito da molti più italiani che russi. Tendenzialmente il pubblico russo, come avevi detto tu prima, è un pubblico che associa a questo spettacolo una precisa fase della propria vita e della memoria collettiva che le persone nate a cavallo degli anni Novanta o del Duemila non hanno. Quindi c’è questa voglia di offrire un prodotto culturale di massa con un passato che è idealizzato o atemporale, perché si offre agli spettatori una rappresentazione parodistica di un’Italia che non esiste più adesso, ma che non è neanche mai esistita, e che va quasi a creare questo sentimento di nostalgia benevola e quasi caciarona. Diversamente dall’Italia, in Russia Ciao 2020 e Ciao 2021 hanno avuto maggiore successo nelle fasce d’età più avanzate, perché i giovani, proprio per la mancanza di un sostrato emotivo a cui attingere, non rimangono colpiti dallo spettacolo.

 

Mi riaggancio col film, quando lo promuovevo in Russia la difficoltà era appunto trovare un distributore, perché i giovani non ascoltavano più quel tipo di musica. In Russia sono proprio le giovani generazioni ad andare al cinema, mentre quando presentavamo il documentario le reazioni più forti venivano appunto da persone di generazioni precedenti che si commuovevano proprio per la nostalgia. È proprio un discorso legato alla nostalgia dei bei tempi andati, di quando la musica italiana era diventata famosa proprio per cambiarli, quei tempi. E sono d’accordo sulla ricezione, i miei amici russi per esempio non l’hanno guardato, l’anno scorso. Ho visto più un fermento qui, perché è divertente vedere parodizzata la cultura popolare italiana.

 

La ricezione del film è stata diversa tra Italia e Russia?

 

Mi ha sempre incuriosito il fatto che la gente ridesse in momenti diversi. In Italia si rideva per gli interventi dei cantanti italiani, che alla fine si prendevano in giro da soli, mentre c’era molta attenzione nei confronti di quello che dicevano i personaggi russi; in Russia era un po’ il contrario, stavano attenti a quello che diceva Al Bano e ridevano dei momenti dell’epoca. Ci sono stati anche episodi di persone della generazione che ascoltava Sanremo che si sono risentite dicendo che è una presa in giro dell’Unione Sovietica, per cui è sicuramente una differenza di percezione che c’è anche con Ciao 2020 e Ciao 2021. Proprio perché, come si diceva prima, le giovani generazioni non li ascoltano più, e non ha nemmeno senso per loro assecondare o inseguire le nostalgie dei genitori.

 

La questione della nostalgia è abbastanza divertente, nel senso che per l’appunto qua Ciao 2020 e Ciao 2021 sono stati seguiti principalmente da giovani per via dell’interesse per la decostruzione, per la parodia o per il trash. Ne Il trash sublime Žižek sostiene che questa venerazione per il trash, per questo recupero post-ironico di ciò che è aberrante o cringe, viene dalla mancanza di qualcosa che possa funzionare a livello contenutistico, estetico e formale, ed è quello che ho notato nella risposta dal basso, quindi di internet e dei meme. C’è proprio un recupero in chiave post-ironica che probabilmente sorge da vent’anni di berlusconismo, forse perché vedere questo linguaggio televisivo riproposto consapevolmente come parodia o come decostruzione, in assenza di altro, fa piacere a noi giovani. È un po’ come la comicità di Lundini o di Boris, ma con un’estetica anni Settanta, colorata e ricercata, con quella punta esotica russa che lo rende più finto. E che quindi paradossalmente ha un livello di finzione e ironia in più a separarci da quello che nel nostro concetto di italianità ci attrae e ci repelle, perché alla fine resta l’italianità delle soubrette procaci, delle pubblicità provocanti, dell’umorismo becero e di quel tipo di maschio italiano che ha fatto parte del linguaggio televisivo con cui siamo cresciuti noi di venti o trent’anni.

 

Non lo so, vi confesso che proprio per questo cambiamento di paradigma ho fatto fatica a seguirlo, perché rispetto all’anno scorso ha un effetto molto meno dirompente. Quando mi sono collegato alla diretta ho pensato che fosse la stessa cosa, ma una volta visto ho capito che era pensato quasi più per un pubblico italiano. E infatti non mi stupirei se venisse chiamato a Sanremo, mi sembra quasi naturale che possa andare così.

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