Al Festival di Cannes, pur non in quantità massiccia come a Venezia, la presenza del cinema dell’Est si fa sentire sempre. È così anche nella 75^ edizione, con tre film in concorso, tre nella sezione Un Certain Regard e uno nel festival collaterale, la Quinzaine. Avendoli visti tutti, di seguito si propone i migliori, chiaramente in una classifica soggettiva.
7. Butterfly Vision
Film di debutto del regista ucraino Maksim Nakonechnyi, racconta il ritorno di una soldatessa ucraina dalla prigionia, tema molto ricorrente nel cinema ucraino odierno (si pensi a Reflection di Valentyn Vasyanovich). Ciò che contraddistingue il film di Nakonechnyi è l’attenzione data al problema dell’estremismo in Ucraina (e del suo sfruttamento propagandistico da parte delle forze filorusse), nonché l’utilizzo di espedienti visivi fatti di interferenze, display, immagini di droni che coesistono con un immaginario metafisico-spirituale (viene ripresa la levitazione tipica di Tarkovskij, per esempio). È un film di debutto certamente particolare, ma che nella sua eterogeneità non sembra trovare una strada veramente significativa.
6. The Silent Twins
Il posizionamento di questo film non deve fraintendere, non si tratta di un film terribile, anzi. Si tratta del debutto in lingua inglese della regista Agnieszka Smoczyńska, già conosciuta per The Lure, che ripropone quindi le stranezze del suo cinema: il ricorso al musical, il cambio di tono improvviso, la peculiarità del tema, la presenza di gore. Basato su una storia vera di due sorelle gemelle che hanno smesso di comunicare con l’esterno e bollate di conseguenza come mentalmente instabili, sono state separate e rinchiuse in manicomio. Più che attenersi ai canoni tradizionali del biopic, il film si propone di descrivere la loro realtà interiore, spesso facendo riferimento diretto ai loro testi.
I registi dell’Est incontrano spesso difficoltà nella loro prima produzione in lingua inglese, ma non è il caso di Smoczyńska, complice forse il fatto che il suo stile già derivi parzialmente dal mondo occidentale dei videoclip. Nel cast c’è Letitia Wright, nota per il suo ruolo nei film Marvel.
5. EO
Vincitore del Gran Premio della Giuria, è anche il film di Jerzy Skolimowski meno caratteristico della sua carriera. Intriso di sperimentalismo, racconta le vicende di un asino, Eo (onomatopea polacca di ih-oh), che dopo essere stato sequestrato dal circo in cui viveva cerca il suo posto nel mondo. Se il film eccelle nelle parti inerenti all’asino e colpisce l’utilizzo di effetti visivi e tecniche che si potrebbero riscontrare davvero nei film più sperimentali di sempre (da vera galleria d’arte), il vero problema è l’aspetto umano: la qualità della recitazione degli attori è davvero bassa, le scene con i personaggi umani spesso hanno poco senso. Si salva Lorenzo Zurzolo, ma nemmeno il ruolo di Isabelle Huppert è così convincente. EO potrebbe essere un capolavoro d’avanguardia, ma purtroppo il fatto che non si focalizzi effettivamente interamente sull’asino è ciò che lo trattiene dall’essere collocato più in alto in classifica.
4. Tchaikovsky’s Wife
Kirill Serebrennikov è un regista particolare, su questo non c’è dubbio, e lo ha dimostrato con Petrov’s Flu al festival di Cannes dell’anno scorso (che si può recuperare su iwonderfull). Tchaikovsky’s Wife ricorda il film precedente di Serebrennikov per la forma, l’uso di piani sequenza elaborati e coreografie quasi da balletto, scene oniriche e un palette di colori specifica, ma qui si unisce alla dimensione storica, dando quasi una sensazione onnipresente nella mise-en-scène del marciume, di una realtà quasi avariata. Poco emerge della vita di Čajkovskij nel film, che si sofferma ad un aspetto meno noto, ma Odin Lund Biron sembra letteralmente la reincarnazione del compositore russo. Ha colpito tutti in sala l’interpretazione magistrale di Alëna Michajlova nel ruolo della protagonista, molto struggente. Per qualche motivo, nei primi giorni a Cannes si è sparsa la voce riguardo a scene controverse all’interno della pellicola, dipinte in modo molto esagerato rispetto a come poi si sono presentate nel film: certo, non si tratta di un film per famiglie, ma non è neppure un film di Gaspar Noé.
3. Metronom
Altro film di debutto, questo racconta della generazione anni ‘70 in Romania, del programma radiofonico Metronom di Radio Europa Libera e dell’accesso alla musica occidentale nel blocco Est attraverso una festa in casa tra adolescenti e le vicende di Ana, una liceale in procinto di passare l’esame di maturità. Film girato in un formato d’epoca, la pellicola 35mm, ricerca la sua innovazione in un’aderenza al passato, e rinnova il genere dei film di formazione storici, molto presente nel cinema esteuropeo (si pensi, in ambito rumeno, a Cum mi-am petrecut sfârsitul lumii di Catalin Mitulescu). Il ruolo di Vlad Ivanov, che si aggiunge al suo pantheon di personaggi legati al potere o meschini, subisce un’evoluzione che si esprime in un forte dualismo tra disponibilità ed aggressività. Varie scelte registiche ne fanno un film davvero notevole per essere un debutto nel cinema di finzione, e rendono meritevole il premio alla miglior regia ottenuto da Alexandru Belc nella sezione Un Certain Regard.
2. R.M.N.
L’ultimo film di Cristian Mungiu (regista di 4 Mesi, 3 Settimane, 2 Giorni) è anche il suo più complesso ed elaborato. Ispirato ad un vero fatto di cronaca il film riesce a descrivere con accuratezza chirurgica la realtà di un piccolo villaggio multietnico della Transilvania, in cui coesistono rumeni, ungheresi e tedeschi. Il titolo allude all’acronimo della risonanza magnetica, ma forse anche alle iniziali di rumeni, magiari e tedeschi (che in rumeno possono essere anche appellati come nemti). Si tratta di un film vasto per Mungiu, che solitamente si focalizzava su pochi personaggi, e che racchiude nel racconto un messaggio più universale sulla natura umana. Una continua presenza di dettagli nascosti, di indizi, scene poco chiare e i sottintesi delle dinamiche sociali che rendono complicata la coesistenza nella regione rende RMN un film forse quasi incomprensibile per chi non conosce la realtà sociale della Transilvania, ma questo non ne fa un film meno rilevante e potente.
1. Pamfir
Le gesta di Pamfir, uomo moderno dall’anima cosacca, che contrabbanda, affronta uomini in risse e si batte per la propria famiglia compongono un film di debutto davvero unico, e forse uno dei migliori film ucraini mai realizzati. Ambientato nell’Ucraina occidentale nel periodo della Malanka, una festa carnevalesca dalle origini pagane, è un film che gioca continuamente sul piano del passato che vive nel presente, e lo fa appunto attraverso il protagonista, a tutti gli effetti corrispondente ai canoni dell’eroe precristiano, ma proiettato ai giorni nostri. Non vi sono riferimenti alla situazione attuale, mentre il cinema ucraino sin dal 2014 si è quasi esclusivamente focalizzato sulla narrazione della guerra, ma ciononostante è un film che ripropone l’esistenza ucraina nella sua forma più ancestrale e tradizionale. Presentato alla Quinzaine, era tra i più papabili per il premio Caméra d’Or, che purtroppo non ha vinto, ma questo non rende Pamfir un film meno eccellente.