Capire la rotta balcanica: storie di persone in transito nei Balcani occidentali

Come tutte le questioni che riguardano i Balcani, anche l’aumento dei flussi migratori che dal 2015 ha caratterizzato la regione è un fenomeno estremamente complesso, ricco di sfaccettature, spesso spinoso. Per metterla in modo semplice, si potrebbe dire che la rotta balcanica in realtà altro non è che un insieme di percorsi che, collegano la Turchia con l’Europa Occidentale, attraversati da persone in transito che tentano di raggiungere l’Europa. I Balcani, parlando da un punto di vista strettamente geografico, sono il punto d’arrivo naturale per tutti coloro che fuggono da guerre e regimi dittatoriali nel Vicino e Medio Oriente: i migranti arrivano in Turchia, raggiungono la Grecia o la Bulgaria e spesso decidono di lasciare l’Unione Europea per tentare di entrarvi nuovamente, ma più a nord, con l’idea di cercare un futuro migliore in Europa Occidentale.

 

La complessità del fenomeni migratori in queste regioni diventa però evidente se si considerano la particolare situazione politica dei Balcani Occidentali. Certamente parte dell’Europa, ma non dell’Unione Europea (se si escludono Croazia e Slovenia), i paesi dell’Ex-Jugoslavia si possono considerare una regione pacificata dopo i conflitti degli anni Novanta, la cui stabilità politica non è però ancora da darsi per scontata. Questa situazione peculiare fa sì che la gestione della crisi migratoria veda una compartecipazione di vari attori (Unione Europea, governi nazionali, organizzazioni internazionali governative e non) che spesso hanno interessi contrastanti. La mancanza di comunicazione e  l’assenza di solidarietà sono risultate nell’assenza di vie legali e sicure di accesso all’Unione Europea, con conseguenze devastati sulle vite di chi la rotta balcanica si trova ad attraversarla. Dati questi presupposti, cercare di districare la rete di interazioni complessa che è caratteristica della rotta balcanica diventa prioritario se si vuole cercare di immaginare una gestione dei flussi migratori più efficace e più rispettosa dei diritti fondamentali delle persone in transito.

 

Rispondere a questa necessità di chiarezza è l’obiettivo di Capire la rotta balcanica, uscito nel 2022 per Bottega Errante Edizioni, a cura di Martina Napolitano: ponendosi in continuità con gli altri due volumi della casa editrice Capire i Balcani occidentali e Capire la Bosnia Erzegovina, il libro intende raccontare la rotta balcanica presentando dati inequivocabili accompagnati da testimonianze, in modo da restituire una versione più veritiera possibile dei fatti. Inoltre, come sottolinea Roberto Saviano nella prefazione, le vicende che riguardano le persone migranti nei Balcani Occidentali sono spesso inserite in una narrazione distorta e tossica: le politiche populiste che hanno ormai stabilmente preso piede in Europa Occidentale diffondono la menzogna dell’emergenza migrazione, focalizzandosi soltanto sulla presunta ondata di stranieri che si è riversata e si sta riversando in Europa senza tenere minimamente conto della complessità della situazione. La gravità di questa politica di disinformazione rende ancora più necessario soffermarsi a capire le dinamiche in cui si trovano immerse le persone in transito nei Balcani occidentali, di dare un senso al limbo in cui ormai da anni si trovano intrappolate, dal momento che non esiste alcun modo di arrivare in Europa in modo sicuro. 

 

I primi due capitoli di Capire la rotta balcanica, entrambi a cura di Luigi Tano, sono i più tecnici del libro: principalmente, si occupano di riportare gli accadimenti che dal 2015 ad oggi hanno caratterizzato il fenomeno che ha preso il nome di rotta balcanica. Così, il primo capitolo Asilo si concentra sulla crisi del sistema di accoglienza europeo: l’iniziale atteggiamento di apertura nei confronti dell’accoglienza dei migranti di Angela Merkel, che ha causato la creazione di corridoi legali verso la Germania, è stato sicuramente un primo passo positivo. In breve tempo, si è però trasformata in una soluzione funzionale solo in contesti di emergenza, che mancava di struttura e di senso di cooperazione con gli altri paesi Europei. Queste stesse lacune si sono rese ancora più evidenti quando il Consiglio Europeo ha approvato schemi di ricollocamento obbligatori, che dovevano coinvolgere tutti i Paesi dell’Unione, ma non sono mai entrati in funzione per via dell’opposizione dei Paesi dell’Europa Centro-Orientale. Il capitolo si conclude con il racconto dell’aggravarsi delle politiche di chiusura nei confronti dei migranti, tra cui spicca la decisone ungherese di costruire dei muri fisici al confine con Serbia e Croazia. Quando poi l’Unione Europea ha firmato un accordo con Erdogan, secondo il quale la Turchia si impegna a impedire ai migranti di raggiungere l’Europa in cambio di più di 6 miliardi di euro, la solidarietà europea è definitivamente venuta a mancare. Come è molto facile prevedere però, dichiarare chiusa ufficialmente la rotta balcanica non è come chiudere un rubinetto: nonostante gli accordi, le persone in transito lungo la rotta balcanica hanno continuato ad esistere, con l’unica differenza che adesso la responsabilità di gestirne i flussi è ricaduta in gran parte sui paesi dei Balcani occidentali. 

 

Il secondo capitolo Frontiere parte da questo punto per analizzare come hanno reagito i governi della regione all’onere della gestione dei flussi. Luigi Tano evidenzia come la stessa politica di chiusura propria dell’Unione Europea sia stata applicata anche nei Balcani occidentali, e che questa chiusura è resa evidente dalla proliferazione di muri simili a quello ungherese in tutta la regione, che ovviamente rendono ancora più difficile lo spostamento delle persone migranti nella regione. Con i Balcani che partecipano attivamente al compimento di quella che ormai di fortezza Europa, diventa chiaro come la situazione delle persone migranti lungo la rotta balcanica sia pressoché insostenibile. L’assenza di vie legali di accesso all’Europa alimenta il business dei trafficanti di esseri umani, che vale decine di milioni di euro all’anno e offre diversi servizi, in base alla difficoltà del confine da attraversare e la lunghezza della tratta. L’aspetto che però è veramente grave è quello relativo alla violenza che i migranti si trovano a dover subire: molti paesi lungo la tratta respingono i migranti che cercano si attraversare i confini, non solo in violazione del diritto internazionale ma anche in modo estremamente violento. La Croazia è il paese che più degli altri si serve della pratica dei pushback ai confini: parte dell’Unione Europea e candidata all’ingresso nello spazio Schengen, deve dimostrare di essere in grado di proteggere i confini europei in modo efficace. Così si conclude la parte introduttiva del libro, sicuramente per addetti ai lavori, ma anche particolarmente chiara e semplice nell’esposizione. È evidente come lo scopo di questi primi due capitoli sia quello di fornire il contesto necessario per permettersi al lettore di muoversi agevolmente tra tutti gli aspetti controversi della rotta balcanica. Questa contestualizzazione prepara quindi alla seconda parte del libro, meno ostica, distante da intricati meccanismi politici e più vicina alle storie delle persone si trovano in transito lungo la rotta balcanica. 

 

Il terzo capitolo, Luoghi sottolinea questo passaggio da una dimensione più analitica ad una più umana. Essendo quasi interamente composto da mappe dei vari centri di accoglienza in ogni stato della regione è molto utile per avere sott’occhio una visone d’insieme, intuitiva, della situazione attuale di chi si trova nei Balcani. Da questa istantanea risulta evidente come la Grecia sia di gran lunga il paese più affollato, nonostante i campi si siano svuotati negli ultimi anni, complice la sempre più frequente pratica di respingimenti presso la costa turca. Un altro aspetto molto evidente è che la maggior parte dei campi nel resto della regione si trova lungo i confini, ad evidenziare la volontà delle persone migranti di proseguire verso nord. In questo caso, il libro giustamente sottolinea che i campi sono tutt’latro che luoghi accoglienti, adatti a lunghe permanenze. Si tratta troppo spesso di accampamenti informali, di fortuna, in cui mancano bagni, letti, elettricità, dove le persone vivono in condizioni veramente precarie e difficili da immaginare.

 

Ma chi sono le persone in transito nei Balcani occidentali? Come vivono? E da dove vengono? Il quarto capitolo Identità di Lorenzo Tondo risponde a queste domande. La prima considerazione necessaria da fare riguarda la situazione di estrema vulnerabilità in cui si trovano le persone nei campi: si stima che l’85% di loro siano in una situazione di grave vulnerabilità psicologica, non solo a causa della complessità della situazione nei paesi di origine, ma che anche del trattamento ricevuto durante l’attraversamento della rotta balcanica. L’altro aspetto che Lorenzo Tondo spinge a considerare è che i migranti non sono tutti uguali: la situazione sociopolitica dei paesi dai cui provengono si riflette nelle tipologia di persone che migrano. Così, se inizialmente la maggior parte delle persone in transito era in fuga dalla Siria, ad oggi l’etnia prevalente sono gli afghani, in conseguenza all’instaurarsi del regime dei talebani. Da questi paesi, per di più, fuggono principalmente intere famiglie allargate, a sottolineare l’urgenza della loro fuga, mentre la maggior parte dei migranti che provengono da altre destinazioni, per esempio il Pakistan, sono giovani uomini che viaggiano da soli. Infine, è interessante notare come il numero di nordafricani e subsahariani presenti sulla rotta sia in aumento, soprattutto per via dell’aumentare della letalità della rotta mediterranea che collega la Libia all’Italia.

 

Un altro aspetto da prendere in considerazione è che ad essere coinvolti nei flussi migratori non sono solo i migranti, ma anche i singoli cittadini, le comunità locali e le istituzioni. Nel quinto capitolo Interazioni, Marco Siragusa restituisce una visone ancora più completa della situazione lungo la rotta balcanica, prendendo in considerazione le posizioni di quegli attori che normalmente tendono ad essere esclusi dalla narrazione degli eventi. Dopo aver definito l’errore di sistema che ormai caratterizza il rapporto tra istituzioni e migranti, in cui le prime hanno chiaramente dimostrato di non essere in grado di prendersi cura delle necessità dei secondi, l’attenzione si sposta sulla solidarietà locale e internazionale, entrambe influenzate negativamente dalla narrazione politica. Dai comuni cittadini sarebbe legittimo aspettarsi un buon livello di accettazione nei confronti delle persone migranti, dal momento che molti di loro sono stati migranti in prima persona durante le guerre degli anni ’90. Le politiche di chiusura messe in atto dai loro governi hanno però contribuito a radicalizzare notevolmente le posizioni dei cittadini, fino ad arrivare ad episodi di violenza non solo nei confronti dei migranti ma anche nei confronti delle organizzazioni internazionali che cercano di prestare loro soccorso e sopperire al vuoto istituzionale. Inoltre, l’attività di queste organizzazioni viene ostacolata anche dai governi, che tendono a limitare la loro azione con leggi ad hoc. Il risultato è che, data questa criminalizzazione della solidarietà internazionale, la situazione delle persone migranti nei Balcani occidentali è resa ancora più difficile. 

 

L’ ultimo tassello del libro è composto da una serie di testimonianze che compaiono, qua e là, ad arricchire il discorso e dargli un volto più umano. Così, ad intermezzare i vari capitoli troviamo la storia di Hashem, ragazzo afghano di 15 anni che non vorrebbe nient’altro che fare il calciatore, si è ritrovato a lasciare da solo il suo paese per tentare quattro volte di raggiungere Lesbo, per poi rimanerci imprigionato. tra le pagine del libro compare anche  la storia della famiglia di Zohra, avvocato afgano trentatreenne, bloccata a Bosanska Bojna dopo aver attraversato a piedi tutti i Balcani. E ancora: le difficoltà dell’organizzazione internazionale Still I rise nell’interfacciarsi con le confusionarie politiche del governo greco sulle norme di accettazione delle ONG sono raccontate per far capire gli effetti della criminalizzazione della solidarietà: se si considera che fin troppo spesso queste organizzazioni sono le uniche presenti sul campo per dare assistenza ai migranti, il quadro diventa preoccupante.

 

Senza tutti questi racconti, del libro resterebbe solo un insieme di fatti e dati privi di un collegamento con la realtà: immedesimarsi, immaginare cosa vuol dire la rotta Balcanica risulterebbe particolarmente complesso. Dall’altro punto di vista, senza la ricchezza di dati e spiegazioni più nozionistiche, le testimonianze perderebbero il loro valore e resterebbero sospese, decontestualizzate. Per questo, quindi, Capire la rotta balcanica è da considerarsi un libro prezioso: con il giusto equilibrio tra testimonianze e nozioni, il libro riesce a creare un quadro completo, esaustivo del fenomeno migratorio nei Balcani Occidentali, senza mai tralasciare la drammaticità della dimensione umana. Il libro si chiude con una nota di speranza: come sottolinea Marco Siragusa nella conclusione, non bisogna mai dimenticarsi che ogni crisi rappresenta un’opportunità di produrre e proporre un cambiamento positivo e chissà che questo libro, con la sua completezza e la sua chiarezza espositiva, possa costituire un passo positivo in questa direzione. 

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