L’ultima artista sovietica: Victoria Lomasko a Brescia

Si è conclusa nei primi giorni di gennaio una mostra dal sapore particolare, che fin dalla sua apertura un paio di mesi fa ha catturato l’attenzione della redazione di Estranei. Il Museo di Santa Giulia a Brescia ha ospitato infatti The Last Soviet Artist, dedicata alla grafica e alle illustrazioni di Victoria Lomasko (Serpukhov, 1978). Si tratta di una scelta insolita, tenuto conto che ormai Lomasko è conosciuta nel sistema dell’arte occidentale come l’artista che più ha preso di mira le violazioni dei diritti umani e le disuguaglianze nel suo Paese d’origine, quella Russia contemporanea di cui tanto sentiamo parlare ma che, di fatto, qui in Europa nessuno conosce davvero.

 

In vent’anni di attività, i lavori di Lomasko non hanno mai lasciato spazio all’interpretazione, il messaggio che vogliono trasmettere arriva dritto agli occhi di chi guarda nella sua immediatezza; l’obiettivo è raccontare le condizioni delle minoranze, la vita quotidiana delle persone e una cultura complessa, ricca di contraddizioni contraddizioni e di identità che coesistono e si sovrappongono – Other Russias è non a caso il titolo di uno dei suoi lavori grafici più riusciti, pubblicato in Italia in occasione della mostra (Altre Russie. Un reportage illustrato, BeccoGiallo, 2022, trad. it. Martina Napolitano). Il percorso richiede attenzione, lo spettatore entra in quello che la curatrice Elettra Stamboulis ha chiamato uno «spazio conoscitivo, che richiede del tempo e non permette semplificazioni». Ma cosa ci fa un’artista dissidente russa in una città nel cuore della Lombardia?

 

Fotogramma dal documentario The Last Soviet Artist, diretto da Geraint Rhys

 

Da tre anni il polo museale di Brescia è impegnato nella progettazione di un ciclo di mostre che si chiama Arte contemporanea e diritti umani, con un focus sugli artisti che mettono al centro della loro produzione la tutela dei diritti e l’attivismo politico, rischiando la censura e la repressione da parte del governo dei Paesi di provenienza. Il programma vede l’appoggio del festival Brescia città della pace e di un’amministrazione cittadina particolarmente attenta all’attualità, che non ha paura di mettere la faccia per quella che è a tutti gli effetti una presa di posizione politica: nelle scorse edizioni, l’artista cinese Badiucao e Zehra Doğan, curda che è stata condannata alla prigione dallo Stato turco per “propaganda terroristica”, hanno avuto la libertà di esporre opere che probabilmente non faranno mai parte di una mostra all’interno del loro Paese. 

 

Non fa eccezione questa esposizione di Victoria Lomasko, che in The Last Soviet Artist raccoglie oltre novanta lavori in una prima parte retrospettiva e, a conclusione del percorso, presenta un ciclo di cinque pannelli realizzati appositamente per la mostra e un documentario girato da Geraint Rhys. Lomasko ha passato circa due mesi all’interno del museo, in un atelier in cui ha continuato a lavorare ininterrottamente non solo ai pannelli di Five Steps, finiti solo la notte prima dell’inaugurazione, ma anche all’allestimento insieme allo staff di Santa Giulia.

 

Victoria Lomasko, Snowdrop Generation, 2021

 

Il risultato è una mostra che usa l’arte come strumento politico senza per questo far passare in secondo piano il linguaggio creativo; nelle interviste uscite in occasione di The Last Soviet Artist, sia Elettra Stamboulis sia l’artista affermano con sicurezza che Lomasko è prima artista, solo dopo attivista. Il dissenso che il suo lavoro comunica è il valore aggiunto alle immagini, contribuisce a dargli ancora più forza. Le sue illustrazioni, così come le tavole della graphic novel Other Russias e del libro Forbidden Art, prendono a piene mani dalla tradizione del realismo sovietico, ma lo reinterpretano dal punto di vista del significato e del tratto, che diventa contemporaneo e fumettistico.

 

Le sezioni Frozen Poetry, Drawing Diary, Changing Seasons e Graphic Reportage raccolgono tutti questi lavori, dove la parola e l’immagine non si possono separare: in un’intervista a «Gli Stati Generali» Lomasko parla proprio del suo lavoro in quanto “reportage grafico”, «una testimonianza visiva che si trova a metà tra arte, fumetto e manifesto». Il riferimento alle avanguardie russe del Novecento è piuttosto chiaro, tanto ai manifesti di Vladimir Majakovskij quanto al Gruppo dei Tredici che hanno subito, in periodo sovietico, la distruzione delle loro opere. Non è difficile capire come il titolo della mostra faccia riferimento proprio all’eredità del mondo sovietico che Lomasko si porta dietro, a livello formale ma soprattutto sul piano politico e ideologico: lo testimonia la scelta dell’artista di partire dalla Russia nel marzo 2022, vista la censura governativa che diventava sempre più difficile da sopportare. L’ultima artista sovietica, insomma, ha scelto di andare in esilio.

 

Victoria Lomasko, Moscow: A Generational Battle, dal libro The Last Soviet Artist, 2021

 

Superata la parte antologica del percorso, si arriva al cuore dell’esposizione con Five Steps. A prima vista sembra di avere davanti un ciclo di affreschi nel senso tradizionale del termine, ma a differenza di un ciclo classico qui l’atmosfera non è sospesa e anzi, riporta violentemente lo spettatore alla contemporaneità. I colori acrilici sono vividi, restano impressi negli occhi di guarda: le pennellate tracciano un percorso dell’identità russa alla luce degli ultimi trent’anni di politica e dell’invasione in Ucraina. Isolation è il primo pannello, che comunica il senso di claustrofobia dell’artista per vivere in una nazione di fatto totalitaria, Escape fa riferimento alla sua scelta di fuggire, Exile racconta di questi ultimi mesi in giro per l’Europa; l’impotenza di Lomasko per essere cittadina di un paese in guerra è urlata in Shame, la vergogna di non poter fare nulla per cambiare le cose. È l’ultimo pannello, Humanity, a dichiarare che forse una piccola traccia di fiducia e, perché no, speranza rimarrà nel tempo a venire.

 

La sopravvivenza della libertà creativa e individuale, la possibilità di dissentire dalle politiche del governo sono in gioco e Victoria Lomasko le chiede a gran voce, tanto più che dall’inizio del 2022 il Ministero della cultura russo ha chiuso parecchie mostre di arte contemporanea, compresa la Galleria Tretjakov per presunti problemi tecnici e la Nona Biennale di Mosca che è stata cancellata appena tre giorni dalla sua inaugurazione. La scena artistica non ufficiale si è spostata del tutto fuori dalla Russia; il collettivo Pussy Riot ha presentato a fine novembre la retrospettiva Velvet Terrorism a Reykjavik, con tanto di supporto del governo islandese. Ecco allora che Brescia fa la sua parte, vuole diventare un porto sicuro per gli artisti in dissenso con il loro Paese: come ricorda Stamboulis, «ospitarli significa portarsi il loro mondo dentro», sostenerli diventa un atto di resistenza.

 

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