Dar’ja Serenko e la Russia che resiste: qualche traduzione

(fonte dell’immagine di copertina: tvrain.ru)

 

 

In questo breve excursus nella parola resistente (1) si presentano quattro contributi in traduzione: una poesia, un racconto breve, il discorso di un’attivista (2), una petizione collettiva. Se il contesto storico-politico che ne ha motivato la stesura appare come il primo, più evidente, collante tra i testi, si può, a una seconda lettura, notare come questi, pur appartenenti a tipologie completamente diverse, siano caratterizzati da strategie simbolico-espressive molto simili, riconducibili a un meccanismo di opposizione alla risignificazione delle parole messa in atto dal regime putiniano, per cui la guerra è, perentoriamente e incontrovertibilmente, “operazione speciale”.

 

“Le guerre sono sempre una catastrofe, indipendentemente da come vengano chiamate ufficialmente” scrivono le madri della Federazione, “guerra: così la chiameremo nostra figlia” recita la poesia di Serenko; se il governo in guerra crea un nuovo glossario da applicare a tappeto pena il carcere o l’esilio, chi vi si oppone usa lo stesso metodo per riappropriarsi della verità delle cose, guidando, nel caso specifico di Serenko, il lettore in un processo di ri-alfabetizzazione. Non è solo il concetto di guerra a essere analizzato; anche l’altro lato terrificante della guerra, la violenza domestica che immancabilmente ne consegue, appare qui lemmatizzato, descritto quasi seguendo le tappe della formazione di un thesaurus, come a voler scalzare l’impossibilità di trasformare la materia concretamente – la carneficina che continua al fronte e fuori dal fronte – dandole una forma che la faccia vedere per quello che è: una carneficina, appunto.

 

Si potrebbe obiettare che, tranne uno, i testi sono tutti della stessa autrice, e che si tratta quindi di una cifra stilistica individuale. Vero in parte: questa cifra stilistica, con i suoi micromeccanismi autoriali, esiste e funziona in virtù dei macro meccanismi alla base della propaganda russa in primis, della medialità della comunicazione contemporanea in generale.

 

Si fornisce qui un esempio di questi meccanismi:

 

 

Net vodke”, “Net voble” sono variazioni salvavita di “Net vojne”, la frase più pericolosa che oggi si possa pronunciare in Russia: “No alla guerra”. Usare gli asterischi come inferenze al posto del significato non è sufficiente a proteggersi dalla repressione: sono state fermate persone per il semplice fatto che brandivano in mano una prepagata “Mir”, che è il nome della banca ma anche la parola “Pace”in russo. Si sono così ideate queste due mematissime perifrasi/parafrasi degli asterischi “Net v***e”:

 

Net voble: Alisa K., accusata di aver screditato l’esercito russo con il suo cartello di protesta a Tjumen, il 12 ottobre afferma che i suoi asterischi non fossero le lettere mancanti di Vojna, “guerra”, ma di Vobla”, nome russo del pesce d’acqua dolce Rutilus Caspicus, giustificando la sua protesta con una sua naturale antipatia verso questo tipo di pesce.

 

Net vodke: un abitante di Čeljabinsk, Sergej L’vov, ugualmente accusato di aver screditato l’esercito e soggetto a una multa di 50.000 rubli, afferma che il suo cartello fosse “No alla vodka!” – beccandosi anche il poliziotto che gli ha chiesto perché proprio alla vodka e non alla vobla, ma potranno mai starci antipatici i pesci che ci pare (NdA).

 

Un equivalente in lingua italiana, seppure difficile da trovare, sarebbe uno “No alla graffa” anzichè “No alla guerra” giustificato da un odio verso quel tipo di dolce– o di parentesi– o “No alla gricia” preferendo la carbonara o “No alla bamba atomica” per una giusta profilassi anti-narcotici.

 

Nella speranza di aver fornito delle coordinate sufficienti per navigare i meccanismi espressivi dei testi presentati е comprenderne le istanze libertarie, buona lettura!

 

 

Versi non sulla guerra
2 maggio 2022 (3)

 

 
если красота в глазах смотрящего
то война в глазах
глаза отводящего
да и в любых глазах

у войны — наши глаза
будто она
плоть от плоти
ноздря в ноздрю

война донашивает мое платье
и в каждом кармане у неё
по тяжёлому камню

война за нашим столом
как кровный родственник:
мы связаны узами крови
которую проливаем

«Война» — так мы назовем нашу дочь
отличное имя для девочки
будем кричать ей с балкона
«Война, домой!»
а она уже дома
se la bellezza è negli occhi di chi guarda
la guerra è negli occhi di chi
distoglie lo sguardo
e in generale negli occhi

la guerra ha i nostri occhi
come fosse
sangue del tuo sangue
testa a testa

la guerra mette il vestito che era mio
pietre pesanti
in ciascuna tasca

la guerra siede a tavola con noi
come un parente di sangue
un nostro legame di sangue
del sangue che versiamo

“Guerra” – così la chiameremo nostra figlia
per una bambina è un bellissimo nome
le grideremo da sopra al balcone
“Guerra, a casa!”
ma lei è già in casa
 
 
 
 

Discorso di Dar’ja Serenko pronunciato a Tbilisi in occasione della giornata contro la violenza di genere (4)

 

Questo incontro avviene nell’ambito di “16 giorni per combattere la violenza di genere”, campagna promossa dall’ONU dedicata alle sorelle Mirabal’, rivoluzionarie della Repubblica Dominicana che si opposero alla dittatura e furono uccise violentemente dalla polizia nel 1960. I corpi furono gettati in un fosso. Dopo l’uccisione molte persone si ribellarono, e in meno di un anno il dittatore fu eliminato e il suo regime collassò.

 

In questo momento le donne di Ucraina, nella sofferenza provocata dall’invasione russa, difendono la loro nazione, e la difendono non soltanto dalla conquista letteralmente territoriale, ma, di conseguenza, dall’ideologia del governo di Putin: un’ideologia basata sulla violenza, la repressione, l’abuso sui più vulnerabili.

 

Le donne in generale soffrono la guerra in modalità diverse rispetto agli uomini: sono le donne e soprattutto le donne con figli, infatti, a subire per prime tutti i problemi legati alla condizione di rifugiate, come il rischio di finire nel mercato dei corpi, il rischio di subire di violenza sessuale, schiavismo e sfruttamento. Le donne ucraine partoriscono negli scantinati durante i bombardamenti e si prendono cura dei figli con gli allarmi antiaerei in sottofondo. In svariate interviste le ucraine raccontano di aver subito violenza sessuale o minacce della stessa da parte di soldati russi, che usano questo genere di violenza come fosse solo un altro modello di arma. Nei territori occupati bambine, ragazze e donne hanno paura di uscire per strada non solo perché potrebbero ucciderle o arrestarle e interrogarle, ma anche perché potrebbero violentarle. Raccontano di come cercano di vestirsi in un modo che non dia nell’occhio, sperando così di far distogliere lo sguardo da loro, di non cadere prede.

 

In questo esatto momento le donne in Iran si scontrano violentemente con il regime sotto lo slogan di “Donna, vita, libertà”. Alcune centinaia di ragazze e donne sono morte sotto gli spari della polizia, lottando per il proprio diritto di essere libere dalla dittatura religiosa. Tagliano i capelli, bruciano il velo, mettono a fuoco le macchine della polizia. Anche queste, che in Iran sono le proteste più grosse da molti anni, innescate dall’uccisione di una ragazza, uccisa da membri della polizia morale per non aver indossato correttamente e troppo liberamente il velo. Diversi studi dimostrano un collegamento tra discriminazione di genere e militarismo. Non ci sorprende che siano proprio i droni iraniani a essere usati oggi dalla Russia contro i civili ucraini. Tutto è collegato.

 

La violenza inizia in casa, la guerra inizia in casa. L’analisi della propaganda russa dimostra che alla base della retorica antiucraina c’è il sessismo: l’Ucraina e i nemici del Cremlino sono paragonati a una donna, nel senso più umiliante del concetto (5). Quando guardo alla retorica della tv russa, degli organi governativi russi e – appena un gradino sotto – alla retorica di una parte dei nostri concittadini, mi prende a volte uno strano sussulto, come mi trovassi davanti a una nuova scoperta.

 

Quello che dicono della guerra e dell’Ucraina è praticamente identico a quello che dicono quando parlano di donne che hanno sofferto di violenza domestica o sessuale.

 

“È lei la colpevole, è lei che l’ha voluto, lei stessa mi è venuta addosso e ha iniziato per prima, io ho solo reagito, lei voleva andarsene da me, mi ha tradito, si è comportata male, mentre io ero il suo educatore, non si lasciava sottomettere, aveva atteggiamenti perversi, era isterica, pazza, tossica, non è quello che vuole far credere di essere. E i segni delle botte sono finti, se li è fotoshoppati. Lei è mia, ci faccio quello che voglio. Nravit’sja ne nravit’sja terpi moja krasavica (6).

 

Non ha rispettato gli accordi di Minsk, voleva lanciarci la bomba per prima, si è venduta all’Occidente, appoggia le libertà di genere, bisogna educarla, demilitarizzarla e denazificarla, ci vivono nazisti e tossici. E i cadaveri sono finti, li ha photoshoppati. È Nostra, e vogliamo fare di lei tutto quello che riterremo opportuno.

 

Queste intersezioni non sono casuali: il militarismo, l’imperialismo e il patriarcato sono sistemi eretti sul sangue altrui. E quel sangue è il sangue dei più deboli. Spesso a chi ha subito violenza non si crede e non si vuole credere. La gente è pronta piuttosto a creare versioni alternative che incolpino la vittima nei più svariati modi, non sia mai che riconoscano che il loro amico, padre o fratello (o presidente) abbia potuto compiere una violenza. Perché una volta che si accetta questa verità nel proprio mondo, questo mondo ne viene completamente distrutto.
 
Molte donne russe, donne di diverse città e repubbliche, donne che prendono posizione contro la guerra ed escono a protestare, mogli e madri dei mobilitati che provano a far ritornare i propri cari a casa ora non solo si trovano a fronteggiare le torture e gli arresti, ma anche le minacce di violenza e il timore di vedersi portar via i figli dai siloviki. La violenza di genere e della polizia si fondono in un unico mostro: quando dopo la mobilitazione le donne e le madri cecene sono uscite in strada a protestare i siloviki le hanno trascinate al Comune di Groznyj e poi hanno chiamato i mariti per farle picchiare, minacciandoli di ammazzarle di botte loro stessi se non l’avessero fatto.
 
Questa è solo la punta dell’iceberg: qualunque guerra si prenda comporta l’infliggere un colpo ai diritti delle donne. Proprio ora gli organi legislativi della federazione russa potrebbero approvare nuovi emendamenti che renderebbero sempre più difficile abortire legalmente. La propaganda non esita a usare donne incinte per i suoi scopi: è probabile che tutti abbiate visto la pubblicità folle “preserva la sua vita oggi e ti difenderà dal nemico domani”. Poiché ha capito che un tremendo calo demografico attende la nazione, Putin sta cercando di controllare i corpi femminili, e dice, letteralmente, “figliate per riempire le perdite”. Per questo in Russia non ci sono minimamente né soldi né voglia per un qualsiasi reale sostegno sociale all’infanzia e alla maternità – tutto è andato sprecato per la guerra. Al governo serve materiale umano a basso prezzo e il modo più semplice per procurarselo è tirarlo fuori dalla cosiddetta Famiglia tradizionale- eterosessuale, preferibilmente con più figli e probabilmente povera.
 
Non a caso la più colossale campagna di discriminazione delle persone LGBT+ in Russia (7) è in atto proprio ora: qualsiasi devianza dalla norma è considerata dal governo Putin come deviazione dal suo piano. C’è poi bisogno di creare dei nemici non solo fuori dai nostri confini, ma anche all’interno. Finché sminuiremo le problematiche legate al rispetto dei diritti delle donne in quanto non importanti, ormai superate o secondarie, non riusciremo a risolvere neanche le nostre problematiche primarie. L’ottica femminista, oggetto negli anni di scorno, marginalizzazione e indifferenza da parte sia del governo che dei politici di opposizione, era una delle componenti necessarie che ci sono mancate per la formazione di un fronte politico di lotta comune. E’ anche questo riderne che ci ha portato alla catastrofe. In ultimo leggerò i nomi delle donne che ora in Russia sono detenute, perseguitate o torturate per le loro posizioni contro la guerra.

[…]

Grazie. Aiutate le organizzazioni ucraine e l’Ucraina a raggiungere la vittoria.
 
Donna
vita
libertà!
 
 
 

Lettera aperta dalle madri della Federazione Russa (8)

 
 
Oggi 27 novembre, giorno delle madri, indirizziamo questa lettera al presidente del Comitato per le politiche sociali del Consiglio della Federazione Inna Jurevna Svjatenko, al presidente del comitato per la famiglia della Duma di Stato Nina Aleksandrovna Ostanina e ai membri di questi comitati, il cui dovere in Russia è occuparsi del benessere sociale delle famiglie, delle donne e dei figli.
 
La lettera è un’iniziativa delle madri del “Movimento antimilitarista femminista” e di un gruppo di madri di mobilizzati e di sročniki (9).
 
Sono già nove mesi che va avanti la cosiddetta “operazione speciale”, col suo strascico di distruzione, dolore, sangue e lacrime. Tutto ciò che accade in Ucraina e in Russia non può non angosciare i nostri cuori. Indipendentemente dalla nostra nazionalità, credo e status sociale, noi – madri di Russia – siamo unite da un unico desiderio: vivere in pace e armonia, crescere i nostri figli sotto un cielo pacifico e non temere per il loro futuro.
 
Noi, madri, ci troviamo in una situazione di difficoltà e vulnerabilità.
Nonostante tutte le promesse di aiuto da parte del governo, la qualità della vita si sta abbassando e la povertà bussa alle porte della stragrande maggioranza delle famiglie russe. Anche in tempo di pace, d’altra parte, le famiglie con figli a carico sono sempre state le categorie più bisognose del paese.Dopo il 24 febbraio la situazione è solo peggiorata. Le sanzioni seguite all’operazione militare in Ucraina portano a una crescita dell’inflazione, е а causa dell’inflazione l’assegno di maternità e tutti quegli altri sussidi, che già prima di questi avvenimenti bastavano a malapena, vengono ulteriormente svalutati.
 
Secondo i dati ufficiali del Rоsstat (Servizio Statistico Federale) praticamente un minore su cinque vive in una famiglia con un reddito medio più basso di un salario minimo, ovvero nella miseria.
Il governo ci incoraggia a fare sempre più figli, ma poi ci abbandona in povertà o oppure sacrifica i nostri figli per le proprie ambizioni. La nostra nazione ha reintrodotto la denominazione “madri-eroine” per le mamme con molti figli a carico, ed ecco che le statistiche ufficiali ci dicono che lo status di madre – soprattutto se di tre figli – in Russia è sostanzialmente garanzia di una vita sotto la soglia di povertà. Non abbiamo bisogno di appellativi inutili, ma di misure concrete, che garantiscano a noi e alle nostre famiglie una vita dignitosa!
 
Gli enormi quantitativi di denaro sprecati ogni giorno in azioni militari potrebbero invece essere destinati al nostro benessere. Ma anziché nuovi parchi, reparti di maternità, scuole e ospedali riceviamo solo infiniti, vuoti discorsi in tv sui nostri “successi” e la nostra “gloria”.318 migliaia di uomini come minimo sono stati già mobilizzati (questa è la cifra pronunciata da Vladimir Putin). Sono andati a prenderli anche senza considerare se avessero figli minorenni a carico. In molte regioni è toccato alle singole famiglie dei mobilizzati procurare tutto il necessario per mandarli a morire, comprando tutto a spese proprie, persino i giubbotti antiproiettile. Chi provvederà alle famiglie private dеi capifamiglia?
La risposta la sappiamo: tutti questi problemi andranno a gravare ulteriormente sulle già sovraccariche spalle delle madri! Gli uomini di ritorno dalla guerra spesso hanno problemi di salute e sono semi-infermi, e il governo, che ha promesso sostegno e aiuti solo a parole, affida in realtà alle donne anche la cura di questi soggetti.
 
Le madri di sročniki e mobilizzati sono costrette a strisciare, umiliandosi, ai piedi delle amministrazioni cittadine, nel tentativo di riportare a casa i propri figli e mariti.
Conducono picchetti, scrivono lettere collettive, mandano petizioni, ma dall’altra parte non le ascolta nessuno! Ecco che il potere dimostra la sua vera attitudine verso le madri. La voce delle madri nella nostra nazione serve solo a tempo di elezioni: si ricordano di noi quando conviene. Il resto del tempo rimaniamo da sole tra noi, ciascuna con i propri problemi, col proprio dolore. I corpi mutilati dei nostri cari morti il governo non li raccoglie neanche. Sono lasciati in terra straniera, e neanche una morte spaventosa è sufficiente a far sì che appartengano alle loro famiglie.
 
Gli eventi del momento presentano un altro lato terrificante. I problemi economici e la crisi sociale – non se ne scappa – portano a un incremento dei casi di violenza domestica. La gente, distrutta dalla miseria e dalla sensazione di incertezza riguardo al futuro, riversa i suoi problemi sulle donne e i bambini. Oltre a questo, gli uomini che ritornano nella realtà “pacifica” post-guerra spesso si portano appresso pesanti traumi psicologici, e anche questo sfocia in aggressività incontrollata nei confronti dei propri cari.
 
Negli ultimi dieci anni i disegni di legge per la prevenzione della violenza domestica sono passati per la Duma più di quaranta volte, ma non hanno mai superato neanche la prima lettura. Un decreto presidenziale del 2017 ha rimosso dal codice penale russo l’articolo relativo alle aggressioni, mentre per la violenza domestica sono state introdotte solo responsabilità amministrativa e una multa non significativa. Le donne, e tra queste le madri, russe ora non sono protette in nessun modo dalla violenza che si consuma nella loro famiglia. E la violenza diventerà ogni giorno sempre maggiore.
 
L’ansia per il futuro dei nostri figli è ora forte in noi come non mai. Che tipo di mondo li attende dipende in molta parte dalle decisioni che noi adulti prendiamo oggi. Le frequenti allusioni dell’alto comando della nazione alla possibilità di utilizzare il nucleare suscitano in noi sgomento e paura per il futuro dei nostri figli.
 
Le guerre sono sempre una catastrofe, indipendentemente da come vengono chiamate ufficialmente. Sono uno spreco di sangue, violenza, sviliscono la dignità umana, sono un oltraggio alla libertà e ai diritti delle persone. Siamo colme di sdegno davanti a ciò che sta accadendo. Non siamo favorevoli al coinvolgimento dei nostri figli, fratelli, mariti, padri, e noi stesse non vogliamo parteciparvi – esistono medici militari donne. Voi, voi che avevate l’obbligo di difendere i diritti e la libertà di madri e figli, non dovete chiudere gli occhi davanti a tutto questo. I membri delle vostre famiglie sono tranquillamente esentati dal partecipare alle azioni di guerra, voi non rischiate niente e non perdete niente: siamo noi che ogni giorno ci preoccupiamo per i nostri cari mandati al macello. Come potete appoggiare una guerra scatenata contro la volontà di molti cittadini della Federazione Russa e portarla avanti a spese loro?
 
È evidente che il sostegno alle aggressioni militari è incompatibile con la difesa della famiglia, delle donne e dei bambini. Oggi, nel giorno delle Madri, vi esortiamo a ricordarvi del vostro dovere e delle promesse fatte in campagna elettorale, e di usare tutta la vostra influenza per ottenere un cessate il fuoco quanto prima e per il ritorno a casa dei nostri cari.
 
Chiediamo il ritiro delle truppe dai territori ucraini, il ritorno a casa di tutti i soldati, l’esenzione dei soldati di leva dalla partecipazione a qualunque tipo di impresa militare, l’introduzione di una legge per la prevenzione della violenza domestico-quotidiana, sussidi dignitosi per le maternità e l’infanzia!
 
Le madri della Federazione Russa
 
 
 

Devocki i institucii

 

(Frammento dall’opera di Dar’ja Serenko “Devocki i institucii” pubblicato sul suo account Facebook (10) il 24 dicembre, un giorno dopo che il Movimento Femminista Antimilitarista è stato dichiarato “agente straniero” (11).

 

 

E adesso parliamo di come le bimbe diventano agenti stranieri. In che momento avviene questa trasformazione?

 

[…]

 

Si svegliano, fanno la doccia, si lavano i denti, si pettinano i capelli scompigliati. Vanno al lavoro, si abbioccano nel tragitto in autobus o in metro, si dimenticano di scendere alla fermata. Guardate i loro visi assonnati: che dite, le nostre bimbe a questo punto sono già diventate agenti stranieri o no? Che cosa le tradisce? Le vedete le interferenze dell’altrove nel loro sguardo, le notate le posture nemiche fare breccia in ogni movimento?

 

Gli agenti stranieri sono agenti dell’Altro. L’Altro può sorprenderci in qualunque momento: durante un bacio non consentito davanti all’ufficio della TASS, nel bel mezzo di una festa di compleanno in cui tutti i bambini si attaccano l’un l’altro la varicella, durante una riunione, quando dopo tre ore guardate la direttrice del reparto degli approvvigionamenti e percepite il calore tra le gambe. Nello status di agenti stranieri potete rimanere incinte, e allora sorge spontanea una domanda: il vostro bambino si trova in un liquido amniotico neutrale o anche quelle acque sono straniere? Chi è in grado di rispondere a questa domanda?

 

L’altro è ovunque. Dopo l’ennesima reprimenda ci strapperemo le maniche delle camicette, riempiremo le guance di brillantini e andremo in un gay club. Lì ci scoleremo i nostri soldi stranieri provenienti dai nostri compensi piccini piccini per i nostri testi piccini piccini, che scriviamo nel tempo libero quando non siamo impegnate a sopravvivere. I nostri testi che vengono scritti in russo. E che sono stranieri anche loro.

 

 

 

Note:

 

1. Su Lingua e Dissenso in Russia si segnala il contributo di Martina Napolitano per Meridiano 13 consultabile all’indirizzo https://www.meridiano13.it/lingua-resistenza-dissenso-russo/


2. I testi elencati fin qui sono tutti a firma Darja Serenko, attivista femminista, scrittrice, poetessa, coordinatrice del Movimento Femminista Antimilitarista. Il suo profilo instagram è @serenko_daria


3. Poesia pubblicata inizialmente sul canale telegram dell’autrice, poi sulla piattaforma syg.ma in data 29/07/2022 come parte di un componimento più lungo per cui si rimanda a indirizzo https://syg.ma/@daria-sierienko/stikhi-nie-o-voinie


4. L’originale del discorso è consultabile a indirizzo https://teletype.in/@femantiwarresistance/speech_daria_serenko


5. Questo concetto è apertamente ripreso da uno studio di Saša Talaver, Ph.D. Candidate in Gender Studies presso l’Università di Vienna, consultabile a indirizzo: https://she-expert.org/istoriya/57-shkola-i-64-brigada-gendernoe-nasilie-i-voyna?fbclid=IwAR1U1nMSiMFQ4m-adBcmFRVD43HpnimzaxbkXWYzPf0waXtvwtWbc0OwojQ


6. Frase idiomatica, traducibile, volendo salvare la rima, con “Sopporta, bella di papà, se non ti piace ti piacerà” e, più letteralmente, con “Che ti piaccia o non ti piaccia sopporta bellezza mia”, pronunciata da Putin l’otto febbraio – quindi prima dell’inizio del conflitto – riferendosi all’Ucraina. Per approfondimento musicale-filologico sulla fortuna dell’espressione si rimanda a : https://meduza.io/shapito/2022/02/09/terpi-moya-krasavitsa


7. Nel sovracitato pezzo di S.Talaver si evidenzia come gli USA e i loro leader siano oggi femminilizzati e l’Europa sia raffigurata come il regno dell’omosessualità: Gay-ropa


8.  L’originale è consultabile a indirizzo https://www.impeachment.digital/mother


9.  “soldati di leva”, da sročnaja služba


10.  Questa traduzione, pur posta alla fine del contributo, ne è idealmente l’inizio e il trigger; la decisione di qualche settimana fa di includere Feministkoe Antivoennoe Soprotivlenje nella lista degli Agenti Stranieri ha dato nuovo vigore al desiderio di raccontare questa pur minuscola fetta di dissenso della parola. L’ironia dell’assurdo che innerva il testo è un’adeguata lente attraverso cui guardare agli eventi qui trattati.


11. Sulla questione degli Inoagenty rimandiamo al contributo in traduzione di Valigia Blu consultabile a indirizzo https://www.valigiablu.it/russia-agenti-stranieri/ e al più recente studio di Maria Chiara Franceschelli consultabile a indirizzo https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/vietato-dissentire-la-societa-civile-russa-prima-e-dopo-il-24-febbraio-37148

 

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