Scena drag balcanica, che cos’è per loro il drag e nostalgia degli spettacoli dal vivo.
Ne abbiamo parlato con Dekadenca, Mentalika ed Eric Dagger, responsabili della creazione di Dragoslavia, la prima comunità drag dei Balcani, in vista del loro incontro virtuale con il pubblico bosniaco.
Grazie di aver accettato di parlare con noi, squadra adorata e divina di Dragoslavia! Potete presentarvi a chi ci legge e descrivere il vostro personaggio drag?
MENTALIKA: Io sono Mentalika e in realtà il mio personaggio drag è nato perché ho fatto un cambio di brand, cioè di nome e di tutto ciò che faccio da drag, perciò direi che il mio personaggio drag è una riscoperta di cosa significa avere un’identità nel XXI secolo.
DEKADENCA: Ciao a tuttə, io sono Dekadenca. C’è una vecchia descrizione di Dekadenca che uso da anni: “Dekadenca è il prodotto di un grande amore per il teatro e i musical, per le donne straordinarie”. Sì, Dekadenca, è questo che sono! Dekadenca ha iniziato la sua storia come vecchia cantante di cabaret, ma nel tempo si è evoluta ed è diventata un’identità e una persona a sé. Qualsiasi cosa vogliate scoprire su Dekadenca potete trovarla sul mio sito web dekadenca.com.
ERIC DAGGER: Io sono Eric Dagger, un duo fratello-sorella. Eric è la versione moderna del dio greco Eros, mentre Dagger è la sua gemella che è una strega, discepola della dea Ecate e femme fatale. Sono molto simili per stile e gusto musicale, ma a volte si differenziano nei comportamenti. Nel senso che durante gli spettacoli non so mai se arriverà Eric o Dagger o entrambi.
Le prime tre parole che vi vengono in mente se vi dico “drag”?
MENTALIKA: Divertente. Performance. Trucco.
DEKADENCA: Trasformazione. Politicità. Festa.
ERIC DAGGER: Arte. Trucco. Costumi.
Cos’è per voi il drag?
MENTALIKA: Per me il drag è una cosa molto personale perché lo prendo molto seriamente, nel senso che funziona come una struttura compatta attraverso la quale posso giocare con il genere, la performance, e attraverso la quale posso esprimermi in modo artistico e personale, per crescere e imparare cose nuove. Ho un approccio personale al drag che cerco di incorporare nella mia vita quotidiana, ma dall’altro lato è qualcosa di molto divertente, essenzialmente un hobby che mi permette di spalancare le stanze sigillate del mio cervello.
ERIC DAGGER: Per me il drag è un tipo di arte davvero monto affascinante e importante. Penso che sia molto legata alla nostra cultura LGBT e per me questo significa tanto perché, come la cultura slovena e serba, ritengo che la cultura LGBTIQ sia allo stesso modo mia e adoro sostenerla. Allo stesso tempo mi dà la grande libertà di aprirmi e conoscermi come persona e come artista attraverso le performance, il trucco, la scelta dei costumi, e questa libertà ha un grande valore per me.
DEKADENCA: In questi casi mi piace sempre citare la nostra collega zagabrese Colinda Evangelista, che dice: “Il drag è tutto e niente”. In sostanza possiamo dire che il drag ha un suo contesto storico e una sua definizione, un formato che è nato sotto l’influsso del drag occidentale. Per me il drag è solo una delle forme di performance alternativa di cui generalmente mi occupo. Il drag può essere tutto ciò che vogliamo che sia.
Potete dirci qualcosa su Dragoslavia, innanzitutto com’è nata l’idea? Come si è riunita questa compagnia di performer “dal fiume Vardar al Monte Tricorno”?
MENTALIKA: Abbiamo creato Dragoslavia dopo che, nel 2009, in Slovenia è esplosa la scena drag e dopo che noi, House of Dynasty, in collaborazione con la drag queen slovena Babsi Adler, abbiamo avuto un bel successo con gli show mensili a Lubiana e poi in qualche modo la situazione si è scaldata, ma a marzo è arrivato il COVID. Eravamo tutte confuse perché avevamo fretta, dato che ci stava andando bene, ci divertivamo tanto e volevamo creare una scena, ma il sistema ci ha detto: “Ora non si può”. Abbiamo pensato a come fare in questo periodo di roba virtuale, e così verso la metà o la fine di aprile ci è venuta l’idea di fare uno show online. Così noi drag queen slovene ci siamo unite e abbiamo pensato di espandere la cosa, perché no. Io avevo da tanto il desiderio di unire la scena slovena e quella serba, croata e macedone, perché mi sembra che ognuna sia cresciuta un po’ da sé, ma non c’era un tessuto connettivo sufficiente. Dopo il primo show che ha avuto molto successo a tutte noi si è accesa un lampadina: “Aspetta, questa può essere una cosa bellissima!”, una cosa mai vista nei Balcani, qualcosa che può essere utile a lungo termine per la comunità LGBTQ+ balcanica ed estera.
Com’è la scena drag dei Balcani, in generale?
DEKADENCA: È iniziato tutto quando sono nata io (ride). Prima, per quanto riguarda il drag come lo conosciamo oggi, nei Balcani c’erano spettacoli e fenomeni sporadici e casuali, per esempio Merlinka e Karamela in Serbia, nei primi anni 2000 c’erano Viva La Diva e Zed Zeldić Zed, ma solo di tanto in tanto per qualche evento o festival LGBTI. Ha preso il via intorno al 2011/2012 a Belgrado, sono comparse Markiza De Sada, Sonja Sajzor e Dekadenca, ognuna faceva il proprio. Noi tre ci siamo conosciute soltanto nel 2014 a Zagabria a un festival e poi abbiamo iniziato a collaborare. Da quel momento a Belgrado è iniziato a esserci qualche evento drag al mese. Dal 2017 sono partiti anche i Viewing Party al KC GRAD, che hanno aperto una piattaforma per lə performer. Prima della pandemia a Belgrado c’erano più di venti drag queen che si esibivano in modo abbastanza regolare, che è una cosa notevole.
MENTALIKA: Abbiamo parlato più volte di quanto sia interessante la sporadicità della scena drag dei Balcani. Si muove per un po’ di tempo e improvvisamente più nulla. In Slovenia esiste una scena drag dagli anni Ottanta, all’inizio dei Novanta feste drag e festival queer a Lubiana, come il Festival Magnus, nel 2002 le Sestre all’Eurovision. Il drag era molto rappresentato in Slovenia, ma nemmeno quei momenti hanno facilitato il lavoro a chi è venuto dopo.
Ma questo forse cambierà con le nuove generazioni? O, almeno, io vedo che ora si valorizzano la continuità e la tradizione.
ERIC DAGGER: Credo che sia evidente che siamo più collegatə e che internet ha facilitato questa connessione rapida e ininterrotta. Siamo costantemente in contatto, che sia per accordarci sulla promozione di uno show o per mandarci dei meme. Nel 2003 o negli anni Ottanta sarebbe stato un po’ più difficile restare in contatto con le drag queen della regione, ma anche la mentalità è cambiata. Uno dei grandi obiettivi di Dragoslavia è collegare lə performer LGBTIQ della regione con quellə esterə, perché crediamo nel motto “sorellanza e unità” (Fratellanza e unità era il motto della Jugoslavia socialista, NdT)!
Occuparsi di drag nei Balcani non è sicuramente come farlo in un’altra parte del mondo. Mentre in America è quasi mainstream, soprattutto se consideriamo la popolarità a cui l’ha portato RuPaul, da noi forse è ancora un’arte performativa marginale?
DEKADENCA: Senz’altro, ma in realtà penso che questa posizione ai margini ci dia un vantaggio. Proprio il fatto che non facciamo parte del mainstream ci consente di gestirci in modo autonomo. Lavoriamo esclusivamente per amore e passione nei confronti di questo hobby, per non dire mestiere. La motivazione principale è creare qualcosa e collaborare. Non voglio essere come RuPaul che ha detto che il drag non sarebbe mai diventato mainstream e poi è entrato nel Guinness dei primati per il maggior numero di vittorie consecutive agli Emmy. In realtà spero che non si passi al mainstream, rimanere ai margini ci dà molta più libertà.
MENTALIKA: Il drag nei Balcani non è considerato una forma artistica seria e per questo è molto sottopagato, o, meglio, non è retribuito. Chiunque voglia occuparsi di drag dalle nostre parti deve avere il desiderio, la passione, la necessità artistica di dire qualcosa che valga la pena di essere ascoltato.
Il drag è necessariamente un atto politico, di attivismo, direi sovversivo, oppure possiamo considerarlo puro divertimento?
MENTALIKA: Io penso che qualsiasi forma di drag sia un atto intrinsecamente politico perché invita pubblicamente le persone ad accettare qualcosa che è ritenuto sbagliato. È uno statement politico potente arrivare e chiedere alle persone di ascoltare ciò che hai da dire. Può essere solo divertimento? Assolutamente. Non è che ogni performance drag debba avere l’intenzione di essere politica o artisticamente profonda.
DEKADENCA: Personalmente credo di più nell’attività politica sovversiva, ma sapete come si dice: il personale è politico! Qualsiasi manifestazione della diversità in uno spazio pubblico è di per sé un atto politico. Il drag può essere anche un divertimento in superficie, ma chi vuole può leggere diversi livelli di politicità. Noi come artistə abbiamo la responsabilità di riflettere su cose facciamo e come, in che modo vendiamo il contenuto che creiamo. Penso, per esempio, che nel 2021 il blackface fatto dalla tv generalista dei Balcani non sia davvero necessario.
MENTALIKA: E questa è la differenza tra il drag fatto bene e quello fatto male!
ERIC DAGGER: Ho notato proprio che ogni volta che c’è uno show mainstream anche le rappresentazioni finiscono per essere delle caricature, automaticamente. Noi ci occupiamo di altre cose, il nostro umorismo, la riflessione e la costruzione del personaggio sono completamente diversi, perché la libertà artistica e la deviazione dalla norma ci danno la possibilità di creare personalità multidimensionali che non hanno bisogno di appoggiarsi alle caricature per trasmettere il proprio messaggio in modo chiaro. Per esempio, quando interpreto un personaggio maschile per me è fondamentale mostrare le caratteristiche di un uomo medio, normale, e non degradarlo.
DEKADENCA: Dobbiamo accettare una critica pesante mossa alla misoginia intrinseca delle drag queen. È molto importante prestare attenzione a cosa facciamo e come lo facciamo, lo sottolineo sempre e voglio credere che quello che faccio derivi da un grande amore che provo per le donne e che sia una manifestazione di questo mio amore e del mio desiderio di restituire loro tutto il bene che mi hanno fatto.
Il drag ha un costo? Credo che non sia un “hobby a buon mercato”, abiti, trucchi e tacchi non cadono dal cielo.
MENTALIKA: Niente cade dal cielo, è tutto molto costoso. Non so neanche da dove iniziare! Ci sono tacchi, parrucche, spazzole, spugne, colla, ciglia finte, guanti, tacchi, ma di tacchi ne devi avere almeno dieci paia per i vari outfit. E i trucchi! Abbiamo: cipria per la base, prima cipria, seconda cipria, terza cipria, poi per il contouring uno, due, tre. Poi i rossetti, minimo cinque colori, cinque palette…
DEKADENCA: Non serve che tu abbia dieci paia di tacchi, io ne ho un paio argento che si è messa mezza Belgrado (ride).
ERIC DAGGER: Il mio budget va principalmente per la scenografia, dato che ora lavoriamo da casa. Luci, riflettori, filtri. Col fatto che interpreto un personaggio drag doppio cerco sempre indumenti androgeni e unisex che si possano usare più volte. Per il trucco è lo stesso, forse per me è un po’ più complicato perché sono vegana e mi piace usare cosmetici cruelty free senza scendere a compromessi. Spesso le persone si aspettano che abbiamo un aspetto fabulous per pochi soldi, che ovviamente è fattibile, ma allora bisogna capire che ci presenteremo con i vestiti che ci prestiamo l’un l’altra e che useremo tutte le parrucche che abbiamo già finché non resteranno senza capelli.
DEKADENCA: È tutto costoso, ma voglio dire una cosa incoraggiante: potete iniziare con quello che avete. Quando ho cominciato con il drag non sapevo niente, mia madre mi aveva dato un rossetto e un fondotinta, un’amica un mascara e un eyeliner ed erano tipo: vai, arrangiati! Alla fine tuttə noi ce la dobbiamo cavare, non esiste una boutique drag o un dragstore, avete mai sentito di un dragstore? Sarebbe una cosa nuova!
Vi mancano gli spettacoli dal vivo da quando è iniziata la pandemia? Senza quel contatto col pubblico e tutta l’atmosfera che si crea, per me uno spettacolo drag è impensabile.
MENTALIKA: Assolutamente! Pensavo che lo stop sarebbe durato un po’, ma poi è arrivato ottobre e ho capito che stavo iniziando a cedere perché avevo bisogno di quel cazzo di palco. Verso fine agosto o inizio settembre le cose si sono distese un po’ anche da noi e ho fatto due spettacoli al club Tiffany. Mi manca semplicemente quella sensazione di quando entri in connessione con il pubblico, senti le sue reazioni, sei madida di sudore, corri nel backstage a cambiarti le scarpe, ti si rompe un tacco e ridi, mi manca tutto.
DEKADENCA: Nell’ultimo anno è stato tutto molto confuso, come se non fosse successo nulla, come se tutto quello che è accaduto fosse completamente surreale. È da marzo scorso che non mi esibisco fisicamente in una spazio pubblico, ora sono un po’ stanca. Spero che ci sveglieremo presto dal letargo.
ERIC DAGGER: Il mio ultimo spettacolo è stato nel 2019, quando era ancora tutto normale. Da allora sono tornata a vivere a Lubiana e ho dovuto ricominciare da capo. Col tempo ho conosciuto Mentalika, la House of Dynasty e Babsi Adler ed è stato più facile perché ho scoperto di essere circondata da altre drag. Se mi manca esibirmi, quella sensazione? Sì. Ho un paio di canzoni che sono adatte solo al palcoscenico. Spero timidamente che quando tutto finirà e Dragoslavia sarà cresciuta faremo una tournée e qualche data estera.
Faremo il pienone se verrete a Sarajevo o da qualche altra parte in Bosnia.
MENTALIKA: Va bene!
DEKADENCA: Inshallah!
ERIC DAGGER: Perfetto!
Avete qualcosa da dire a chi ci legge?
MENTALIKA: Lavatevi le mani! E cercate Dragoslavia su Google e seguiteci su Instagram.
DEKADENCA: Ci trovate su tutti i social network, siamo sempre felici di aiutarvi! Dragoslavia fa sempre delle open call, perciò chiunque voglia partecipare è benvenutə.
ERIC DAGGER: Chi vuole occuparsi di drag, chi ha una visione o l’idea per un personaggio, deve riflettere un po’ su come vuole che appaia e cosa vuole comunicare con quel personaggio, e poi un po’ di coraggio e spazio per gli errori perché è così che si migliora.
Ci siamo rivoltə alle nostre intervistate al femminile perché “è regola generale rivolgersi alle drag queen al femminile e ai drag king al maschile”, ma, dato che erano in borghese, abbiamo deciso che sarebbe stato divertente giocare con questo tipo di normatività linguistica e tra domande e risposte non abbiamo badato troppo alla fissità di genere della lingua.
Questo articolo è una traduzione di Sara Latorre del pezzo di Matej Vrebac pubblicato su lgbti.ba il 23 aprile 2021.