Un dialogo nel nome di Miroslav (Federico) Žvab

Pochi sanno che, tra gli infiniti vicoli stretti di uno dei più grandi centri storici d’Europa – cioè quello di Napoli – c’è una lapide commemorativa bilingue, in italiano ed in sloveno, in memoria di Miroslav (poi Federico) Žvab.

 

La lapide, inaugurata nel settembre del 2014 in presenza del sindaco di Napoli e dell’allora ambasciatore sloveno in Italia Iztok Mirošič, ricorda la vita di un uomo nato nel 27 Novembre 1908 a Kazlje, nel Carso sloveno, quindi suddito dell’Impero Austro-Ungarico. Figlio di socialisti, seguì le orme familiari aderendo al Partito socialista italiano con a capo Matteotti, la cui tragica morte sarà per Žvab la svolta decisiva per intraprendere la strada della militanza antifascista. Federico Žvab fu costretto ad emigrare più e più volte, lasciando testimonianze in Austria, Svizzera, Germania, Francia, ma soprattutto in Belgio, dove nel 1932 partecipò attivamente ad un concitato sciopero di minatori e metallurgici, causato dalla quinta diminuzione del salario dei minatori in meno di due anni: il grande sciopero paralizzò le miniere di carbone per due lunghissimi mesi dal 6 luglio al 4 settembre 1932, fino alla dura repressione.

 

Žvab non si fermò in Belgio e fu protagonista della guerra civile spagnola: oltre alla descrizione del suo carattere eroico, vi sono testimonianze della sua capacità di parlare le lingue di ogni posto in cui è stato, arrivando a ben otto lingue. In Francia venne arrestato e successivamente trasferito a Trieste per essere torturato dai fascisti: la sua condizione di salute precaria convinse i suoi carcerieri al trasferimento a Ventotene, un’isoletta dell’arcipelago ponziano, non molto distante dalle coste campane, per poi essere trasferito all’ospedale degli Incurabili di Napoli, praticamente allo stremo delle forze.

 

A rinvigorire il suo corpo ed il suo spirito fu il periodo turbolento che la città stava attraversando, ossia il periodo dell’occupazione nazifascista, con la città perennemente soggetta a bombardamenti aerei e perdite di vita spropositate: Napoli era dunque pronta a ribellarsi, serviva solo l’organizzazione necessaria che – tra gli altri – fornì l’esperienza di Žvab, che divenne uno dei leader operativi delle famose Quattro Giornate di Napoli (27 – 30 settembre 1943), spesso ricordata come insurrezione popolare contro il nazifascismo, ma quasi nessuno sa che c’era lo sloveno a guidare un gruppo di coraggiosi napoletani a Piazza San Gaetano. Federico Žvab si dimostrò un coraggioso amante dei valori della libertà e fiero antifascista: decise di restare a Napoli e di non tornare mai più in patria, in quanto antistalinista ed oppositore del regime comunista. Affinò la conoscenza delle sue otto lingue diventando traduttore per la biblioteca dell’istituto psichiatrico Leonardo Bianchi, fino alla sua morte nel gennaio del 1988 (senza dunque vedere il crollo del muro di Berlino), proprio nel vicolo dove adesso si trova la sua lapide, via Cisterna dell’olio.

 

Questa storia sembrerebbe un esotico guazzabuglio di coincidenze: uno sloveno, combattente in mezza Europa, quasi per caso si ritrova ad essere un protagonista decisivo per la storia di Napoli, fino ad innamorarsene e restarci fino alla morte, seguendo il sempreverde detto “vedi Napoli e poi muori”. La verità è che – come la sua storia e la sua lapide – pochi conoscono le connessioni che possono esserci tra il Sud Italia ed il mondo slavo, eppure solo se pensiamo agli intrecci che si possono creare semplicemente tra Napoli e Russia non possiamo certo parlare di poche coincidenze; è innegabile che le università del Nord Italia partano con un vantaggio non indifferente. Ad esempio Trieste non può che lavorare a stretto contatto con l’ambiente accademico sloveno, però bisognerebbe ricordare che a Napoli esiste un polo universitario importante come l’Orientale e lo studio delle lingue come ceco, bulgaro, sloveno, serbo-croato e polacco è vivo, anzi, sopravvive, soprattutto grazie all’impegno di studenti ed insegnanti.

 

Nel giorno in cui la lapide fu svelata si ricordava anche dell’imminente centenario dell’attività di lettorato di lingua slovena all’Orientale, proprio per celebrare il valore del dialogo che dura nel tempo. In nome di Žvab, una specie di apostolo laico ed esempio per ogni aspirante conoscitore delle lingue e delle culture, bisognerebbe rafforzare il dialogo tra i due mondi e fare in modo che ci sia sempre un centro nel Sud Italia capace di riunire tutti gli studenti che vogliono imparare un mondo in cui sia naturale stupirsi di legami ignoti a molti, per poi scoprire che le differenze possono essere in certi casi davvero poche: per far questo, è necessario che le matricole (e non solo) sappiano che questi corsi a Napoli esistono nel modo più vivo possibile, come dovrebbe essere il ricordo di una persona come Žvab e tanti come lui, che si sono battuti per un mondo aperto, senza barriere.

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