Dopo l’assenza: una chiacchierata su arte e Ucraina con Polina Polikarpova

Dopo i fatti del 24 febbraio, i riflettori di tutto il mondo sono puntati sull’Ucraina. La narrazione della guerra è diventata parte integrante dei servizi di cronaca, ma in Italia si sta anche fortunatamente facendo molto lavoro di divulgazione per quanto riguarda la cultura e gli aspetti che sottolineano la specificità e ricchezza identitaria dell’Ucraina prima dell’assetto corrente, dalla petizione per far ristampare il volume di Pachlovska sulla letteratura (che è possibile firmare cliccando qui) all’antologia curata da Mondadori.

 

Poco si sa però sulla contemporaneità, sia essa letteraria, musicale o artistica. Le testimonianze e le immagini della guerra sembrano essere l’unica finestra sul presente, e si finisce per perdere di vista la pluralità di voci del panorama creativo ucraino. Tra le più interessanti c’è sicuramente Polina Polikarpova, classe 1992, fotografa già nota in patria che negli ultimi anni si sta imponendo anche sulla scena internazionale. Attualmente Polikarpova si trova a Šempas, Nova Gorica, come artista residente e partecipante al Festival R.o.R ma anche come profuga. Ho avuto modo di incontrarla e fare una chiacchierata con lei sulla sua carriera come fotografa, sulla scena artistica ucraina e sulla situazione attuale.

 

 

 

Come hai mosso i primi passi nel mondo dell’arte? Qual è il tuo approccio alla fotografia? 

 

Sono nata in una famiglia di creativi, mio padre è un fotografo commerciale – anche se ora è in pensione – e mia madre è una sarta e costumista. Non ho mai imparato a cucire, ma so come abbinare gli abiti e fare da stylist. Ho anche lavorato come costumista nel teatro indipendente di Char’kiv, Neft. Di solito, quando faccio un servizio fotografico divento quasi una regista. Non ho un team, il che ovviamente alle volte è un po’ scomodo, perché non ho truccatori, stylist o altre figure che mi aiutano. Quindi divento tre persone in una: cerco la location, gli abiti (a volte do anche un’occhiata al guardaroba dei miei client) e poi scatto.

 

 



Pretty Ghetto 

 

 

Le serie Absentee e Childhood Ballad sono molto interessanti. Il tuo sguardo alla tua città natale e ai tuoi ricordi unisce nostalgia e stranezza.

 

Absentee è la mia ultima serie, l’ho iniziata tre anni fa perché mi stavo un po’ stancando delle persone. I clienti a volte sono persone difficili, quindi ho iniziato a scattare la mia città più spesso perché ovviamente in tempo di pandemia non si poteva spostarsi. Sono rimasta a Kyïv e mi sono mossa verso le aree circostanti e le periferie in cerca di qualcosa di speciale, luoghi nascosti o poco conosciuti. Ho iniziato la serie nel 2019, ma la maggior parte delle foto le ho scattate dal 2020 in poi.

 



Absentee 

 

 

 Ho cercato di scattare più che altro foto di Char’kiv, la mia città natale, e di Kyïv, che è la mia seconda casa. Qualche volta sono andata nella regione di Luhans’k, nel Donbass, perché là avevo amici e dei parenti di mia madre. Ho passato l’infanzia nel Donbass e non posso più tornare nella città in cui sono cresciuta perché ora è parte della Repubblica Popolare. Forse ho iniziato questa serie perché cinque anni fa ho partecipato a una residenza a Liverpool organizzata dal British Council in Ucraina, grazie a cui ho passato due mesi nel Regno Unito. Ero una grande fan di Harry Potter, volevo ricercare quell’atmosfera alla J.K. Rowling e l’ho trovata, mi è stata molto d’ispirazione. La residenza ha avuto un tale impatto su di me che anche nei mesi successivi ho continuato questa ricerca di luoghi particolari, alberi strani o qualcosa che avesse un’atmosfera sognante. In tutte le mie serie cerco di fuggire dall’ordinario, anche quelle in cui scatto persone. Così ho iniziato a osservare e scoprire vari luoghi, la loro situazione ecologica e l’impatto che l’Antropocene ha avuto su di essi.

 

Ho iniziato il portfolio tredici anni fa, nel 2009. Avevo sedici anni ed ero molto concentrata sull’estetica post-sovietica. Mi servivo di vari cliché della fotografia di moda, come le pose, le luci o alcune angolazioni, perché ci sono cresciuta. Mia madre è un’appassionata di moda, negli anni Duemila seguiva FashionTV (tra l’altro, ora è felicissima di essere con me in Italia, quando era giovane era una grande fan di Sanremo e dei cantanti italiani degli anni Ottanta) e durante la mia infanzia ha cercato di darmi un’educazione estetica mostrandomi riviste come Vogue, Elle, L’Officiel e altre. Ho cercato di utilizzare tutto quello che avevo nella mia infanzia, se prendiamo a esempio Childhood Ballad, la mia ultima serie concettuale, ci sono solo tre personaggi.

 

 



Childhood Ballad 

 

 

 

Ritorno alla questione post-soviet. Cosa pensi della recente ondata di apprezzamento per l’estetica post-sovietica da parte dell’Occidente? Sei stata assimilata alla New Sincerity, movimento che è sorto in molti Paesi che si trovavano sotto l’influenza sovietica, dove c’è questa forte spinta alla costruzione di una coscienza collettiva e un’estetica indipendenti da quella sovietica. Ma al tempo stesso, soprattutto da parte dei media europei e statunitensi, il post-sovietico è diventato quasi un cliché. Come ti collochi all’interno di questo dibattito?

 

Be’, inizialmente mi ispiravo al post-sovietico perché faceva parte di quello che vivevo. Avevo diciassette o diciotto anni, volevo esprimere il mio disappunto verso tutti i fotografi ucraini moderni che rappresentavano la nostra realtà come se vivessimo a Parigi, e volevo imparare come sfruttare al meglio tutto ciò che ci circonda: gli ambienti, oggetti di seconda mano, abiti vintage dei miei genitori, rappresentare qualcosa che fosse autentico. Ovviamente in quest’ultimo periodo ci sto pensando moltissimo, ora il post-sovietico non ha nessun legame con l’autenticità ucraina. È una tematica estremamente importante in questo momento storico. All’inizio mi servivo di questa estetica e non avevo fini politici, ero completamente apolitica – questo prima del 24 febbraio, anche se ho visto quello che è successo otto anni fa. Poi nel 2016 ho avuto una crisi creativa, perché per sei anni avevo fatto moltissimo e non sapevo più cosa scattare, ricadeva tutto sotto qualche trend. E non ho mai voluto essere trendy, quando ho iniziato nel 2010 la risposta alle mie fotografie tendeva all’indifferenza, mentre due anni dopo le stesse persone si sono messe a lodare il mio lavoro.

 

 

Avevo parlato con alcuni curatori, molto influenti, del P2 Art Center, mi ricordo che quando avevo mostrato loro la mia prima serie, Sexy Rarity, che ritraeva una modella con un bikini di pelle in vari ambienti, non erano molto entusiasti. Questo è successo otto anni fa, qualche anno dopo la risposta è stata completamente diversa. Volevo soltanto mostrare i luoghi che mi circondavano, non avevo nessun’idea politica a monte. Mi piaceva e basta, perché tutti i miei amici stavano in affitto in una kommunalka, e quando sei giovane cerchi di divertirti e fare esperienze e romanticizzare quel periodo. Ho cercato di farlo con le palette cromatiche e con la mia visione artistica. Per un po’ di tempo sono diventata una figura nota a Char’kiv, la gente mi commissionava ritratti con questo tipo di estetica. Mi ispiravo molto a Roman e Tania, i Synchrodogs, un duo ucraino di fotografi. Hanno iniziato uno o due anni prima di me, hanno un’estetica molto riconoscibile e volevo muovermi in quella direzione.

 


Sexy Rarity 

 

 

 

Che impatto ha avuto la guerra sulla scena artistica, e cosa vorresti fare al tuo ritorno?

 Ho un aneddoto su Mariupol’. Avevo finito da poco Childhood Ballad, e questo gennaio ho ricevuto un invito dall’organizzatore di un festival di fotografia locale che si teneva a Mariupol’ per mostrare la serie a inizio marzo. Avevano anche un budget per la produzione e per gli artisti invitati, l’avevo incontrato nel centro di Kyïv e di aver parlato con lui delle voci che circolavano sulla guerra imminente. Pensava fossero solo voci di corridoio, ma due settimane prima che iniziasse la guerra abbiamo fatto una chiacchierata e gli ho detto che avevo deciso di non venire e che avrei partecipato al festival via Zoom, e molti dei miei colleghi hanno fatto lo stesso. E poi è scoppiata la guerra. Mi ricordo di avergli spedito delle stampe fotografiche, credo che ora siano bruciate da qualche parte a Mariupol’. So che lui è rimasto in territorio occupato per un mese senza nessuna connessione a Internet, poi sono venuta a sapere tramite Facebook che ora è a Kyïv, è vivo e sta bene. È davvero strano sapere di non esserci potuta andare, non ero mai stata a Mariupol’, non vedevo l’ora di vedere la città e incontrare un po’ di persone per una nuova serie fotografica su Azovstal’ e altri luoghi.

 

 



Absentee 

 

 

Per quanto riguarda quello che vorrei fare, mi piacerebbe tornare a Char’kiv e fotografare qualche rovina, probabilmente. Immaginavo che la serie Absentee sarebbe continuata per molto tempo, ma adesso alcune foreste e posti dove volevo andare sono pieni di mine e andarci sarà pericoloso per almeno dieci anni, perché non sono molte le persone che riescono a individuarle e disinnescarle. Forse farò qualcosa nell’Ucraina occidentale, non lo so, forse ci trasferiremo a Leopoli.

 

Mi fa piacere sentirtelo dire, perché quando stavo leggendo altre tue interviste mi chiedevo quanto fosse etico dare, in un momento così difficile, una lettura politica a posteriori di qualcosa che hai fatto anni fa. E vederti qui e sentirti parlare di come vuoi continuare la serie con questo significato è davvero bello.

 

Il 24 febbraio non è ancora finito. È una giornata lunghissima. Tra l’altro ho anche avuto una crisi creativa prima della guerra, perché ho notato che stavo diventando sempre meno coinvolta con ciò che facevo, a forza di ripetere sempre le stesse cose, per cui forse è arrivato il momento di pensare cosa fare dopo. Ovviamente come fotografa riesco comunque a guadagnarmi da vivere, nel 2019 mi sono trasferita a Kyïv proprio per questo, per avere più opportunità come freelancer. Anche Char’kiv ha molte opportunità, ma non sono molti i lavori commerciali dove hai libertà creativa, ci sono più che altro matrimoni o servizi di moda, e il mio stile ha una vena ironica che non è molto compatibile con quei generi. Mi piacerebbe scattare ritratti commerciali per vari media, in Ucraina abbiamo questa piattaforma online, YourArt, dedicata proprio all’arte ucraina, quando mi sono trasferita a Kyïv ho lavorato molto per loro, facendo foto a curatori, artisti, musicisti e registi, e mi è piaciuto un sacco, non tanto per i guadagni ma per i contatti.

 

Lo scorso anno ho anche lavorato come fotografa di backstage nel cinema, non ero lì solo per le foto dei dietro le quinte ma anche come artista, perché il regista, Simon Mozgovyi, era un artista emergente come me. È davvero un esteta, nel 2016 ha girato questo film, Chrysanthemum Day (Свято Хризантем), con un’estetica distopica e totalitaria tutta in bianco e nero. Abbiamo viaggiato per un mese nella Macedonia del Nord, in Bosnia e nell’area circostante per vedere gli spomenik, saremmo dovuti tornare quest’anno per continuare il progetto in Croazia ma poi è scoppiata la guerra. Mentre lavoravo lì ho fatto le foto sul set, ma ho anche fatto qualche scatto per la mostra finale dei fotogrammi del film. Il regista conosceva il mio lavoro da prima e voleva creare un team di creativi, non una classica catena di montaggio per le riprese. Ho anche provato a girare qualche videoclip, ma solo per i miei amici. Il mio ragazzo è musicista e conosce molto bene la scena contemporanea.

 

Che progetti hai per la tua residenza a Nova Gorica?

 

Quando mi trovavo nell’Ucraina occidentale ho cercato di aiutare mia madre a scappare, aveva iniziato a stare sempre peggio perché passava moltissimo tempo nei seminterrati. Lì ho capito che dovevo andarmene e portarla fuori da quell’inferno, perché anche le città piccole non erano abbastanza sicure. Ho ricevuto un messaggio di Sendi Mango, coordinatrice e curatrice del R.o.R festival che organizza anche le residenze a Šempas, che mi ha poi aiutata a trasferirmi prima a Chemnitz, in Germania, l’altra Capitale europea della cultura per il 2025, poi qui, dove sono in residenza con un programma di sei settimane e dove prenderò parte al R.o.R a fine maggio. Esporrò qualcuno dei miei progetti fotografici, la serie Pretty Ghetto, e terrò anche un laboratorio e un paio di conferenze.

 

 



Pretty Ghetto 

 

 

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