Too Many Dinner Parties. A cena per le vie di Žižkov

Dal 22 maggio fino al 24 giugno si è svolta a Praga una mostra dal titolo Too Many Dinner Parties. Allestita presso lo spazio espositivo POP-UP Galerie AVU (1) nel quartiere di Žižkov, ad esporre le loro opere sono gli artisti Dominik Adamec, Sejin Kim, Zlata Ziborová, Adam Tománek, Dominic Hafner, Elena Ciollino, Emanuele Bottini, Eve Miller, Sadie Vell, Konrad Janik, Deksonato, Klara Schnieber, Naïs Marcon e Ansilde Chanteau. Dopo questa prima esperienza praghese, la mostra si sposterà in autunno a Norimberga e, inoltre, l’intento è quello di continuare questo progetto itinerante.

 

L’intento che soggiace alla mostra, come spiegato dall’organizzatore Dominic Hafner, è quello di riunire in un luogo comune artisti diversi per retroscena e tecniche impiegate. Oltre a studenti di AVU vi sono anche artisti che vi hanno avuto a che fare in passato o che semplicemente vi sono legati in altro modo. Il fine è quello di costruire un dialogo prolifico tra le varie personalità che animano lo spazio espositivo intorno a un tema che racchiude in sé il concetto di collettività. La dimensione della cena viene impiegata come un pretesto di incontro e diviene anche metafora di quella dinamica semiotica che riguarda il contatto tra l’artista e lo spettatore attraverso l’opera d’arte: il primo propone il pasto e il secondo lo assaggia. Il tipo di legame che si intende creare in questa dimensione di convivialità è perciò duplice e riguarda tanto il rapporto tra gli artisti che quello con il pubblico. In questa dimensione distesa si annulla la distanza tra le singole parti coinvolte. Inoltre, la dimensione della cena può essere ulteriormente interpretata in funzione della preparazione della mostra. Il momento di convivialità coincide con l’incontro tra gli artisti e le opere d’arte sono interpretabili come ciò che i singoli lasciano nel piatto dopo aver terminato il pasto. Ciò che è fondamentale è, dunque, il dialogo.

 

La mostra è stata organizzata da Dominic Hafner, pittore e studente presso AVU. Lo abbiamo intervistato per l’occasione.

 

 

In quanto organizzatore come hai avuto l’idea e qual è lo scopo della mostra?

 

L’inizio è stato molto semplice: Negli ultimi tempi la collaborazione è diventata sempre più prorompente nel mio lavoro e mi piace l’idea di partecipare a progetti ideati da altri dando il mio contributo, di essere presente e di contribuire in quanto artista al tempo stesso. Ciò significa creare una simbiosi rispettando i limiti e allo stesso tempo esprimere dei pensieri, creando così un’idea collettiva, anche se il punto di partenza è dato da qualcun altro. Questo richiede sia umiltà che chiarezza d’azione. Quando ho deciso di candidarmi per questa mostra alla POP-UP Galerie ho chiesto a molte persone con cui avevo già lavorato o che mi ispiravano se avessero voglia di portare avanti questa idea con me.

 

Ognuno di loro mi ha detto che non era nelle condizioni di creare un concept, ma che gli sarebbe piaciuto dare un contributo. E dato che lo avevo chiesto a un gruppo ben nutrito di persone, ho iniziato ad apprezzare l’idea di pensare a un concept che desse a ciascuno di loro la possibilità di adattarsi facilmente con le proprie qualità. La quantità di studenti provenienti da paesi diversi ha facilmente trasformato il progetto in un concept basato su una collaborazione di tipo internazionale.

 

E in tempi politicamente difficili, in cui alcune persone non sono in grado di risolvere i loro problemi con la comunicazione, la modestia e il rispetto, ho trovato che fosse molto più di un semplice effetto collaterale e quindi ne ho fatto il principio regolatore del nostro gioco. Si tratta di qualcosa di semplice e di norma dovrebbe essere obbligatorio e scontato, ma ovviamente non lo è. È così che è nato Too Many Dinner Parties.

 

 

Qual è il significato dietro al titolo Too Many Dinner Parties?

 

Per molto tempo ho avuto in mente di una performance di gruppo: organizzare uno spazio in cui ogni partecipante ha a disposizione un angolo definito. Ogni artista ha a disposizione un concetto, al quale reagisce. In questo modo si crea una stanza in cui sono presenti diverse azioni individuali o espressioni del sé che sono unite da questo pensiero. Questo può creare una situazione molto caotica, perché nessuno degli artisti sa che cosa gli altri proporranno. Quindi, durante l’esecuzione, diventa interessante osservare come ogni artista lascia spazio agli altri rispettando le qualità individuali della propria performance, necessarie per esprimere e realizzare la propria idea.

 

Non ho mai realizzato un progetto del genere, ma considero Too Many Dinner Parties un primo passo verso questo ideale. Una cena, una festa o un incontro sociale hanno il potere di riunire le persone, creare uno spazio per una buona comunicazione, una comunicazione fatta di errori, la comprensione, l’incomprensione, il conflitto, delle soluzioni… e se ognuno la definisce come una “propria” cena, le cose possono complicarsi. Tutti conosciamo il potenziale di cene e feste piacevoli o spiacevoli, quindi ero curioso di sapere come ogni artista avrebbe reagito a questo tema e come avremmo creato un’idea collettiva… o se sia possibile crearne una. E a me piacciono le sorprese.

 

 

 

 

La prima associazione che mi viene in mente consiste nell’intenzione di mettere in luce la comunicazione tra gli artisti e la loro arte. Quanto è importante per te?

 

Non voglio parlare di un artista specifico o della sua opera. Ma mentre si lavora insieme su un tema specifico, che deve attuarsi in  uno spazio specifico, è necessario trovare una connessione. Non si tratta solo del tema, ma anche dello spazio. Come possiamo, in quanto gruppo, definire uno spazio, modificarlo, renderlo nostro e quindi trovare il nostro posto individuale in quest’area. Per esempio, l’idea di un Display Design: il Display Design viene proposto da uno degli artisti, è visto come un’opera d’arte, come influisce sulle opere degli altri partecipanti? Si tratta di un’idea collettiva? Come lo valorizziamo? E così via.

 

Inoltre, durante l’installazione, bisogna trovare un modo per connettere le singole opere rispettando le loro peculiarità, come la materialità, la chiarezza, la composizione, il colore o il contenuto, e aiutarle a farle risplendere quando più possibile. Quindi, alla fine è importante discutere della sala in termini concettuali, sia che venga creata da un singolo artista o dal collettivo, e occorre trovare la collocazione migliore per ogni artista. Tornando alla tua domanda: non voglio dare importanza alla comunicazione tra gli artisti e alla loro arte in generale, me è obbligatorio e necessario. E sì, considerando il nostro concept, collaborazione è la parola chiave.

 

 

Gli artisti che hai messo insieme per l’esposizione sono diversi in termini di tecnica e formazione. Come hai trovato un ponte fra loro?

 

Semplice: li ho invitati! Come ho già detto, li conosco tutti, mi ispiravano o avevo già lavorato con loro. Quando ho dovuto operare la mia scelta, ho capito sin da subito che non potevo invitare tutti quelli che avrei voluto. Così ho cercato di scegliere considerando anche le loro diverse qualità, per portare una certa tensione materiale, compositiva o, fondamentalmente, nella modalità di esprimersi in termini artistici.

 

Ho anche pensato al potenziale della collaborazione, speravo di trovare delle corrispondenze. Ovviamente ha funzionato! L’unica persona che non ho invitato io è stato Emanuele, mi è stato suggerito da Elena. Per sostenere la struttura del gruppo ho ritenuto saggio fare un passo indietro e accettare il suggerimento in modo tale da dare al collettivo la possibilità di trovare la propria forma e il proprio concept.

 

 

L’esposizione rimarrà a Praga per un mese, poi si sposterà a Norimberga (per cui è partito un crowdfunding che potete trovare a questo link) e, speriamo, anche in Italia, magari a Bologna! Ti sembra si sia costituito un progetto internazionale? E che tipo di esperienza può dare questa mostra agli artisti coinvolti?

 

Sì, è un progetto internazionale. La questione di Bologna si lega anche alla tua seconda domanda: credo che ogni artista esprimerà la sua opinione dopo Norimberga. Parte del piano prevedeva una mostra a Praga e una a Norimberga. Durante la preparazione della prima e, soprattutto, durante l’installazione e la preparazione del vernissage, siamo cresciuti insieme come gruppo, ci siamo finalmente conosciuti. Lavorando insieme abbiamo avuto anche l’opportunità di riflettere sulla comunicazione durante la pianificazione di questa esposizione. È stato necessario e credo molto produttivo, stimolante e basato sulla collaborazione.

 

Sono una persona semplice, quindi ecco il mio pensiero altrettanto semplice: questo progetto fornisce a ogni artista la possibilità di interrogarsi sulla collaborazione all’interno di un collettivo, di riflettere sulla comunicazione, sull’interazione e sulle singole aspettative. Mi piace l’idea di Bologna. Tuttavia, al momento penso solo a Norimberga, alla nostra prossima Call, perché solleverà molte nuove questioni e fornirà anche delle risposte. E considerando il collettivo: quando verrà presa una decisione per Bologna non sarà presa da me, ma da tutti noi.

 

 

 

 

Abbiamo anche approfittato per intervistare alcuni degli artisti con alcune domande un po’ fuori dagli schemi, riportiamo alcune delle risposte.

 

 

L’esposizione è stata concepita come una grande cena condivisa. Che piatto offrirai attraverso la tua arte?

 

Penso offrirò …

 

Un’identità di qualcuno che vuole organizzare una cena sullo stile del film Climax di Gaspar Noé, alla ricerca dello sfondo perfetto.

 

Offrirò un piatto molto modesto perché sono un artista modesto e non ambizione ad essere il migliore quindi offrirò un’insalata. (Questa è davvero un’ottima risposta)

 

Tafelspitz. Immagino di asciugarmi la bocca e che il tovagliolo si trasformi progressivamente in me e in ciò che mangio. 3 tovaglioli troppo grandi potrebbero essere tovaglie, che in realtà erano usate come tali nel Medioevo. Gli oggetti in lattice rosso sangue richiedono moderazione e gola. Il classico della cucina viennese cerca di diventare il piatto principale. Tafelspitz è sia la carne cotta che un certo modo di piegare i tovaglioli.

 

Tutti pensano all’arte come a un’interpretazione di cui ognuno può godere secondo il proprio gusto.

 

 

Che tipo di cene preferisci?

 

Amo le cene con i miei amici più stretti, dove ascoltiamo la musica mentre cuciniamo. C’è un buon odore e abbiamo tempo, ci sono le vacanze e fa bello.

 

Una cena con una tensione sessuale.

 

La mia cena preferita è la pasta di Riccardo.

 

Un’atmosfera rilassata con cibo delizioso e abbastanza da bere.

 

Mi piace fare delle semplici cene con dei cari amici.

 

 

Cos’è più importante durante una cena: il cibo o le persone?

 

Penso che debbano essere presenti entrambi, senza uno o senza l’altro la cena non è saziante.

 

Il cibo.

 

Preferisco il cibo, ma spiego subito perché: il cibo a volte è buono, a volte è disgustoso e le persone sono sempre disgustose.

 

Non si possono separare. Il buon cibo probabilmente rallegra anche le persone, ma la costellazione dovrebbe essere quella giusta.

 

Penso che sia importante mangiare con qualcuno. Sarebbe meglio se anche il cibo fosse delizioso.

 

 

 

 

Come reagiresti se qualcuno dicesse qualcosa di brutto durante una cena?

 

Potrebbe rovinare il mio appetito.

 

Di solito me ne fotto. Nella peggiore delle ipotesi cerco di fottermene.

 

Reagirei molto male e a volte sono anche molto arrabbiat*. Mi arrabbio anche solo se il cibo non è buono, quindi puoi immaginare cosa succederebbe se qualcuno dicesse qualcosa di male su di me? Non andrebbe affatto bene.

 

Se sono ubriach* potrei ribattere qualcosa, se non lo sono lascerei perdere o ignorerei.

 

Gli insulti li faccio passare per uno scherzo e li ignoro. Non voglio rovinare l’atmosfera del pasto.

 

 

Una cena ha mai cambiato la tua vita?

 

Una cena non ha mai cambiato coscientemente la mia vita. Mi sembra che tutti i ricordi che ho di cene siano positivi e che siano una componente della mia gioia, ma non hanno mai cambiato radicalmente la mia vita.

 

Sì.

 

Una cena non ha mai cambiato la mia vita, ma il fatto è che la mia vita non è mai cambiata.

 

Certo. Ma ad essere onest*, mi ricordo principalmente il buon cibo.

 

Sì.

 

 

Le cene hanno un significato politico o diplomatico?

 

Essendo fondamentalmente eventi sociali suppongo che per estensione siano anche politici. In famiglia possono essere diplomatici.

 

Forse hanno questo potenziale.

 

DEK: Penso che una cena abbia sempre un valore diplomatico. In qualche molto percepiamo un discorso maggiormente politico quando delle persone cenano senza parlare di politica, anche questo è politica. Come diceva Pasolini, tutto è politica. Per esempio, la pasta di Riccardo: lui è un bel ragazzo, ha un retroscena da comunista abbastanza radicato e ora sta lentamente diventando sempre più apolitico, possiamo vederlo dalla pasta che prepara, è meno abbondante e meno saporita. Penso che Riccardo sia d’accordo…

 

RIC: Sono d’accordo.

 

Certo! Le cene sono un luogo in cui lavorare sul buonsenso.

 

Penso che una cena possa essere molto politica o diplomatica.