Bianca Bellová è una delle voci più interessanti della letteratura ceca contemporanea. L’edizione italiana di senti/mentální roman (“romanzo senti/mentale”), fresca di stampa, riconferma al pubblico questo aspetto. Grazie alla traduzione di Laura Angeloni, è finalmente edito il primo romanzo dell’autrice presso la casa editrice Miraggi Edizioni, dove sono già stati pubblicati altri due romanzi: Jezero (“Il lago”) e Mona. senti/mentální roman è, straordinariamente, un romanzo d’esordio in cui è già possibile cogliere l’inconfondibile cifra stilistica dell’autrice. Ciò che colpisce sempre nei romanzi di Bellová è la sua capacità di condensare in un numero anche esiguo di pagine un intreccio molto complesso di sfumature tematiche. Innanzitutto, è necessario sottolineare il fatto che in senti/mentální roman si riscontra, nei confronti di Jezero e Mona, una differenza sostanziale, ovvero la presenza di coordinate spaziali e temporali precise, nonché contestualizzabili in passato recente. Il presente da cui procede inizialmente il romanzo è, infatti, la Cecoslovacchia all’indomani della Rivoluzione di Velluto del 1989. Nonostante ciò, la scelta di collocare l’azione entro coordinate precise si rivela essere un elemento relegato sullo sfondo della narrazione, mentre questa si concentra piuttosto sui singoli personaggi.
Il cielo si scurisce davanti ai miei occhi come una vasca da bagno in cui si versa inchiostro.
Con questa metafora si apre romanzo senti/mentale. Difficile parlare di un’opera come questa cercando di rendere giustizia all’incredibile capacità espressiva della sua autrice. Il romanzo presenta una struttura piuttosto interessante, dove la narrazione è affidata a due dei personaggi principali: Nina e Eda, legati da un passato e da un destino comune. In realtà, la vicenda ha come suo fulcro il motivo di questa connessione, ovvero Eliška, la cui voce emerge solo nell’ultima sezione del romanzo, in cui l’autrice decide di riportare una parte dei suoi diari. Le due voci narranti, rigorosamente in prima persona, si alternano in continuazione producendo così un effetto particolarmente dinamico e mettendo in luce la vicenda sotto due prospettive differenti. Tanto nel caso di Nina quanto in quello di Eda si assiste a un recupero del passato, partendo da un’infanzia che assume sembianze al tempo stesso traumatiche e mitiche, fino ad arrivare al presente, il momento in cui le due prospettive trovano il loro punto di intersezione. A risvegliare il bisogno di recuperare il passato è l’elemento della perdita, rappresentata dalla morte di Eliška. Legata dal vincolo famigliare a Nina e da uno di carattere invece sentimentale a Eda, Eliška si rivela essere la chiave di volta, nonché il pilastro su cui si regge tutta l’opera. Anche dopo la sua morte, continua a permeare e a invadere la vita, ad esempio, di Nina attraverso oggetti, tracce tangibili:
Dopo tutti gli anni di “non toccare quella tazza”, “meglio lasciarla sullo scaffale”, “è l’ultimo ricordo di Eliška”, “questa non la diamo nemmeno agli ospiti”, era chiaro che prima o poi si sarebbe rotta. […] Non era di certo quello l’ultimo ricordo di Eliška. Questa casa è così piena di suoi ricordi che per girarti devi prima uscire dalla stanza: una mezza dozzina di cavalletti, decine di tele in varie fasi di realizzazione, acquarelli, scatole piene di tubetti di colori a olio ormai secchi, addirittura tutte le uova di Pasqua che un tempo ha dipinto.
Gli oggetti che affollano la stanza non sono altro che una proiezione di quanto sia importante la (non)presenza di Eliška nella vita di Nina. Lo stesso accade nel caso di Eda, continuamente tormentato dal ricordo di lei e, soprattutto, dagli eventi immediatamente precedenti al suo suicidio. A complicare la situazione contribuisce il fatto che è proprio Eda a trovare il corpo senza vita e a comunicare la morte alla madre di lei.
Il tentativo di ripercorrere un tempo ormai trascorso si identifica con un processo, necessario, di ricostruzione di questo. Processo in cui, il lettore, non può rinunciare a nessuna delle due prospettive per poter avere un quadro completo, sebbene questo venga ricostruito solo grazie ai diari. Fare i conti con il passato si rivela essere, però, molto più complesso di quanto non sembri. Come accade anche ne Il lago, Bellová problematizza questo recupero costruendo una dimensione della vicenda profondamente umana, un discorso in cui non vengono mai messe a tacere questioni delicate o problematiche. Se, però, ne Il lago si assiste a un protagonista che si allontana dagli apparentemente sicuri luoghi dell’infanzia per entrare nella vita adulta, in romanzo senti/mentale si assiste al percorso opposto. Difatti, si palesa necessario un ritorno all’idillio dell’infanzia per comprendere le tragiche dinamiche del presente in cui i personaggi si ritrovano incastrati. Una nostalgia che nel romanzo si vede rappresentata dalla citazione di When you were young dei Killers: “Sometimes you close your eyes and think ok the place you used to live… when you were young”.
Da giovani, Eliška, Nina e Eda sono semplici compagni di giochi che, però, si vedono già costretti ad affrontare le difficili questioni della vita degli adulti. A questo proposito, ad essere centrale è la complessità dei rapporti entro le mura domestiche, dove anela una profonda incomunicabilità. L’apparente idillio si rivela essere, al tempo stesso, un’infanzia tradita, che in Eda è determinata principalmente dalla figura del padre. Il loro rapporto si mostra insanabile sin dalla tenera età, quando Eda scopre della violenza sessuale che il padre esercita sulla madre, aspetto che condizionerà in modo profondamente negativo il modo che egli avrà di intendere la sfera della sessualità. Allo stesso modo anche nel caso di Nina riemerge in continuazione il difficile rapporto con i genitori, nonché quello con la sorella. Bellová si mostra particolarmente abile nel tratteggiare sia i complessi contorni di queste situazioni, utilizzando un linguaggio complesso e crudo, sia gli effetti che le esperienze traumatiche della giovinezza si riversano sui singoli personaggi nel corso della vita adulta. Un’indagine, quella dell’autrice, che conduce il lettore in una messa a nudo delle debolezze delle voci narranti, senza nasconderne in alcun modo le fragilità.
Tornando ad Eliška, che si è detta essere un elemento irrinunciabile dell’opera, è interessante osservare come si evolva nel corso nella narrazione. Sia in Nina che in Eda l’indagine sul sé è necessariamente anche un’indagine su Eliška e sulle relazioni che li legano a lei. I ricordi di Nina abbondano di descrizioni della sorella, alla quale spesso lei stessa si contrappone – mettendo in risalto i propri difetti – e che cerca, quasi disperatamente, di comprendere senza mai riuscirci. L’immagine che viene concessa al lettore, il quale non ha mai un contatto diretto con la voce di Eliška se non nella parte dei diari, è quello di una ragazza eclettica, dotata di un grande talento artistico e, al tempo stesso, profondamente instabile. Instabilità dovuta al suo stesso carattere e, in parte, all’impossibilità di essere compresa, che si mostra anche nei tentativi operati da Nina e Eda dopo la sua morte. Anche se il lettore dispone di un assaggio delle rivelazioni intime della ragazza all’interno die diari, il cui stile ne rivela in modo efficacie il carattere, non c’è mai una completa comprensione di Eliška, che perennemente sfugge all’essere delineata in modo chiaro: un’impossibilità profondamente umana. I diari si rivelano essere un elemento fondamentale anche per Nina e Eda, ma in modo diametralmente opposto. Mentre lei non ne è in possesso ed è determinata a recuperarli – col fine di riuscire finalmente a comprendere la sorella –, lui, avendoli, decide di distruggerli in un modo che viene annunciato sin dalle prime righe del romanzo, da quella “vasca da bagno in cui si riversa inchiostro” che si citava inizialmente. Ritornando alla questione dell’incomunicabilità, che permea tutto il romanzo, la forma del diario è anche l’unico modo in cui riesce a esprimersi con l’esterno: Vorrei con tutta me stessa che qualcuno trovasse questo diario, visto che non posso comunicare in altro modo…, dice a un certo punto. Anche Nina è attanagliata da questa difficoltà di esprimersi:
Ho sempre sentito il bisogno di livellare le mie emozioni. Eliška era quella che esprimeva sempre ciò che sentiva, e in modo dannatamente spontaneo; mentre a me veniva un groppo in gola appena, ahimè, un’emozione affiorava in superficie, e non sapevo come evitare di sembrare un’idiota, una rigida ochetta.
romanzo senti/mentale è dunque un microcosmo in cui Bellová mostra un’umanità lacerata, il tentativo e la necessità di ognuno dei suoi personaggi di ritrovare un equilibrio. Le voci si separano e si rincorrono, si smentiscono e si confermano, concorrendo così a creare una vicenda in cui vengono affrontati temi profondamente attuali, che penetrano la società in modo silente. La forza narrativa dell’autrice risiede proprio nel riuscire a scoperchiare il silenzio che li cela, senza rinunciare a incorniciare il tutto in una struttura complessa di voci e punti d’osservazione differenti. Bellová mette ancora una volta il lettore di fronte alle difficoltà del trovare un proprio equilibrio, anche se il finale porta a porsi un’ulteriore questione: esiste davvero un equilibrio possibile?