Cannes 2023: i film dell’Est

Il Festival di Cannes di quest’anno ha seguito, sfortunatamente, il trend negativo stabilito da Venezia l’anno scorso e più recentemente da Berlino nel relegare il cinema dell’Est Europa esclusivamente alle sezioni collaterali. Nessun film dell’ex blocco orientale nel concorso, eccetto la co-produzione polacca The Zone of Interest, che certo vanta un contributo sostanzioso dell’industria cinematografica polacca (con tanto di Łukasz Żal, già direttore della fotografia di Paweł Pawlikowski), ma che è diretto in lingua tedesca da un regista anglofono, Jonathan Glazer, e si lega principalmente all’argomento della Shoah.

 

Mentre a Venezia si sono visti film dell’Est almeno nella sezione collaterale principale, Orizzonti, nemmeno in Un Certain Regard, suo corrispettivo a Cannes, si riscontra la presenza di un qualsiasi film esteuropeo. È nei cortometraggi che si trovano due opere dell’area: il corto vincitore, 27 di Flora Anna Buda, un film di animazione su una ragazza che vive il proprio bisogno di libertà e sessualità, e As it Was di Anastasiya Solonevich e Damian Kocur, corto che si incentra sul rientro a Kyiv di una ragazza ucraina fuggita a Berlino all’inizio dell’invasione, che per molti versi ricalca la vicenda autobiografica della co-regista. 

 

Per trovare i quattro lungometraggi esteuropei presentati a Cannes quest’anno putroppo è invece necessario allontanarsi dal festival principale e addentrarsi nelle kermesse collaterali della croisette, la Quinzaine des Cineastes, la Semaine de la Critique e l’ACID. 

 

 

 

Lost Country (dir. Vladimir Perišić, Serbia)

 

Vincitore nella Semaine de La Critique per il miglior attore esordiente, Jovan Ginic interpreta un giovane ragazzo dell’alta borghesia di Belgrado nel 1996, durante le elezioni che hanno portato al crollo definitivo dell’ex-Jugoslavia. Ben presto si ritrova intrappolato in una situazione di emarginazione senza uscita, dal momento che sua madre è la portavoce del governo. Il film è uno studio del rapporto tra madre e figlio e del suo sconvolgimento per questioni morali esterne, dell’ambiguità tra figura pubblica e figura privata, nonché una storia dai tratti quasi bressoniani – per stessa ammissione del regista – che viene messa in scena attraverso notturni in cui i volti emergono dall’oscurità quasi come nelle opere di Caravaggio. Nel cast di supporto anche Jasna Đuričić, l’attrice protagonista di Quo Vadis, Aida? di Jazmila Žbanić.

 

 

 

In The Rearview (dir. Maciek Hamela, Polonia/Ucraina)

 

A seguire un intero filone di documentari presentati a Berlino sulla invasione russa dell’Ucraina, l’opera di Hamela è un testamento intimo che inquadra i passeggeri del minivan del regista, ucraini in fuga dal paese dalle esperienze più svariate e diverse fra loro. Un’opera nata nel corso di un anno di aiuti umanitari e montata da decine di ore di materiale ridotte inizialmente alla durata di tre ore, che riesce a distanziarsi da qualsiasi tono elogistico e a focalizzarsi sul dramma umano della guerra. Nessun documentario prodotto nello scorso anno e mezzo riesce a toccare lo spettatore con altrettanta emotività.

 

 

 

Blackbird Blackbird Blackberry (dir. Elene Navierani, Georgia)

 

Presentato alla Quinzaine, il secondo film di Elene Navierani è una delicata commedia che segue le vicende della quarantottenne Etero, che all’improvviso perde la verginità. Un film che gioca sui tabù della sessualità in età matura, che opera continui rovesci sui cliché del cinema che si incentra su adolescenti e sulla loro scoperta dell’eros. È un film dai toni generalmente molto leggeri, in contrasto con la prima prova di regia di Navierani, che si incentrava invece su un pretesto molto tragico.

 

 

 

Grace (dir. Ilya Povolotsky, Russia)

 

Il primo film russo presentato a Cannes (ma anche a Venezia e Berlino) dall’inizio della guerra (ad eccetto di Tchaikovsky’s Wife del dissidente Kirill Serebrennikov o del film in lingua cecena The Cage is Looking for a Bird di Malika Musaeva), il film indipendente potrebbe essere descritto tanto come road movie quanto come film di formazione, ma in entrambi i casi tale categorizzazione risulterebbe sommaria. Un padre e una figlia viaggiano dal Caucaso verso le coste settentrionali in un furgone adibito a cinema itinerante, alla ricerca di una forma di grazia e redenzione che non possono trovare all’esterno quanto in loro stessi.

 

Filmato su pellicola, è un’opera dai ritmi poetici di Sokurov, nel quale il tempo sembra sospeso, sullo sfondo di desolati paesaggi mozzafiato. È un film intimo e personale ma al contempo di una grandezza monumentale, che rende Ilya Povolotsky uno dei registi russi contemporanei da tenere maggiormente d’occhio, e che fa di Grace il miglior film esteuropeo del festival di Cannes di quest’anno. Una curiosa coincidenza, dal momento che come Pamfir, il film che ha ottenuto questo stesso “titolo” l’anno scorso, è stato presentato alla Quinzaine.