Il genio smoderato: l’istinto di conservazione artistica di Davyd Burljuk

Erudito, istintivo, innovativo. Ma anche possente, predominante e dirompente. Questi sono gli aggettivi che si ritrovano leggendo le biografie e le riviste d’arte riguardo Davyd Davidovič Burljuk (1882-1967). Davyd Burljuk è uno dei maggiori esponenti dell’avanguardia ucraino-russa dell’inizio Novecento, rappresentante di uno dei nuovi modi di scomporre, ridisegnare, rivivere la realtà.

Nato nel 1882 nel Governatorato di Charkiv, nell’allora Impero russo, si avvicinò a diversi modelli espressivi insieme al fratello, Volodymyr Burljuk. Davyd Burljuk può esser considerato un artista completo: scrittore con la passione sfrenata per la memorialistica, illustratore di libri e, soprattutto, prolifico pittore di quello che sarebbe diventato il futurismo a cui si affaccia per descrivere una realtà in discesa e mutamento. La sua evoluzione artistica è piuttosto rapida. Non ancora ventenne, inizia a dipingere quadri sbalorditivi; sperimenta l’impressionismo ed il cubismo e approda a ciò che sarebbe poi diventato il cubofuturismo. Sin dall’inizio aspira a creare una piattaforma radicale per i critici dell’arte del passato: studia in diverse scuole, passando da Kyiv a Odessa fino a Monaco e Parigi per poi approdare a San Pietroburgo, dove insieme a Vladimir Majakovskij firma il manifesto Schiaffo al gusto del pubblico. Il suo potenziale è in costante crescita ed è visibile sia sul fronte personale che artistico. Si presenta come una personalità travolgente, fisicamente possente, tanto che il drammaturgo Nikolaj Evreinov coniò il neologismo “burljukat’” (ru. бурлюкать), un verbo ormai di uso comune con il significato “borbottare, ribollire”, volto a sottolineare il carattere e l’imponenza del pittore. A tal riguardo, Kručënych lo descrive: Il grande impetuoso Burljuk irrompe nella vita. È largo e avido, ha bisogno di conoscere tutto, prendere tutto, divorare tutto. Una figura difficile.

Ma Burljuk possiede anche un forte istinto paterno verso i suoi compagni, ed è capace di indirizzare e guidare la loro diversità di modo da far loro ottenere successi e diminuire le ostilità. Nelle parole di Majakovskij si trova la descrizione di Burljuk come un esempio di compagno generoso ed erudito: “Penso a Davyd sempre con amore. Amico meraviglioso e vero insegnante, Davyd mi ha reso poeta, mi ha letto i [poeti] francesi e i tedeschi, mi porgeva i libri, mi dava ogni giorno 50 copechi in modo che potessi scrivere senza morire di fame”.

Ma come nasce l’avanguardia che ha ridisegnato e rimodellato, distruggendo e disgregando la cavillosa arte del passato? È nel 1910 che Davyd Burljuk fonda il gruppo letterario futurista Gileya (Гилея, “foresta”, l’antico nome greco della regione scitica alla foce del Dnepr vicino a Cherson) nella tenuta di famiglia nei pressi di Cherson (Ucraina), di cui inizialmente faceva parte anche l’amico Vasilij Kamenskij, e al quale si uniscono poi Velimir Chlebnikov e Vladimir Majakovskij. Burljuk definisce il quartetto d’arte una “quadriga”, ma è con Aleksej Kručënych che diventano un gruppo inseparabile, come testimonia in una lettera a Kamenskij:

Nuovi lottatori sono arrivati ​​e si sono iscritti – Volodya Majakovskij e Aleksej Kručënych. Questi due sono molto affidabili. Soprattutto Majakovskij, che studia all’Istituto d’arte con me. Dobbiamo agire rapidamente. Tempestoso! Kručënych con Chlebnikov sono a Pesočnaja vicino a Matjušin, Pietroburgo. Ci sono anche Benedict Livšic (…).

Burljuk riesce così a mettere insieme personalità artistiche tanto forti quanto difficili da gestire. D’altronde, è il suo istinto paterno a guidarlo e permettergli di distaccarsi senza provare mai invidia verso i suoi compagni che, al contrario, definiva “geni”. Dei compagni, Burljuk è il maggiore: possiede diversi anni di esperienza artistica con esposizioni a Mosca già nel 1907, conosce bene Larionov ed è già considerato uno dei maggiori esponenti dell’avanguardia russa. Presso l’Istituto d’arte incontra il giovane Majakovskij e dopo qualche mese lo presenta nei circoli d’arte come “il mio amico poeta Majakovskij”; qualche anno prima conosce Aleksej Kručënych a Odessa, dove questi studia ed espone alle sue prime mostre. Più precisamente si conoscono alla mostra dell’Unione degli artisti della Russia meridionale, alla quale Burljuk partecipa. Secondo alcune memorie dello stesso Burljuk, sembra essere stato proprio lui a suggerire ad Aleksej Kručënych il suo famoso “Дыр бул щыл” (trasl. Dyr bul ščyl, intraducibile poiché sono sillabe completamente inventate) diventato ben presto simbolo della Zaum. Nel 1910 conosce Chlebnikov a casa di amici in comune a San Pietroburgo, anch’essi artisti dell’epoca, e comprende sin dal momento in cui sente le sue poesie che Chlebnikov è un artista geniale е fragile da proteggere tanto da decidere di invitarlo a vivere nell’appartamento che affittava con il fratello Volodymyr.

 

 

Il destino di Davyd Burljuk si distingue in modo netto da quello dei suoi colleghi del futurismo: se da una parte Majakovskij rappresenta la vita come un dramma con una fine innegabilmente tragica, il dramma in Burljuk ha un esito felice. Il suo dramma è rappresentato dall’opposizione tra il riconoscimento a cui ambiva in ogni modo e la sopravvivenza sia fisica che artistica, e la sua necessità di essere libero nella creazione delle opere e il benessere materiale prevalsero sulla fama. Proprio durante la Rivoluzione del 1917 decide di partire, diventato ormai intollerante agli ambienti che si stavano costituendo: transita per Mosca, dove rimane qualche mese con l’amico Vasilij Kamenskij frequentando Café Futuristov, ma si rende conto della necessità di un’arte libera, svincolata dagli ambienti che pian piano si tingono di un tono sempre più politico. Si spinge a Est, trovandosi così ad Ufa con la famiglia, fino all’esilio in Giappone e successivamente negli Stati Uniti. Quasi tutto ciò che sappiamo di Davyd Burljuk ci viene dato da lui stesso, attraverso i suoi scritti personali, ma ancor più dalle biografie e riviste che lui stesso pubblicava già in USA. Arriva in Giappone grazie all’aiuto di un amico d’infanzia di origine inglese: egli, divenuto console inglese, riesce a procurargli il permesso per arrivare negli Stati Uniti attraverso il Giappone. Qui si trattiene per circa un anno: conosce diversi esponenti d’arte contemporanea dell’epoca e riesce a entrare nei circoli d’arte come “illustre pittore e padre del futurismo russo”. Burljuk vive grazie alla vendita delle sue tele – ne riesce a vendere circa 150 – e grazie al successo riscosso decide di ripartire alla volta di quella che è sin dall’inizio la meta finale: gli Stati Uniti.

Sorgono diversi interrogativi riguardo al riconoscimento di Burljuk rispetto agli altri futuristi. Se infatti in Russia Burljuk ha lavorato trent’anni per ottenere una qualsiasi forma di riconoscimento, negli States ha cercato di far sì che non si dimenticassero di lui. Inoltre, se da una parte è vero che ciò che lo spinge a lasciare i cafè letterari pietroburghesi e moscoviti sia un irrefrenabile desiderio di esprimersi senza alcun condizionamento, è anche vero che non vi era ancora alcun tipo di censura che lo costringesse a partire. Tuttavia, come afferma egli stesso ne I frammenti dai ricordi di un futurista scritto nel 1929:

Se gli altri futuristi, in particolare la seconda ondata, hanno ricevuto dei riconoscimenti dopo la rivoluzione, io personalmente, per volere del destino, sono finito in altri continenti del nostro pianeta, lavorando a beneficio del paese dei lavoratori e contadini, ovvero la mia grande patria rivoluzionaria, e dalla mia Patria non ho visto alcun riconoscimento. Ma venivano riportate alle mie orecchie risate insolenti dei generali e ricconi. In queste circostanze, non si può incolpare una persona per una certa dose di nervosismo. Ho compiuto 47 anni il 22 luglio 1929. Ogni creatura ha istinti diversi. L’istinto di procreazione, l’autoconservazione è di carattere puramente fisico. Ma io, come gli altri miei compagni appassionati d’arte, per tutta la vita, fin da piccolo, sono stato travolto da episodi di istinto di conservazione estetica. In alcuni individui creativi si manifesta in modo insolitamente violento, come in Turner con i suoi tremila dipinti e diciannovemila disegni.

I frammenti dai ricordi di un futurista fu pubblicato solo nel 1994, nonostante il pittore avesse inviato proprio nel 1929 il manoscritto in patria con l’esplicita richiesta di pubblicazione. Si può notare la menzione all’“istinto di conservazione estetica” che prevale in ogni scelta della sua vita e che appare come istinto primordialmente sviluppato, lo stesso istinto che lo ha portato all’emigrazione e permesso di spaziare tra il futurismo e l’espressionismo sotto alcuno sforzo. Questo suo “istinto” gli permise di sfuggire dalla fine di Majakovskij e Chlebnikov, entrambi deceduti a 37 anni), e lo aiutò a conservare l’arte e sperimentarla a lungo, al contrario di Vasilij Kamenskij, che finì per allontanarsi dall’arte iniziale di cui si faceva promotore. Appare, quindi, il solo ad aver continuato a lungo – anni di vita permettendo – a lavorare sulla stessa arte, nonostante la concreta capacità di sperimentare altri stili.

Un’altra caratteristica propria di David Burljuk è la sua fissazione per i numeri, quindi per gli anni e minuti vissuti, i battiti del cuore e le opere dipinte. È solito creare paragoni: “Il poeta Singer dice che io abbia dipinto 17.000 quadri nella mia vita. Lavoro tutto il tempo. In 50 anni – 2,5 miliardi di battiti cardiaci, in 75 anni – 3 miliardi 750 milioni. Siamo tutti miliardari“.

È consapevole della sua geniale follia, così come è cosciente che la sua genialità si possa interpretare come “produzione in fabbrica”. Nei suoi diari annota quanto viene definito già dai suoi maestri di Odessa, per i quali la pittura è espressione di un momento istantaneo e non produzione quotidiana di schizzi, tele, quaderni. Infatti, nell’estate del 1900, prima di ricominciare l’Istituto di Odessa, crea circa 300 schizzi la cui produzione non viene affatto valorizzata ed apprezzata dai maestri. Tra i vari viaggi e traslochi, molti dei lavori del Burljuk giovane vengono persi per la mancanza di catalogazione. Diversi anni ed esperienze dopo, arrivato negli USA deve ricominciare: ed è questo uno dei motivi per i quali Burljuk è così legato ai numeri e ai conti della sua vita. Burljuk e la moglie Marusia si ritrovano nel Nuovo Continente disillusi e squattrinati per i primi 18 anni: Burljuk è costretto a lavorare per un giornale per quattro soldi, mentre la moglie scrive dettagliatamente le spese. Successivamente, riacquista la fama grazie all’esposizione in diverse mostre promosse dalla Société Anonyme, un’organizzazione artistica fondata nel 1920 da Katherine Dreier, Man Ray e Marcel Duchamp.

 

 

Proprio l’istinto di conservazione artistica lo spinge sempre oltre e, soprattutto, a vedere la possibilità di esprimere l’arte anche in mancanza di concretezza. Tutta la vita di Burljuk è costernata da piccoli episodi in cui il destino e la coincidenza hanno avuto un grande ruolo, senza il quale, con molta probabilità, non conosceremmo la genialità artistica del padre dell’avanguardia russa.

 

Bibliografia:

Burljuk D. Fragmenty iz vospominanij futurista, Sankt Peterburg, 1994
Demenok E. David Burljuk. Instinkt estetičeskogo samosohranenija, Moskva, 2020.
Hargiev N., Trenin V., Poetičeskaja kul’tura Majakovskogo, Moskva, 1970.

Tutte le traduzioni alle citazioni presenti in questo articolo sono opera dell’autrice.

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