Vergine giurata: una riflessione sul film di Laura Bispuri

 

Riuscite a recuperare, in quel trambusto di sfumature lasciato dai vostri sogni, una visione? Come di un sovrapporsi di lenti colorate che si scontrano all’orizzonte formando nuovi mondi. Se avete fatto un sogno simile, sarà più semplice per voi capire la difficoltà del tracciare un profilo coerente e omogeneo dell’Albania. Una tale impresa è effettivamente impossibile. La cultura albanese è una catena i cui anelli sono costituiti da realtà estremamente diverse, concatenatesi l’una all’altra durante la storia. Non esiste una definizione univoca, solo un mergersi di carni che va a formare il corpo dell’attuale Albania. Se non avete alcuna esperienza di questo paese, il seguente articolo sarà per voi il primo di una serie che tenterà di darvi le coordinate che vi permettano di muovervi in una terra che, per quanto piccola, presenta una ricchezza rara da trovare altrove.

Lì in un qualche luogo non distante da una città di pietra incrocerete qualcuno che vi dirà che in quel lago il dio pan è morto. Lì la sera qualcuno ti raccomanderà di non sbattere troppo forte la porta quando esci, perché rischierai di spaventare le zane. Da qualche altra parte troverai delle donne che sono uomini e che vengono chiamate dagli altri burrneshe. Ti spiegheranno allora che sono donne che hanno rinunciato a essere tali per diventare uomini e ricoprire il ruolo di capofamiglia. Fenomeno caratteristico delle montagne dell’Albania settentrionale, dove ancora oggi vige il kanun – una serie di leggi non scritte che regolamentano i rapporti tra le varie famiglie di una comunità montana – la sua esistenza è dovuta da una necessità sociale. In passato fondamentale era infatti la presenza di un uomo che adempisse al ruolo di capofamiglia e che si occupasse delle faccende esterne ad essa. Quando questa figura veniva a mancare e non c’erano altri eredi maschi a poter ricoprire questo ruolo, non era raro che a subentrare fosse una donna che avesse scelto di diventare una burrnesh.

La burrnesh – letteralmente burr, uomo e nesh, declinazione che indica un soggetto femminile – è sottoposta a un rituale di iniziazione a cui presenziano gli uomini più importanti del villaggio. Durante questa cerimonia alla donna vengono tagliati i capelli. Dopo il taglio della chioma fa poi giuramento di castità e adotta un nome maschile. Da quel momento smetterà di essere una donna ma diventerà a tutti gli effetti un uomo, abbandonando per sempre tutto ciò che concerne la sfera femminile. Non potrà sposarsi e avere figli, ma dovrà dedicarsi a tutti i tipi di attività maschili, compresi i lavori manuali. Potrà usare le armi e portare con sé il fucile. Siederà alla tavola degli uomini e fumerà con loro bevendo il raki. Ciò che costituisce l’aspetto più sbalorditivo di questa metamorfosi è vedere come la mascolinità non dipenda tanto dal sesso di un individuo, ma dalla volontà di quest’ultimo di assumere le caratteristiche di tale genere. La burrnesh se ne riveste esattamente come un guerriero si riveste della sua pelle d’animale assorbendone gli attributi. Per quanto tale decisione sia dettata dalla volontà di un sistema patriarcale, credere che questa sia la sola spiegazione è limitante. La vita della burrnesh non è semplicemente la vita di una donna che recita la parte dell’uomo. La burrnesh non è più una donna, ma non è nemmeno completamente un uomo e può trovare definizione solo nel suo stesso nome. L’esistenza della burrnesh porta in sé tutta una serie di esperienze emotive profonde e a volte destabilizzanti, solitamente mai sperimentate dalle altre persone.

È per questo motivo che abbiamo deciso di parlare del film vergine giurata della regista Laura Bispuri. Ispirato dal romanzo della scrittrice Elvira Dones, vergine giurata è un’opera che è stata in grado di raccontare la vicenda di una burrnesh con una sapienza e con una delicatezza tale da permettere allo spettatore di sincronizzarsi col ritmo interno della protagonista. Guardando questo film non abbiamo bisogno di capire, perché stiamo provando le stesse emozioni della nostra eroina ed è in questo modo che Laura Bispuri sceglie di strutturare la sua opera, senza sottoporci a inutili dialoghi e astruse costruzioni.

 

La vicenda narrata nel film prende piede nelle montagne dell’Albania settentrionale. Hana, una ragazza di appena tredici anni, ha appena perso i genitori. Viene però trovata da un uomo che per salvarla e portarla al sicuro compie un viaggio estenuante, costringendo il suo corpo a farsi strada nella neve che gli sbarra il cammino. Adottata dall’uomo che l’ha salvata, Hana inizierà a vivere con la sua nuova famiglia. Circondata da un ambiente ostile e desolato il cui tempo è scandito solo dal soffio del vento e dal chiacchiericcio degli animali, Hana inizia a diventare insofferente alla sua condizione di donna. In una delle scene più esemplari del film, Hana si imbatte insieme alla madre e sua sorella Lila in un corteo nuziale. La sposa ha il volto coperto e la madre le spiega che la futura sposa non deve essere in grado di riconoscere la via del ritorno, impedendole così ogni tentativo di fuga e, quindi, di libertà.  A ribadirci questo concetto è la scena in cui il padre comunicherà a Lila che è stata promessa in sposa. La fa sedere vicino a lui e le mostra una pallottola: se dovesse causare forti dispiaceri al futuro marito, questo potrà fare uso della pallottola che lui stesso gli consegnerà. Sia Hana che Lila non riusciranno a integrarsi in questo mondo finendo col cercare entrambe il modo di evadere dalla loro condizione di prigioniere. Se Lila deciderà di scappare in Italia con l’uomo che ama, Hana sceglierà un’altra strada. È ancora intimamente collegata al fondo del suo essere che rifiuta categoricamente di reprimere, anche a costo di essere punita. Il padre non impiegherà molto a notare questa caratteristica di Hana e, come chi interpreta le regole del suo mondo in senso inclusivo e non oppressivo, vede nella figlia non una donna da punire e rieducare, ma una futura burrnesh.

L’atteggiamento del padre nei confronti di Hana è in un certo senso la dimostrazione di ciò che era già stato accennato in precedenza nell’articolo. La mascolinità non è solo legata al sesso, ma ha un significato più intimo che trascende la natura biologica di un individuo. È un’attitudine, un modo di essere che deve essere accolto non solo da chi lo possiede, ma anche dagli altri membri della comunità. Il padre di Hana inizierà così a trattarla come un maschio. La porterà a caccia con lui per insegnarle a imbracciare il fucile e a procurarsi da sola da mangiare. La porterà con lui a pascolare il gregge e sarà sempre lui durante una passeggiata al mercato a farle conoscere una burrnesh. Per Hana il padre diventa un ideale da raggiungere e con cui identificarsi totalmente. Ne osserva attentamente i movimenti, le espressioni, i modi di fare, assorbendoli e facendoli suoi. Arriverà persino ad assumere atteggiamenti quasi autoritari nei confronti della sorella. La scelta di Hana di diventare burrnesh non è mossa in realtà da una autentica esigenza familiare, tutt’altro. È lo stesso padre che, dopo aver saputo che Lila è scappata perché innamorata di un altro uomo, dice ad Hana di non rimanere lì e di cercare la sua strada.

Hana non riesce a concepirsi però al di fuori di quelle montagne. È troppo legata ai genitori adottivi e desidera vivere per loro. La fuga della sorella, che costituirà anche la rottura col suo lato femminile, la porterà definitivamente verso la metamorfosi. Quello stesso giorno infatti Hana annuncerà di voler diventare una burrnesh. La nascita di Mark – nome che Hana adotterà da quel momento in poi – verrà annunciata dal padre alla comunità con dei colpi di fucile sparati in aria. Mark verrà così sottoposto alla cerimonia che lo porterà a essere riconosciuto come uomo dagli altri uomini del villaggio. La nuova vita di Mark sembra finalmente procedere serenamente. È una serenità apparente però. Trovatosi solo dopo la morte prima del padre e poi della madre, Mark inizia a vivere una fase di profondo disagio. Solo nella casa lasciatagli dai genitori, conduce una vita vuota ed emotivamente arida. Si accorge presto che la sua scelta l’ha portato a una desolazione ancora più grande, perché l’ha condannato a una vita di solitudine, negandogli qualsiasi forma di affetto. Intraprenderà così un viaggio per riottenere la sua parte femminile, ancora viva ma distante. Mark raggiunge così l’Italia, dove vive sua sorella Lila che non vede ormai da quattordici anni.

La riconciliazione fra le due non avverrà subito. Lila non riesce ad accettare la scelta di Mark, ma l’accoglie ugualmente nella sua casa per dargli la possibilità di rifarsi una vita a Roma. La frattura tra le due sorelle si intravede anche nel loro modo di comunicare. Se Mark continuerà a parlare per tutto il tempo in albanese, Lila parlerà in italiano utilizzando l’albanese solo raramente e nei momenti di maggiore tensione emotiva. L’uso che Lila fa dell’italiano le permette di prendere le distanze dall’Albania e dal passato, cosa che non avviene per Mark, ancora profondamente legato alle sue origini.

Il processo di riavvicinamento fra le due sorelle avverrà tramite la figlia di Lila, Jonida. Inizialmente infastidita dall’intrusione di uno sconosciuto nella sua vita familiare, Jonida si affeziona molto a Mark, il quale prova per lei un forte trasporto materno. Inizierà ad accompagnarla agli allenamenti in piscina, seguendola e aiutandola nel suo percorso sportivo. Il contatto con Jonida dischiude in Mark una piccola valvola che ricomincia a portare ossigeno al lato di sé ormai incancrenito ma ancora vivo. Non è un caso che la rinascita di Hana avvenga in una piscina. È lì, in quell’ambiente liquido che ricomincia la gestazione interrotta della protagonista ed è sempre lì che per la prima volta Hana scopre la sessualità. Il suo sguardo si incrocia già dai primi giorni con quello di un uomo, Bernhard. I due si cercheranno spesso con lo sguardo, limitandosi all’inizio solo ad osservarsi. Non ci sarà mai una vera comunicazione fra i due, solo una tensione sensuale che lì spingerà uno verso l’altro, in modo cauto e delicato. Quando i due si sfiorano per la prima volta, Bernhard intravede l’insicurezza della donna e ne rispetta i tempi. Alla fine, Hana si abbandona e lascia finalmente che il suo desiderio femminile venga appagato. Giorno dopo giorno Hana riesce a riacquistare una piccola parte di sé. La fascia che la madre le aveva stretto al seno il giorno in cui aveva rinunciato a essere Hana le viene tolta dalla sorella. Hana ha finalmente completato la sua metamorfosi riunendosi a Lila e reintegrando in sé tutti gli aspetti della sua persona. Ormai libera dalla fascia che le aveva lacerato la pelle per anni, Hana sceglie però di non indossare il reggiseno. È definitivamente libera dalle imposizioni dell’uno e dell’altro sesso. Riacquista il suo primo nome e comincia finalmente a vivere in una nuova casa dopo aver trovato un lavoro. Può affermarsi come persona, ma ancora di più come Hana che è riuscita a riconciliare il lato femminino con quello mascolino, prima in perenne conflitto.

Riconciliatasi ormai con la sorella Lila, le consegna la lettera scritta da loro madre e a loro indirizzata. Seduta al tavolo del bar in cui Lila canta di tanto in tanto, le due sorelle leggono la lettera insieme. In quelle poche righe la madre dichiara il suo amore alle figlie e chiede a queste ultime di restare sempre assieme, perché sono state fatte per essere una la parte dell’altra. Entrambe consce che, da una parte la fuga di Lila, dall’altra la drastica scelta di Hana, non le ha portate alla felicità che speravano, le due sorelle si prendono per mano e vanno sul palco del bar a intonare la canzone della loro infanzia. Così, quasi come in un giuramento silenzioso e che non comporta più rinunce, le due rinnovano la loro promessa d’amore, decise a non lasciarsi più.

 

Ancora oggi nelle montagne in Albania è possibile incontrare delle burrneshe. Ormai residuo di un’altra epoca continuano a vivere come uomini assolvendo i propri doveri. Il fenomeno è ormai in via d’estinzione, mentre lo stesso non si può dire della parola “burrnesh” che sta acquistando nuovi significati. Più volte infatti girando per l’Albania sarete in grado di sentire usare questo termine per designare una donna forte, a cui si deve portare rispetto. Sono molto spesso donne che non vengono definite tali solo perché non si rispecchiano più nel ruolo tradizionale della donna albanese, ma perché presentano una tempra e una tenacia che incute timore e rispetto.

La donna albanese non ha conosciuto solo il contesto patriarcale, ma ha ricoperto durante le età del mondo i ruoli più svariati. Nel periodo precedente alla cristianizzazione le donne albanesi – si fa riferimento alla civiltà degli illiri – andavano in guerra insieme agli uomini e venivano sepolte con le loro armi. Noto è anche che gli albanesi, sempre in epoca precristiana, ebbero molte regine, di cui la più nota fu Teuta. Ancora oggi in alcune zone dell’Albania centrale l’uomo assiste al parto della moglie stendendosi accanto a lei ed emulando le doglie. Questa stretta empatia sottintende probabilmente un residuo di cultura matriarcale che si è depositato qua e là nella cultura albanese, sopravvivendo ancora oggi in alcune sfere della vita quotidiana. Tornando all’uso del termine Burrnesh, nelle zone di Scutari viene usato per indicare una donna che dopo la morte del marito si è rifiutata di sposarsi (mia nonna la chiamavano burrnesh, quando suo marito è morto non si è più voluta sposare) e si è quindi in un certo senso, votata alla verginità.

 

 

Ora che abbiamo scandagliato assieme un fenomeno così particolare, vorremo arrivare alla tappa conclusiva di questo viaggio: perché abbiamo deciso dunque di partire da un fenomeno così circoscritto e marginale per prepararvi al primo contatto con l’Albania? Come già sapete, l’esperienza di una cultura non avviene mai per ragioni semplicemente utilitaristiche. Quello che stiamo facendo in questo momento non è conoscere l’Albania, ma conoscere noi attraverso l’Albania e il ruolo che le burrneshe rivestono. L’esistenza di un simile fenomeno mette in discussione molti dei modi in cui siamo stati abituati a pensare e a vivere. Qui non si è parlato di ruoli e di generi, ma di archetipi. La burrnesh vive la mascolinità come archetipo, esattamente allo stesso modo in cui l’uomo – anche se per un tempo molto più breve – vive insieme alla donna gli spasmi del parto. La possibilità di vivere questi archetipi rimanda a una forma molto più raffinata e forse più spirituale di concepire i ruoli all’interno di una società. Il maschile e il femminile sono esperienze che possono essere vissute entrambe in base all’esigenza del momento. Non solo, sono entrambe presenti in uno stesso individuo per il semplice fatto che se così non fosse non potremmo scegliere fra le due. Questo binomio si è forse andato a fossilizzare col tempo in modo più statico come nel caso della burrnesh. In realtà, il concepirci generi prima ancora che persone avviene ancora oggi nella società moderna, ponendo grandi limiti alla realizzazione personale dell’individuo.

Rendendo noto il fatto che non si sta parlando di concetti legati alla sessualità e all’orientamento sessuale, ciò che si cerca di fare è osservare un fenomeno in grado di fornirci un’esperienza che in altri contesti culturali non sarebbe stata possibile. L’eroina del nostro film arriva a capire che siamo esseri indipendenti dal nostro sesso e che l’espressione del nostro io non può essere subordinata a sterili categorie culturali. Se questo punto di vista appare semplicistico, altrettanto semplici non sono le conseguenze che si pagano quando si vive una tale scissione. L’incapacità di nutrire ed esteriorizzare lati di noi che andrebbero a scontrarsi con un modello ideale possono solo dare come risultato una profonda tristezza che porta alla schizofrenia e alla psicosi. Accogliere in sé anche quelle parti che ci sembrano in contrasto con le altre, non significa dover negare totalmente ciò che c’era in precedenza: Hana appende al muro della nuova casa la foto dei genitori. Non ha bisogno di cancellare la sua vita tra le montagne albanesi per ricominciare a vivere, ma accetta tutto quello che la compone diventando una persona integra. È necessario lasciare che le nostre diverse personalità risuonino insieme in modo armonioso per raggiungere la felicità e Hana e Lila ce ne danno una prova.

Infine, se ancora non siete riusciti a recuperare nella vostra memoria quella visione notturna di lenti che si scontrano, vi auguriamo che la vostra prima o nuova esperienza in Albania crei in voi nuovi mondi e possibilità nelle prossime notti.

 

2 commenti

  1. mia madre rimasta vedova all’età di 49 anni non siè mai più risposata, così hanno fatto due mie sorelle rimaste vedove ancora giovani. Accio presente che la mia famiglia è una famiglia arbëreshe originaria di Maschito (PZ) e viviamo in PIemonte dagli anni ’60.

  2. mia madre rimasta vedova all’età di 49 anni non siè mai più risposata, così hanno fatto due mie sorelle rimaste vedove ancora giovani. Faccio presente che la mia famiglia è una famiglia arbëreshe originaria di Maschito (PZ) e viviamo in PIemonte dagli anni ’60.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *