Letteratura come atto etico: Guida il tuo carro sulle ossa dei morti ed ecocritica

La scrittura è un atto politico?

Le opinioni in merito sarebbero sicuramente discordanti. Del resto, diatribe sull’arte engagé in contrapposizione all’arte per l’arte non si sono mai placate, nonostante -e forse proprio per- il continuo avvicendarsi di punti di vista e modi di fare letteratura sempre in divenire. Se da una parte c’è la concezione dell’artista come superuomo su un piedistallo, avulso dalla società e dai suoi obblighi, dall’altra c’è la concezione dell’intellettuale come uomo con un debito verso la società e che, inserito all’interno di un contesto storico e politico, ha la responsabilità e il dovere morale di contribuire al miglioramento dello stesso.

Ma i tempi sono cambiati, e con loro anche la figura dell’intellettuale, che risente dei grandi temi di discussione di quello che almeno finora è il ventunesimo secolo: diritti umani, femminismo, ecologia, confini. E con buone probabilità nessuno, tra gli autori contemporanei, ha esplorato queste pieghe del vivere nel mondo con la stessa dovizia di Olga Tokarczuk, premio Nobel per la Letteratura 2018.

Interpretare però la sua opera come letteratura politica sarebbe fallace, nonché intellettualmente disonesto. Il termine “atto politico” è indissolubilmente legato a doppia mandata alla sua epoca e all’assetto degli affari pubblici correnti, mentre l’autrice decide di adottare una posizione diversa.

La visione di Olga Tokarczuk

 

Olga Tokarczuk

 

In quest’intervista del 2010, Tokarczuk afferma che “il ruolo dello scrittore è sempre stato politico, nel senso più ampio del termine. Con politico, intendo un approccio consapevole alla realtà che ci circonda. (…) Ciò detto, scrittori, poeti e artisti fanno luce su questioni che non siamo più capaci di notare – questioni a cui ci siamo abituati e che appaiono come ovvie e normali. Queste sono cose che -specialmente nei sistemi autoritari- sono spesso sbagliate e violente. In tal modo, uno scrittore -e questo può sembrare romantico- ricopre il dovere di una campana che suona per richiamare l’attenzione a quella che è anche la nostra accettazione, fin troppo frettolosa e legata all’abitudine, della realtà. Ritengo che non vi sia una letteratura che può rimanere non politica in questo senso, al di là delle storie d’amore o della pulp fiction, ovviamente. La letteratura di qualità, la letteratura che vuole ottenere qualcosa, è sempre politica”.

In un’altra intervista, Tokarczuk ribadisce ed amplia questo concetto: “I miei libri non sono “politici”. Non ho pretese politiche. In realtà (i miei libri) descrivono la vita. Ma se volgiamo lo sguardo alla vita delle persone, la politica si insinua ovunque. “Guida il tuo carro sulle ossa dei morti è la storia della follia di una signora anziana che non riesce a sopportare l’assassinio degli animali. E all’improvviso, in questo nuovo contesto che si è aperto in Polonia, il libro diventa strettamente politico. Non era la mia intenzione. Non era stato concepito come un libro politico. Scrivo libri per aprire la mente alle persone, per presentare nuove prospettive, per far sì che la gente si accorga che ciò che credono ovvio non è così ovvio, che si possa guardare una situazione ordinaria da un punto di vista diverso rivelando altri livelli di significato. È a questo che serve la letteratura – ad espandere la nostra consapevolezza, l’abilità di interpretare le nostre vite e ciò che ci accade”.

La politica, quindi, rientra nel territorio dell’immanenza, mentre l’intento di Tokarczuk si ascrive alla necessità di una trascendenza ideologica. Proprio per tale ragione la letteratura di Tokarczuk si configura come un atto etico, indipendente dalle circostanze sociali e culturali. Tuttavia, mai come in questi ultimi anni le decisioni strettamente politiche si trovano in un rapporto di stretta dipendenza da questioni etiche ben più ampie, che rendono necessaria una riflessione a livello globale ed extrastorico, mirata alla ridefinizione del pensiero in merito a tematiche come i rapporti di potere, le migrazioni, la dicotomia tradizione/progresso o, come nel caso di Tokarczuk, l’ambiente.

In questo, Guida il tuo carro sulle ossa dei morti, romanzo del 2009 recentemente ripubblicato da Bompiani con traduzione di Silvano De Fanti e revisioni di Barbara Delfino, è un testo emblematico. Definito a buon diritto un eco-thriller dalla sensibilità anarchica, reca in sé numerosi punti in comune con la filosofia ecofemminista, la cui etica di pensiero è insieme base fondante e chiave d’interpretazione per il romanzo e per la visione stessa di Tokarczuk.

È curioso come anche la scelta formale, un giallo con un’improbabile protagonista femminile, faccia il verso ad una moda letteraria polacca degli anni Novanta che vedeva tutta una pletora di romanzi divertenti, dal taglio commerciale e dal grande successo editoriale, in cui una donna si ritrovava alle prese con la risoluzione di un mistero. Nel decostruire consapevolmente un sottogenere così popolare e facilmente riconoscibile dai lettori in patria, la missione di Tokarczuk è presto chiarita: utilizzare la forma mainstream per parlare di temi impegnati. Ma in nessun romanzo come in questo l’autrice anticipò una presa di posizione su temi che, anni dopo, avrebbero scosso la Polonia intera.

Del resto, già la candidatura all’Oscar come miglior film straniero di Pokot, in italiano reso come Spoor – Il sentiero, pellicola della celebre regista Agnieszka Holland tratta per l’appunto dal romanzo, scatenò numerose proteste da parte dei conservatori, che definirono le donne targowiczanie, gergo dell’epoca comunista per “traditori” e bollarono il film come anticattolico, antipolacco e indegno di rappresentare la Polonia, dopo che già la vittoria dell’Orso d’argento al Festival di Berlino del 2017 era valsa al film l’etichetta di simpatizzante per l’ecoterrorismo.

 

Agnieszka Holland e Olga Tokarczuk

 

Il romanzo

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti racconta la storia di Janina Duszejko, eccentrica sessantenne proveniente da un villaggio remoto immerso tra i boschi della conca di Kłodzko, in bassa Slesia. Janina è un’insegnante di inglese in una scuola elementare, un’ex ingegnera di ponti, un’appassionata di astrologia, grazie alla quale cerca di dare un ordine superiore alla propria esistenza, un’avida lettrice delle poesie di William Blake e, soprattutto, un’animalista convinta. Conduce una vita tutto sommato tranquilla, nel suo isolamento dal mondo interrotto soltanto dalle visite di alcuni dei personaggi secondari, dal burbero vicino di casa Bietolone al suo ex allievo Dyzio, poliziotto e anch’egli, come Janina, amante della poesia di Blake.

In questo territorio remoto, isolato, al confine con la Repubblica Ceca, la vita scorre grigia e monotona, non dissimile da tante altre vite di paesino. A interrompere questo quadro tutt’altro che idilliaco, nel quale la quotidianità rurale è purtroppo una realtà scandita dal retaggio bigotto e patriarcale, sarà la morte misteriosa di un altro vicino di casa di Janina: il bracconiere Piede Grande, soffocato da un ossicino incastrato in gola. Ma la morte di Piede Grande non sarà l’unico mistero ad agitare l’apparente sicurezza della comunità. Ben presto, infatti, molti altri cacciatori del villaggio troveranno la morte in circostanze misteriose, dietro alle quali Janina scorge la vendetta degli animali e della natura.

In questa sua battaglia per far luce sugli omicidi, Janina incorrerà nello scherno dei compaesani, che vedono nelle sue indagini soltanto i deliri di un’eccentrica sessantenne invasata. Eppure, le azioni della protagonista sono imbevute del suo profondissimo senso etico, che sarebbe svilente definire semplicemente “singolare”. Perché la singolarità di Janina, il suo status di fiera, inguaribile emarginata, ha le sue radici nell’incompatibilità della propria morale con quella dell’ambiente che la circonda, morale grazie alla quale è in grado di mettere in discussione, almeno per il lettore, quell’arcadia polacca spezzata dall’esistenza di dinamiche secolari di ottusità, ipocrisia religiosa e, in ultimo, oppressione sistemica dei diversi, uomini o animali che siano, percepiti di default come inferiori. Incapace di tacere di fronte alla sofferenza e armata soltanto del senso di responsabilità etica, Janina dovrà far fronte all’incuranza e al dileggio delle autorità, cercando di far valere le proprie convinzioni nel nome della disobbedienza civile.

Tokarczuk ebbe l’idea per il romanzo nel corso di un inverno trascorso da sola con i suoi due cani nella conca di Kłodzko dopo la separazione dal marito. Un giorno, proprio come per Janina, i cani scomparvero. “Iniziai a chiedere in giro cosa fosse successo. Qualcuno mi disse che nella zona c’era stata una grande battuta di caccia, e che a volte i cacciatori ubriachi uccidevano i cani. È successo molti anni fa, ma ho conservato quest’idea per molto tempo. Idee come questa- è come se fossero nel frigo. E poi un giorno appaiono sulla tavola.

Del resto, non è difficile riconoscere l’autrice dietro la figura della sua eroina. Olga Tokarczuk è, proprio come Janina, un’outsider all’interno di quella che è la Polonia di oggi, in quanto vegetariana, animalista e schierata a favore di una politica ambientalista e liberale. Tokarczuk stessa, del resto, ha dichiarato di non avere avuto l’intenzione di scrivere un romanzo giallo canonico. L’intento iniziale, nelle sue parole, era tutt’altro: “Volevo esplorare questa domanda, che è al cuore del romanzo: cosa possiamo fare noi, come persone buone, contro una legge che è cattiva? Janina cerca di comportarsi come una brava cittadina, ma nessuno la ascolta”. In un’altra intervista, l’autrice elabora ulteriormente le sue intenzioni: “Scrivere un libro semplicemente per scoprire chi sia l’assassino è uno spreco di carta e tempo, perciò decisi di inserirci i diritti degli animali e una storia di cittadini dissidenti che realizzano che la legge è immorale, e vedere quanto riescano a spingersi prima di opporsi ad essa. Alcuni hanno detto di nuovo che Tokarczuk è una vecchia pazza che fa cose strane, ma poi su internet è iniziata questa grande discussione su cosa possiamo fare per questa tradizione così cattolica e patriarcale.

 

Agnieszka Mandat nei panni di Janina nel film Pokot

 

Eco-fiction ed ecocritica

In questo, Guida il tuo carro sulle ossa dei morti diventa un classico moderno dell’eco-fiction, branca letteraria dedicata all’esplorazione di tematiche legate all’ambiente e ai rapporti tra uomo e natura. Buona parte dell’orientamento etico dell’eco-fiction deriva dall’ecocritica, la quale a sua volta ha numerosi punti di contatto con quella che è l’attuale filosofia ambientalista. In Tokarczuk assume i tratti dell’ecofemminismo contemporaneo, che indaga i rapporti sottesi fra le donne, gli animali e la natura. Ecofemminismo è ora divenuto un termine ombrello che include al suo interno anche il femminismo intersezionale, mirato ad esaminare le dinamiche di oppressione e discriminazione tenendo conto anche delle diverse identità sociali, quali etnia o classe sociale di appartenenza.

Proprio come l’opera di Tokarczuk, in particolare modo per Guida il tuo carro, la filosofia ecofemminista si prefigge di riesaminare i quadri concettuali oppressivi che compongono la tradizionale mentalità europea e dell’Occidente, mettendo in discussione alcuni assunti canonici della filosofia come la conosciamo.

Ma è bene procedere con ordine: cos’è un quadro concettuale? È un insieme di credenze e valori che danno forma al mondo e si riflettono nella percezione di sé e della realtà esterna. La critica della corrente ecofemminista mira a smantellare, almeno parzialmente, delle dinamiche di potere e disparità esistenti in quella che definisce l’ideologia dominante: primo fra tutti, la credenza in dualismi fondamentali come ragione/emozione, mente/corpo, cultura/natura, assolutismo/relativismo, nonché la convinzione nell’esistenza di una separazione ontologica tra esseri umani da una parte, e animali e natura dall’altra. All’interno di tali dualismi vige una gerarchia di valori che favorisce sistematicamente una parte sull’altra, giustificando come premessa morale una logica di subordinazione della quale donne, animali e natura patiscono le conseguenze. La principale differenza tra ecocritica ed ecofemminismo è infatti l’impiego della prospettiva di genere all’interno dell’etica ambientale tradizionale, correlando lo sfruttamento delle donne a quello delle risorse naturali e perpetrando discriminazioni sessiste e speciste.

Insomma, l’Uomo ha un grande dovere nei confronti degli Animali: aiutarli a vivere la vita; e a quelli addomesticati ricambiare l’amore e la tenerezza, perché loro ci danno molto più di quanto ricevano da noi. E bisogna che vivano la loro vita dignitosamente, che chiudano i propri Bilanci e nel libretto del Karma superino il semestre: ero un Animale, ho vissuto e mangiato; ho pascolato in pascoli verdi, ho partorito i Piccoli, li ho riscaldati con il mio corpo; ho costruito nidi, ho fatto tutto quello che dovevo fare. Quando li si ammazza -e loro muoiono nella Paura e nell’Orrore, come il Cinghiale il cui corpo giaceva ieri vicino a me, e giace ancora là, umiliato, infangato e impiastricciato di sangue, trasformato in carogna -, li si condanna all’inferno e il mondo intero si trasforma in un inferno. Ma gli uomini non vedono tutto questo? Il loro intelletto è o no in grado di andare al di là dei piccoli piaceri egoistici? Il dovere degli uomini verso gli Animali è di condurli -nelle vite successive- alla Liberazione. Andiamo tutti nella stessa direzione, dalla determinazione alla libertà, dal rituale alla libera scelta.

 

Fotogramma del film Pokot

 

Inquadrando il fenomeno in una prospettiva storica, si ritiene che la separazione tra natura e cultura sia stata un prodotto della rivoluzione scientifica, che grazie allo slittamento da un modello organico a uno meccanicistico ha potuto giustificare lo sfruttamento della terra in quanto materia inerte, rimuovendone qualsiasi barriera morale derivata dall’associazione originaria di natura, femminilità e maternità. L’inizio di una filosofia ecologista occidentale si avrà appena negli anni Settanta del secolo scorso, con la nascita della critica ambientale dopo la presa in esame di dati sul maltrattamento negli allevamenti industriali, sulla deforestazione e sulle condizioni tossiche delle discariche. Il punto di partenza è molto semplice: gli esseri umani, a differenza di quanto affermato dalla filosofia occidentale, hanno una responsabilità morale nei confronti di animali e natura, confutando la tesi della superiorità ontologica dell’uomo a favore dell’inclusione dell’essere umano stesso, per quanto razionale, tra gli animali e, di conseguenza, nella natura.

 

Etica della terra

È proprio nel concetto di morale, elaborato dall’ecologo statunitense Aldo Leopold (ironia della sorte, appassionato cacciatore) nel suo L’etica della terra, che il femminismo ambientalista affonda le proprie radici. Il ruolo dell’essere umano dev’essere cambiato da conquistatore e dominatore a membro della comunità morale, che racchiude in sé i terreni, le acque, le piante e gli animali: collettivamente, quindi, la terra. Un atteggiamento morale, però, si può tenere soltanto in relazione a qualcosa che si può capire, rispettare o in cui si crede, e mira soltanto a preservare la stabilità biotica e la bellezza della comunità. Pertanto, il discrimine di un’azione sbagliata o dannosa è la conseguenza sulla comunità di tale azione, e Janina ne è consapevole.

A lei fanno più pena gli animali degli uomini.”
“Non è vero. Provo la stessa pena per gli uni e per gli altri. Però nessuno spara a degli uomini indifesi,” dissi al funzionario della Polizia Municipale la sera stessa. “Almeno adesso,” aggiunsi.
(…)
Dissi: “Della qualità di uno stato decidono i suoi Animali. Il rapporto con gli Animali. Se gli uomini si comportano bestialmente con gli Animali, allora non servono a niente né la democrazia né altro
.”

Fu soltanto negli anni Ottanta che nel discorso ambientale si iniziò ad avere un contributo femminista, che vedeva nella crisi ecologica il prodotto di una cultura capitalista costruita sulla dominazione della natura e delle donne. Per la filosofa Deane Curtin, la crisi ambientale è un prodotto del collasso della democrazia tradizionale: se tutti gli individui vivono in comunità parimenti culturali ed ecologiche, non sempre queste sono anche democratiche. La democrazia, nelle parole di Curtin, si ha quando un cittadino esercita il suo dovere civico e morale nella conciliazione di cultura e natura, incoraggiando il benessere di uomini e ambiente a rispecchiare la cura di sé nella cura dell’ecologia.

Proprio come per Janina, portavoce di una sensibilità animista e rivoluzionaria per il suo contesto, la politica ecofemminista vede la natura come un oggetto con agentività, soggettività e possibilità di prendere parte al discorso politico al pari degli esseri umani. La nascita del concetti di ecologia profonda, cruciale per il romanzo, si basa proprio su questo: sul distanziamento dall’antropocentrismo e da un ambientalismo utilitarista che divide il sé umano da quello naturale, creando un sistema in cui la giustizia è riesaminata nella prospettiva dell’empatia, non più riducibile a principi o regole astoriche, bensì mirata a tutelare il valore intrinseco di tutte le parti dell’ecosistema.

 

 

L’eco-fiction, quindi, incorpora il sincretismo e l’interdisciplinarietà dell’ecocritica all’interno dell’ambito letterario e culturale, ricercando nuove possibilità di intendere il rapporto uomo-natura con una coscienza diversa, empatica, più etica. Se nella letteratura classica uno dei conflitti chiave della narrativa era quello che vedeva l’uomo contro la natura, l’eco-fiction propone al lettore un modello diverso, che da una natura maligna, mostruosa e avversa alle vicende umane si sposta verso un concetto di natura come entità spesso mistica, che ricopre un ruolo indipendente dall’uomo all’interno della narrazione. L’impiego che Tokarczuk fa della natura in Guida il tuo carro mira proprio ad una serie di domande filosofiche da porsi per una riconciliazione con la natura stessa: quale sia il suo ruolo nella vita degli esseri umani, gli interessi dei quali non sono e non devono essere gli unici in gioco, o se sia necessario un cambiamento morale e di coscienza nelle azioni della società. È a questo che mira l’opera di Tokarczuk: sollevare domande importanti sul posto dell’uomo nell’ecosistema, sulla sua responsabilità etica e sull’urgenza di una rivoluzione del pensiero contro la malattia della modernità capitalista.

Quando nei miei giri d’ispezione vagabondavo per campi e terreni incolti, mi piaceva immaginare come sarebbe stato tutto questo tra milioni di anni e mi chiedevo: Ci saranno le stesse piante? E il colore del cielo, sarà lo stesso? Si muoveranno le placche tettoniche e si formerà una catena di alte montagne? Oppure nascerà un mare e nel movimento pigro delle onde scompariranno i motivi che ci fanno usare la parola “luogo”? Una cosa è certa: queste case non ci saranno più, il mio sforzo è insignificante, sta sulla punta di uno spillo, proprio come la mia vita. Dovremmo ricordarcene sempre.”

La questione della caccia e l’autorità religiosa

Ad avere però un maggiore riscontro con la politica è più di tutti il tema della caccia. Nel 2019 Jan Krzysztof Ardanowski, ministro dell’agricoltura del PiS, partito nazionalista e ultra-conservatore della Polonia, ha annunciato un piano per l’abbattimento su larga scala dei cinghiali selvatici al fine di contenere i contagi di febbre suina africana. Il provvedimento scatenò le proteste di gruppi ambientalisti, scienziati e cittadini, raccogliendo in pochi giorni più di 300,000 firme in una petizione creata appositamente per far desistere l’approvazione di un piano così sconsiderato, che secondo il parere degli esperti avrebbe portato i cinghiali a migrare verso le città per sfuggire ai cacciatori, aumentando il rischio di infezione.

 

Manifestanti contro l’abbattimento dei cinghiali

 

Come se non bastasse, proprio in questi giorni di crisi su scala mondiale, il PiS sta approfittando della situazione d’emergenza per tentare di applicare ulteriori restrizioni sulla già precaria legge sull’aborto, rimuovere l’educazione sessuale dai programmi scolastici e, in ultimo, permettere a minori e bambini di partecipare alle battute di caccia. Tutte misure proposte in un momento delicato, in cui le manifestazioni non sono possibili a causa del distanziamento sociale. Fortunatamente, nonostante le restrizioni, ci sono state numerose proteste e petizioni online per opporsi a simili proposte. È opportuno sottolineare anche che, oltre ai cacciatori autoctoni, la Polonia era ed è una meta molto gettonata per il turismo venatorio, senza contare la presenza di una forte cultura della caccia, appoggiata persino dalla tradizione clericale, di cui padre Fruscio è portavoce nel romanzo. La sua stessa omelia delle scene finali del romanzo, scrive Tokarczuk nella postfazione, è tratta da una compilazione su internet di autentiche prediche tenute da vari cappellani cacciatori.

Perché cosa si insegnava da quei pulpiti? Che vangelo predicavano? Non è il colmo della superbia, non è un’idea diabolica chiamare pulpito un posto da dove si uccide?

Il parossismo della logica della dominazione avviene proprio durante il climax del romanzo, la messa davanti ai bambini nel giorno di Sant’Uberto, patrono della caccia. Come Tokarczuk, nel corso del romanzo Janina insiste nel ribadire la propria posizione anticlericale (“Non sono cattolica.”, al che le viene ribattuto: “Non importa. Siamo tutti cattolici per cultura, che ci piaccia o no.”), contro quello che è uno dei pericoli di una religiosità fanatica, ossia l’indottrinamento dei bambini. La critica ai dogmi religiosi, del resto, è divenuta parte integrante del dibattito femminista, sia nel panorama accademico che in quello dei movimenti più mainstream. Già nel 1885, l’attivista americana Elizabeth Cady Stanton affermava che “la degradazione morale della donna è dovuta più alle superstizioni teologiche che a tutte le altre influenze messe insieme”. Senza orientarci necessariamente sul piano femminista, è innegabile che le religioni, in particolar modo quelle abramitiche, abbiano dato forma a concetti, simboli e mentalità che permangono ancora oggi nel pensiero e nelle istituzioni, e che vengano ancora utilizzati per giustificare delle prese di posizione oppressive in nome di una divinità.

La digressione di Tokarczuk su Sant’Uberto non è casuale, ma atta a palesare l’androcentrismo e l’ipocrisia di simili ideologie. Guidato dalla voce interiore di Janina, il lettore ripercorre la vicenda del santo, che si converte dopo la visione della croce di Cristo sulla testa del cervo che stava per uccidere. E allora perché un tipo simile diventa patrono dei cacciatori? Perché i suoi seguaci lo fanno patrono dello stesso peccato che giustificano e fanno ricadere su altri esseri viventi?

Nel fare appello ai cacciatori come salvatori dell’ordine naturale nel rispetto delle norme venatorie, padre Fruscio è ben consapevole di stare equiparando la legge divina a quella temporale, ed è anche grazie all’accostamento ideologico tra sfera pubblica e privata -ossia religiosa- che è possibile mantenere lo status quo su due fronti.

Ora mi era chiaro perché le torrette di tiro, che pure ricordano piuttosto le torrette delle sentinelle dei campi di concentramento, si chiamano pulpiti. Sul pulpito l’Uomo si pone al di sopra degli altri Esseri e si attribuisce diritto di vita e di morte nei loro confronti. Diventa tiranno e usurpatore. Il prete parlava ispirato, quasi in estasi: “Soggiogate la terra. È a voi, ai cacciatori, che Dio ha indirizzato queste parole, perché Dio rende l’uomo suo collaboratore affinché partecipi all’opera della creazione e affinché quest’opera sia realizzata fino in fondo.

 

Ambientalismo e deforestazione

Sfortunatamente, l’appoggio dell’autorità -non soltanto religiosa- non riguarda solo la caccia, ma anche la deforestazione. La legislazione sul disboscamento della foresta di Białowieża, sito Unesco dal 1979, è al centro del dibattito politico ormai da anni: stando alle parole del ministro dell’ambiente Jan Szyszko, a favore dell’abbattimento di alberi su larga scala, la ragione di tali misure è il combattere la proliferazione di insetti, che rischiano di degradare l’habitat naturale di molte specie della foresta. A nulla sono servite le proteste di scienziati, ecologi e della stessa Unione Europea, com’è purtroppo facilmente intuibile. Ancora nel 2016, Greenpeace si adoperò per fare quanto possibile per proteggere l’area, mettendo in guardia Szyszko e la Polonia stessa dall’incorrere in procedure punitive da parte dell’UE.

 

Proteste contro il disboscamento di Białowieża

L’importanza che la foresta di Białowieża ricopre per il territorio non è soltanto simbolica. Nei suoi centomila ettari di superficie si trovano oltre ventimila specie animali, tra cui il bisonte, e alberi di pino, quercia e frassino tra i più alti d’Europa, a costituire un ecosistema che è rimasto intatto per millenni.

Tuttavia, la legge Szyszko fu approvata ed entrò in vigore nel 2017, rimuovendo per i proprietari terrieri privati l’obbligo di richiedere il permesso di tagliare gli alberi, pagare un indennizzo o piantarne di nuovi, e persino di informare le autorità locali della rimozione degli stessi. È facile immaginare le tristi conseguenze dell’emendamento.

Forse le larve non erano bellissime, ma mi commuoveva la loro fiducia: affidavano la vita agli alberi, senza supporre che quelle enormi Creature immobili in realtà fossero fragili e per di più del tutto soggette all’arbitrio degli uomini. (…)
“Dal punto di vista della natura non ci sono creature utili e inutili. È solo una differenziazione poco intelligente adottata dagli uomini.

In risposta, a Cracovia si sollevò una protesta molto particolare sulla falsariga di quello che fu il movimento Chipko degli anni Settanta, mobilitazione delle donne indiane che, per la conservazione delle foreste, idearono una forma di dissenso non violenta atta a far luce sugli interessi economici della deforestazione in rapida ascesa. Frapponendosi tra gli alberi, abbracciandone i tronchi, e i boscaioli, riuscirono a far desistere questi ultimi e generare una forte presa di coscienza nell’opinione pubblica a livello internazionale.

Questo dissenso è incarnato dalle Madri Polacche sui Tronchi, gruppo di donne che sensibilizzano i cittadini pubblicando sui social fotografie che ritraggono loro stesse sedute sui tronchi tagliati mentre allattano i figli al seno. La fondatrice del movimento, Cecylia Malik, espresse la sua preoccupazione nel notare come ogni giorno, nella sola città di Cracovia, almeno una zona era diventata area di disboscamento. Il sindaco di Kielce, Wojciech Lubawski, si spinse addirittura a etichettare come dissidenza politica la possibilità di piantare nuovi alberi.

Fotografia di Piotrek Dziurdzia

 

A conferma di quanto criticato dalle teorie ecofemministe riassunte nei paragrafi precedenti troviamo un’altra dichiarazione di Szyszko, risalente a febbraio 2017: “Dobbiamo accettare due premesse. La prima, che è l’uomo il soggetto dello sviluppo sostenibile, per cui l’uomo ha non soltanto il diritto, ma il dovere di utilizzare le risorse naturali. La seconda, che lo sviluppo umano non sia di detrimento all’ambiente”. Ad esprimersi a favore della deforestazione incontrollata è stata anche una parte della Chiesa, sia ortodossa che cattolica, che utilizzò il passaggio della Genesi “Voi dunque crescete e moltiplicatevi; spandetevi sulla terra e moltiplicatevi in essa”. Non c’è da stupirsi che Szyszko sia anche un ospite fisso a Radio Maria, o che sia apparso a comizi e interventi accompagnato da un prete con l’uniforme da guardaboschi sopra la tonaca.

Lo stesso ruolo delle guardie forestali in Polonia è alquanto peculiare, in quanto personificazioni della stessa sacralità patriarcale a cui Janina cerca di opporsi. Oltretutto, la guardia forestale polacca è stata più volte criticata per l’atteggiamento lobbistico tenuto nei confronti del monopolio statale del legno, così come per gli enormi profitti guadagnati dal conflitto di interessi tra i proventi della vendita di legna e la protezione ambientale di facciata.

Aveva ragione la Cinerea: gli uomini sono in grado di capire solo quello che inventano da soli e di cui si nutrono. La visione di un complotto tra persone del potere provinciale, corrotto e degenerato, era in linea con quanto la televisione raccontava con godimento e i giornali scrivevano. Né la televisione né i giornali, infatti, si occupano degli Animali, a meno che dallo zoo non scappi una Tigre.

 

Conclusione

Come ribellarsi ad un presente che pare immutabile, quindi? Come può una donna eradicare da sola un sistema che poggia sulle spalle della maggioranza dei cittadini, come può mettere in discussione una superiorità dell’uomo sugli animali che quasi tutti danno per assodata? È abbastanza palese che, almeno in una vicenda circoscritta come quella del romanzo, una rivoluzione non sia possibile. Ed è chiaro anche dalle pagine conclusive, che svelano la verità sui delitti in un colpo di scena estremamente anticlimatico, specie se paragonato a quei prodromi di apocalisse dai toni del realismo magico che si prospettavano dall’inizio delle indagini. Eppure, la sua convinzione non può non fare la differenza, almeno sul lettore.

In letteratura esiste una strana legge capace di ribaltare le sorti della morale. La sconfitta dell’ideale nel romanzo ha come conseguenza il suo trionfo nella realtà. Rappresentare Janina come un personaggio dalla condotta moralmente ambigua impone una riflessione più approfondita, obbliga alla disamina delle nostre azioni e dell’orientamento etico nostro e della società intera, chiedendoci quale sia il limite che dobbiamo tracciare. Il suo è un atto di fede, un reato, una forma eroica di disobbedienza civile, o forse tutte e tre insieme?

Nella sua profondità, Janina non può, almeno sulla carta, non diventare un simbolo. La sua sensibilità mistica e animista, che la porta a vedere il mondo circostante come una rete di connessioni, flussi di vita e superstizioni, contraddistinte dalle maiuscole à la Blake, fa rivivere la fascinazione per un paganesimo che -non a caso- fu cullato dall’iniziale cultura matriarcale delle prime civiltà dell’area slava, che sommata alla concezione originaria di natura come donna, materna e temibile insieme, rende l’eccentrica e determinata Janina ben più della somma delle sue parti. Da combattente per i diritti della natura, l’eroina assurge a concetto personificato della natura stessa, ma, fortunatamente per la battaglia ambientalista, la sua influenza ha varcato i confini della narrazione.

Con la fortuna tristemente profetica del romanzo, che dopo oltre dieci anni dalla pubblicazione rimane un potente messaggio contro l’attualità, Janina è diventata un simbolo di lotta politica. In mezzo alle proteste per Białowieża, una frase in particolare attirò l’attenzione dei media: nella folla di manifestanti, una ragazza è stata fotografata con il cartello “Janina Duszejko wam tego nie daruje”, Janina Duszejko non vi perdonerà.

 

 

L’aver discusso così ampiamente di politica, di attualità, di circostanze concrete di una Polonia a cui Tokarczuk non sente di appartenere ha una certa ambiguità, soprattutto dopo le premesse dell’autrice.

Ma una dichiarazione risalente ormai al 2001 sul perché sia così difficile essere scrittori in Polonia fornisce ulteriori chiarimenti sulla questione: “Non voglio che la letteratura sia avulsa dalla vita -non sarebbe possibile- però non dovrebbe trattare se stessa strumentalmente, ovvero ridursi a commentatrice della realtà corrente: a tale scopo ci sono i mass-media e la pubblicistica. Non dovrebbe giudicare la storia (a tale scopo esistono gli storici), bensì offrirne una testimonianza tramite l’esperienza esistenziale dell’individuo. (…)
Per questo mi chiedo se oggi il compito più importante dello scrittore non sia quello di proteggere la letteratura dalla temporalità, dalla storia, dalla politica. Non perché queste costituiscano un male, ma perché sono soltanto un punto di vista, uno stato della consapevolezza valutativa che aspira al cambiamento. La letteratura dovrebbe arrivare là dove politica e storia non esistono ancora. Ovvero più in profondità. Ai miei occhi la letteratura è dunque una sorta di filosofia nell’antico significato del termine, la filosofia che si occupava della descrizione del mondo, che tentava di essere un atto cognitivo, di divenire filosofia corrente, amica dell’uomo, narrativa. Una filosofia che esemplifichi l’incredibile e l’infinita stranezza dell’esistenza umana
.”

L’immediatezza politica (utilizzando il significato di “politico” nell’accezione più quotidiana e pragmatica del termine) e la capacità del romanzo di risuonare nelle coscienze collettive non sono che l’aspetto più superficiale della forza della sua scrittura. La messa in discussione corrente di temi politici, ambientali e ideologici altro non è che la voce della necessità di un nuovo inizio su cui è bene porsi delle domande. Un inizio con premesse più eque, più etiche, che ovviamente non può nascere o manifestarsi nell’immediato, ma che ribolle da secoli nell’animo umano. La politica concreta è tutt’altro che irrilevante, ma deve essere il punto di partenza per un cambiamento morale alla radice.

Perché, nelle parole di Janina, se il male ha creato il mondo, è il bene che lo deve distruggere.

 

Janina in T pose mentre asserisce la sua dominanza su chi maltratta l’ambiente

 

 

(Una menzione speciale va a Lucia e Marco, la prima per avermi fornito alcune fonti sull’autrice; il secondo per l’aiuto nella traduzione corrente dei termini filosofici inglesi.)

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