Un antidoto alla tirannia: il discorso del Nobel di Dmitrij Muratov

L’8 ottobre 2021 è stato conferito il premio Nobel per la Pace al giornalista russo Dmitrij Muratov, uno dei fondatori nonché direttore della testata Novaja Gazeta, giornale indipendente per il quale lavorava anche Anna Politkovskaja. La preoccupazione sulle libertà individuali e d’espressione, insieme alla legge sugli agenti stranieri, sono fra i temi da lui sollevati.

 

Proponiamo qui di seguito la traduzione integrale del discorso pronunciato il 10 dicembre 2021 alla cerimonia di premiazione. Il video del discorso di Muratov è disponibile su YouTube in lingua originale. La trascrizione russa utilizzata è quella ufficiale del Premio Nobel, consultabile qui.

 

 

Un antidoto alla tirannia

 

Vostre Maestà! Vostre Altezze Reali, distinti membri del Comitato del premio Nobel, cari ospiti!

 

La mattina dell’8 ottobre mi ha telefonato mia madre, chiedendomi se ci fossero delle novità.

 

– Mamma, – le dissi, – mi hanno dato il Nobel…

 

– Bene. E poi cos’altro?

 

…Un attimo,  mamma, ora ti racconto tutto.

 

“Sono convinto che la libertà di opinione, accanto alle altre libertà civili, sia il fondamento del progresso.

 

Io sostengo la tesi dell’importanza cruciale che le libertà politiche e civili hanno nel delineare le sorti dell’umanità!

 

Sono convinto che la fiducia internazionale, <…> il disarmo e la sicurezza siano impensabili senza una società aperta, senza libertà di informazione, opinione e glasnost’ <…>.

 

La pace, il progresso, i diritti dell’uomo sono tre obiettivi legati indissolubilmente tra loro”.

 

Questo è un passo del discorso Nobel di Andrej Sacharov, cittadino della Terra e grande pensatore.

 

Questo discorso fu pronunciato proprio qui, in questa città, giovedì 11 dicembre 1975, da sua moglie Elena Bonner.

 

Ho ritenuto indispensabile fare in modo che le parole di Sacharov risuonassero ancora una volta qui, in questa sala famosa in tutto il mondo.

 

Perché è così importante per noi, per me?

 

Il mondo ha smesso di amare la democrazia.

 

Il mondo è deluso dalle élite al potere.

 

Il mondo va verso la dittatura.

 

Si è creata l’illusione che il progresso possa essere realizzato con la tecnologia e la violenza, e non attraverso il rispetto dei diritti e delle libertà dell’uomo.

 

Un progresso senza libertà.

 

Un po’ come il latte senza mucca…

 

Le dittature si sono assicurate un facile accesso alla violenza.

 

Nel mio Paese (e non solo) è diffusa l’idea che i politici che evitano spargimenti di sangue siano persone deboli.

 

Invece il dovere di un vero patriota è di minacciare il mondo con la guerra.

 

Il potere promuove attivamente l’idea della guerra.

 

I governi e i propagandisti a essi vicini sono pienamente responsabili della retorica militarista dei canali televisivi di stato.

 

Sotto l’influsso di un marketing aggressivo della guerra la gente si abitua al pensiero della sua ammissibilità.

 

Ma ho visto anche altre persone davanti ad altre TV, oneste e terribili.

 

Durante la guerra in Cecenia, c’erano cinque vagoni frigoriferi bianchi fermi sui binari di una stazione. Erano sorvegliati 24 ore su 24: si trattava dell’obitorio su rotaie del Laboratorio n. 124 del  Ministero della Difesa.

 

Nei refrigeratori erano conservati i corpi non identificati di soldati e ufficiali.

 

Molti non avevano più un volto a causa dei colpi diretti o delle torture subite. Il capo del laboratorio, il capitano di primo rango Ščerbakov, faceva tutto il possibile affinché non rimanessero soldati non identificati. Nella piccola casetta accanto ai binari c’era un televisore. Seduti sulle poltrone, come in una sala d’attesa, c’erano i padri e le madri dei soldati dispersi, e un operatore con una videocamera trasmetteva sullo schermo, una ad una, le immagini dei corpi. Una ad una. Per 458 volte. Tanti erano i militari distesi nei vagoni, a -15 gradi, nel loro ultimo treno, che procedeva lungo la tratta “Guerra – Morte”. Le madri, che per mesi avevano cercato i propri ragazzi tra i monti e le gole della Cecenia, vedendo sullo schermo il viso del proprio figlio, gridavano: “Non è lui! Non è lui!”.

 

Invece era proprio lui.

 

I nostri attuali ideologi promuovono l’idea di morire per la Patria, e non di vivere per la Patria. Non facciamoci ingannare nuovamente dalla loro televisione.

 

Le azioni militari ibride, la storia tragica e criminale del Boeing МН-17 hanno distrutto i rapporti tra la Russia e l’Ucraina e non so se le prossime generazioni riusciranno a risanarli… Tanto più se, nelle teste malate dei geopolitici, la guerra tra Russia e Ucraina ha smesso di sembrare impossibile.

 

Ma io so che le guerre finiscono con l’identificazione dei soldati e lo scambio di prigionieri. Durante la guerra cecena la “Novaja gazeta” e il nostro osservatore, il maggiore Izmajlov, riuscirono a liberare 174 prigionieri. Se adesso, nella mia nuova posizione, potrò fare qualcosa affinché i prigionieri ritornino ancora vivi alle proprie case, fatemelo sapere. Sono pronto.

 

Voglio ricordare un’altra persona che ha ricevuto il premio Nobel in questa sala nel 1990.

 

Mosca. Cremlino. 18 aprile 1988. È in corso una riunione del Politbjuro. Un ministro sovietico chiede di lasciare le truppe in Afghanistan, ma Michail Gorbačev lo interrompe bruscamente: “Smettila di stridere come un falco!”

 

“Basta stridere come un falco!”

 

Non male come programma per la politica e il giornalismo di oggi, vero? Vivere senza veder morire.

 

Ma, nel cuore dell’Europa, a ciò che succede in Ucraina orientale si è aggiunto il gioco sull’orlo della strage del presidente bielorusso Lukašenko. I suoi militari spingono a suon di mitragliatrice i profughi del Vicino Oriente verso i cordoni di mitraglieri a guardia dei confini dell’Unione Europea. Le parti si accusano a vicenda, mentre le persone, disperate, si trovano letteralmente tra due fuochi.

 

Noi siamo giornalisti, il nostro lavoro è chiaro: distinguere i fatti dalle menzogne. La nuova generazione di giornalisti professionisti sa lavorare con i big data e i database. E noi li abbiamo studiati, abbiamo scoperto di chi sono gli aerei che portano i profughi sul luogo del conflitto. Solo fatti. Questo autunno il numero dei voli bielorussi per Minsk dal Vicino Oriente è quadruplicato. Tra agosto e novembre 2020 c’erano sei voli e quest’anno, negli stessi mesi, erano ben 27. 4,5 mila persone sono state portate da una compagnia aerea bielorussa per un possibile sfondamento del confine, e solo 600 persone in nell’anno precedente. E altri 6000 profughi sono stati portati da una compagnia aerea irachena.

 

È così che vengono organizzati i conflitti e le provocazioni armate. Noi giornalisti, una volta scoperto il meccanismo, abbiamo svolto il nostro lavoro. Poi tocca ai politici.

 

Il popolo per lo stato o lo stato per il popolo? Questo è il principale conflitto di oggi. Stalin lo risolveva con le repressioni di massa.

 

Ma la pratica della tortura nelle carceri e durante le indagini continua ancora nella Russia di oggi. Crudeltà, stupri, condizioni di detenzione terribili, il divieto di visita e quello di telefonare alla propria madre nel giorno del suo compleanno, estensioni a tempo indeterminato della custodia preventiva. Prima del processo, anche persone gravemente malate vengono spedite dietro le sbarre, i figli malati diventano ostaggi e si esige l’ammissione di colpevolezza senza presentare alcuna prova.

 

Spesso, da noi, i casi penali legati a false accuse hanno un carattere politico. L’oppositore Aleksej Naval’nyj è in carcere per una falsa denuncia del direttore russo di un’importante compagnia di profumi francese. Il direttore ha sporto denuncia,  ma non è mai stato convocato in tribunale e non si è costituito parte civile… E intanto Naval’nyj è in prigione. La stessa compagnia di profumi ha preferito farsi da parte, nella speranza che l’odore di questo caso non intacchi il profumo dei suoi prodotti.

 

Sempre più spesso veniamo a sapere di torture a cui persone arrestate e incarcerate sono sottoposte. Vengono torturate per piegarle, per aumentare l’atrocità della punizione oltre i limiti della sentenza. È un’assurdità.

 

Io propongo di creare un tribunale internazionale contro la tortura con il compito di raccogliere dati sull’uso della tortura in diversi stati e parti del mondo, stabilire chi sono i carnefici e i loro padroni coinvolti in questi crimini.

Naturalmente, confido prima di tutto nei giornalisti investigativi di tutto il mondo. La tortura dev’essere riconosciuta come un crimine gravissimo contro l’umanità. Tra l’altro, “Novaja Gazeta” viene tuttora pubblicata anche in versione cartacea, affinché possano continuare a leggerla anche nelle carceri, dove non arriva Internet.

 

Oggi in Russia ci sono due tendenze contrapposte: da un lato, il presidente della Russia promuove l’installazione di un monumento per il centenario di Sacharov; dall’altro, sempre nel nostro Paese, la Procura Generale chiede la liquidazione di “Memorial”. “Memorial” si occupa di riabilitare le vittime delle repressioni staliniste. E la procura lo accusa di “violazione dei diritti dell’uomo”!

 

Voglio ricordare che “Memorial” è stato creato da Sacharov: magari, un monumento dedicato alla memoria di Sacharov morto è meno pericoloso del suo progetto ancora vivo e attivo?

 

Memorial” non è un “nemico del popolo”.

 

“Memorial” è un amico del popolo.

 

…Ovviamente noi comprendiamo che questo premio viene conferito a tutta la comunità professionale dei veri giornalisti.

 

I miei colleghi hanno denunciato le pratiche di riciclaggio e hanno restituito alle casse dello stato miliardi di rubli, scovato paradisi fiscali, fermato il disboscamento in Siberia. In risposta lo stato ha sostenuto gli sforzi di “Novaja Gazeta”, “Echo Moskvy”, “Dožd’” e di altri colleghi per curare i bambini affetti da malattie rare e che necessitano dei farmaci più costosi al mondo.

 

(Tra l’altro, spero che i rappresentanti delle industrie farmaceutiche, da cui dipende il destino di bambini e giovani affetti da malattie rare come l’atrofia muscolare spinale (SMA), vorranno sedersi con noi a una tavola rotonda. Magari investiranno del denaro in farmaci accessibili e nella diagnosi precoce; magari, la parte più ricca del mondo troverà dei soldi per alcune decine di migliaia di ragazzi e ragazze prima che sia troppo tardi per loro?)

 

Noi devolviamo questo premio per aiutare tutte le persone malate e per sostenere il giornalismo indipendente.

Quest’ultimo, però, oggi in Russia sta vivendo tempi bui.

 

Negli ultimi mesi a più di 100 giornalisti, media, attivisti e organizzazioni no profit è stato assegnato lo status di “agente straniero”. In Russia questo vuol dire essere un “nemico del popolo”. Molti dei nostri colleghi sono rimasti senza lavoro, alcuni sono stati costretti a lasciare il Paese.

 

A una persona viene negata una vita normale per un tempo indefinito, se non addirittura per sempre… Questo era già successo nella storia del nostro Paese.

 

Il prossimo anno saranno 100 anni da quando, il 29 settembre, la “nave dei filosofi” salpò da San Pietroburgo alla volta del porto di Stettino, in Germania: l’ennesima partenza con cui i bolscevichi cacciarono dalla Russia quasi 300 illustri rappresentanti dell’intelligencija. Sulla nave Oberburgermaister Haken partirono per l’esilio Igor’ Sikorskij (ing. Sikorsky, n.d.t.) il futuro inventore dell’elicottero, l’inventore della televisione Zvorykin, i filosofi Frank, Il’in e Pitirim Sorokin. Era lì presente anche il grande pensatore Nikolaj Berdjaev. Come a tutti gli altri, anche a lui fu concesso di portare con sé un pigiama, due camicie, due paia di calzini e un cappotto invernale. È così che la Patria si è congedata dai propri grandi cittadini: lasciate le vostre cose, il cervello potete pure portarlo con voi.

 

Oggi, la stessa scena si ripete con giornalisti e attivisti.

 

Adesso, al posto della “nave dei filosofi” a partire è “l’aereo dei giornalisti”. È solo una metafora, ma sono decine i rappresentanti della nostra professione che abbandonano la Russia.

 

E qualcuno è stato privato anche di questa possibilità.

 

I giornalisti russi Orchan Džemal, Kirill Radchenko, Aleksandr Rastorguev sono stati giustiziati senza pietà nella Repubblica Centrafricana, dove si erano recati per indagare sull’attività di una compagnia militare privata russa. La vedova di Orchan, Ira Gordienko, lavora nella “Novaja Gazeta”. Dal 30 giugno 2018, giorno dell’assassinio, si impegna a smascherare le bugie delle indagini ufficiali. Per farvi solo un esempio: la polizia della Repubblica Centrafricana ha bruciato gli abiti delle vittime, prove materiali preziosissime! Le indagini russe non hanno condotto ad alcun risultato. E nemmeno quelle internazionali. Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha promesso che avrebbe collaborato alle indagini. Forse se n’è dimenticato. Io glielo ricordo.

 

…Certo, come al solito, potrebbero chiedermi: e perché i tuoi colleghi ci sono andati?

 

Per testimoniare. Per avere delle prove. Per vedere di persona. Perché, come disse il grande fotografo di guerra Robert Capa: “Se il tuo scatto non ti piace, allora non eri abbastanza vicino”.

 

“E non avete paura?” – è la domanda che viene rivolta più spesso ai miei colleghi.

 

Questa è la loro missione. Mentre i governi non fanno altro che migliorare il passato, i giornalisti cercano di migliorare il futuro.

 

E questo premio va a tutti i veri giornalisti. Questo premio è dedicato ai miei colleghi morti della “Novaja gazeta”: Igor’ Domnikov, Jurij Ščekočichin, Anna Politkovskaja, Anastasija Baburova, Stas Markelov, Nataša Estemirova. Questo premio va anche ai colleghi vivi, una comunità che svolge il suo dovere professionale.

…Il giorno prima della notizia dell’assegnazione di questo premio ricorrevano i 15 anni dall’omicidio di Anna Politkovskaja. I suoi assassini hanno ricevuto delle condanne appropriate, ma il mandante dell’omicidio non è stato trovato, e il reato è caduto in prescrizione. Lo dichiaro ufficialmente: la redazione della “Novaja Gazeta” questo non lo riconosce.

 

…Sia in russo che in inglese, ma anche in altre lingue, c’è un detto: “Il cane abbaia, la carovana va”, “The dog barks, but the caravan goes on”. Di solito viene interpretato così: non c’è niente che possa ostacolare il movimento della carovana. A volte il potere lo usa per riferirsi ai giornalisti con sufficienza. Loro abbaiano, ma questo non cambia nulla.

 

Di recente ho scoperto che il detto significa esattamente il contrario.

 

La carovana va avanti perché i cani abbaiano.

 

Ringhiano e si avventano sui predatori tra le montagne e nei deserti. La carovana va avanti proprio perché ci sono loro ad accompagnarla.

 

Sì, noi ringhiamo e mordiamo. Abbiamo i canini e la presa.

 

Ma noi siamo anche la condizione necessaria di questo movimento.

 

Siamo noi l’antidoto alla tirannia.

 

P.S. Volevo ancora rubare un minuto.

 

Alziamoci in piedi e dedichiamo un minuto di silenzio a tutti i nostri colleghi reporter, miei e di Maria Ressa, che hanno dato la loro vita per questa professione, e sosteniamo chi è vittima di persecuzione.

Vorrei che i giornalisti riuscissero a morire di vecchiaia.

 

 

Traduzione a cura del Polski Kot (Anna Mangiullo, Anastasia Komarova)

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