C’era una volta la DDR: Battere i pugni sul mondo di Lukas Rietszchel

Battere i pugni sul mondo, romanzo del giovane esordiente Lukas Rietzschel, si muove nella vita di due bambini a cui fa da sfondo Neschwitz, un piccolo comune vicino a Dresda, ex Repubblica Democratica Tedesca.

 

Raccontata a partire dai primi anni Duemila, la crescita di Philipp e Tobi è tratteggiata a tinte grigie: la povertà culturale di un piccolo comune di provincia al confine polacco, la noia, i passatempi solitari in una vecchia fabbrica di refrattari abbandonata, la scuola in cui iniziano a farsi sentire i primi episodi di neonazismo. Abbandonato a se stesso e non pago di attenzioni educative che gli donino un senso, il loro piccolo mondo interiore si muove lungo la linea temporale scontrandosi con diversi problemi sociali che, incarnati dai personaggi che incrociano la traiettoria delle loro giovani vite, lo privano a poco a poco di ogni punto di riferimento.

 

C’è Uwe, l’ex collega di loro padre, sospettato di aver collaborato con la Stasi e lasciato in modo spietato da sua moglie, che vive ai margini della società e che tenterà di far parte della loro famiglia, per poi nuovamente essere lasciato da solo.

 

“Prendi Uwe” disse il capo. “È rimasto da solo perché la moglie guadagna meglio di là”. Tirò fuori dalla tasca un accendino, per abitudine strofinò il serbatoio in plastica, lo agitò e infine si accese una sigaretta. “Ieri è arrivato al lavoro ubriaco”. Il padre scosse la testa e si girò per evitare il fumo. “Se lo licenzio si ammazza”

 

Marco, un amichetto di Tobi figlio di un venditore di barrette energetiche, che fa il suo ingresso in società prima col suo corpo – descritto come grasso, ripugnante –  e poi con la sua dolce richiesta di attenzioni di bambino abbandonato davanti al televisore.

 

Marco spense la TV, si alzò e guardò fuori dalla finestra. “Che c’è?” chiese Tobi. Mentre lo osservava da dietro, e vedeva la schiena e il sedere che strabordavano dalla maglia e dai pantaloni, i capelli perfettamente pareggiati – se l’erano svignata sia il gatto sia la madre -, gli tornò in mente quando aveva raccontato a Marco che la loro casa valeva un milione di euro. Noi siamo meglio di voi. Lui non era convinto, ma Tobi aveva preteso che si togliesse le scarpe da loro e che non si sdraiasse sul divano come faceva a casa propria. Che si comportasse bene e desse del lei ai suoi genitori. Doveva dire “Grazie” e “Prego”. Essere educato e in ordine. Ora se ne vergognava.

 

C’è Felix, altro amichetto, altra storia di trascuratezza consumata in sere a casa da soli – i genitori al piccolo negozio di cartoleria – con cornflakes per cena che presto si tramuteranno nel consumo di altri viatici.

 

Tobi credeva che la famiglia di Felix fosse piena di soldi. Un’attività propria, una casetta, tutti gli anni sul mar Baltico. Ma a quanto pare era l’opposto. Felix non partecipava alle gite scolastiche, non andava al cinema a Dresda. Vedeva di rado i genitori e quando tornava a casa da scuola mangiava i corn flakes dell’Aldi. A volte anche per cena.

 

Ci sono Menzel e Ramon, gli amici di Philipp che finiranno per includere nel gruppo anche il piccolo Tobi, saranno gli organizzatori di infinite serate alcoliche in una veranda che, più che un luogo di festa, sembra l’unica alternativa a famiglie che sono il più delle volte luoghi di malessere.

 

È questa la costellazione di vite che gravita intorno alla loro e ne definisce gli orizzonti: vite che sanno di lavori manuali e violenza domestica, di una povertà che prima che materiale è sempre culturale, emotiva.

 

A fare da seconda voce alla miseria del loro mondo spirituale, si staglia il decadimento di quello esterno: periferico, invaso dai polacchi e dai sorabi, popolato da brutte storie e continui abbandoni, da fughe all’Ovest. È un mondo cui era stato promesso il benessere e che si è visto tradire da un governo tedesco ed europeo che ha teso le orecchie solo a chi era sufficientemente lontano per non far sentire loro il peso delle responsabilità disattese. 

 

“Non capisco come se l’erano immaginato” disse. “Tutto quello che ci avevano promesso”. Titolo di studio non riconosciuto, riqualificazione, riqualificazione, perfezionamento. E intanto stava lì a calcolare se potesse mantenere la famiglia con il sussidio di disoccupazione, almeno per un breve periodo.

 

Dopo una già difficile riunificazione che ha portato alti tassi di disoccupazione nella Germania Est, è la volta degli aiuti a una Grecia in crack finanziario e ai migranti, che, imperdonabilmente, vanno a occupare i pochi luoghi istituzionali che erano stati capaci di prendersi cura della generazione di Philipp e Tobi: le scuole. A scandire le tappe della loro crescita ci saranno dunque questi e altri avvenimenti cupi, che spingeranno alcuni verso la fuga (talvolta interiore, ancorata a un egoismo di ritrovato benessere economico), altri verso la violenza, che sembrerà essere l’unico modo per far sentire la propria voce a un mondo che non si è vergognato a zittirla e dimenticarla.

 

“Possiamo ancora fare qualcosa” diceva spesso la madre. Il padre che li aveva portati alla miniera di superficie. Vecchie fabbriche. Hoyerswerda, Weißwasser. Tutta quella roba collassata, abbandonata. Merda decadente, triste. Neanche una persona per strada. Vuoto e demolizioni. Ma l’importante era uscire, l’importante era fare qualcosa. Una volta questo, una volta quello.

 

Tobias arricciò il naso. Le scuole che chiudevano, le casse di risparmio e gli studi medici. I circondari che venivano accorpati, i comuni e le città. Le strade diventavano più lunghe, le distanze più ampie. Per la Grecia i soldi erano saltati fuori, e anche per le tangenziali inutili. Superstrade che non costringevano più nessuno ad attraversare luoghi deprimenti. Tobias si chiedeva cosa fosse nato prima. Le strade che aggiravano i paesi e ne decretavano lo svuotamento. O i paesi vuoti che tutti volevano bypassare. […]

 

Scheenberg alla TV. I primi a scendere in strada. Tobias non sentiva bene le note dell’inviato. Sperava di vedere i nonni. O magari lo zio, che lavorava lì per la Diakonie. Tobias rise del pagliaccio dei Verdi che veniva intervistato in qualche stanza. Uno sbruffone con la laurea. La parete tappezzata di libri. La vita umana di qua, salvare gente di là. Fanculo, voleva urlargli. La piazza del mercato era piena. Anche a Neschwitz si sarebbero dovuti radunare così tanti cittadini quando fosse arrivato il loro turno. Nemmeno un politico nel raggio di chilometri che affrontasse le masse. Se ne stavano rintanati in casa, comodi e al calduccio. Mercedes come auto di servizio. In tutta la vita non avevano mai lavorato con le mani.

 

Battere i pugni sul mondo si inserisce nella tradizione letteraria della (post) Repubblica Democratica Tedesca come un suo triste epilogo: lì infatti vengono riassunte e portate a compimento le anime di un passato che, pur sembrando ormai superato e concluso, è ancora estremamente presente, soprattutto nei suoi effetti.

 

I primi sforzi di raccontarlo si ebbero intorno agli anni ‘50 con la prima corrente letteraria dell’Est, l’Aufbau, che, come lascia presagire il nome, si incaricava di dare un’identità – il più possibile solida e prestigiosa – alla neonata Repubblica Democratica Tedesca, dopo che il suo popolo aveva subito una pesante disumanizzazione in seguito alla devastazione della Seconda guerra mondiale. I suoi autori, fra cui spiccano i nomi di Becher, Brecht, Seghers e Heym, si proponevano di creare una nuova letteratura che fosse al tempo stesso radicata nella tradizione tedesca e in grado di riflettere la nuova realtà della DDR. Nel tentativo di creare un ponte tra il passato e il presente, si concentrarono sul rappresentare la realtà del Paese nei suoi aspetti più minimi e personali, dando voce a quelle caratteristiche identitarie e politiche che avrebbero dovuto fondare il nuovo stato. Il loro era un mondo intriso di speranze e di sacrifici in vista di un futuro davvero inedito, in cui i sogni sono sempre comuni.

 

All’Aufbau seguì l’Ankunftsliteratur, che descriveva l’arrivo degli immigrati provenienti da altri Paesi del blocco socialista poi stabilitisi nella DDR. Spesso e volentieri questa venne utilizzata dal regime socialista per promuovere la sua ideologia, enfatizzando internazionalismo e solidarietà tra i popoli. Tuttavia, oltre alla propaganda, i suoi autori danno spazio anche alle esperienze personali degli immigrati, alla loro lotta per integrarsi in una nuova cultura e alle difficoltà della vita nel mondo socialista. Difficoltà a parte, però, l’idea che questo nuovo mondo potesse crollare e risolversi in illusioni e devastazione non sfiorava nessuno. 

 

Può sembrare lontanissimo, infatti, l’universo grigio e pieno di sacrifici di Christa Wolf, in cui la vita era subordinata e fatta aderire agli ideali della comunità, a sogni sempre aventi la lettera maiuscola, a un futuro che – pur da realizzare con rinunce personali, violenze, paure, e fatiche quasi inumane – era sempre dietro l’angolo della strada, lì per essere raggiunto con pochi balzi decisi. Ma, invece, caduta l’illusione e concretizzatasi l’impossibilità di un’utopia retta su inganni e malfunzionamenti, ecco cosa ne rimane. La rabbia e la disperazione di una generazione, anzi, di più di una, che ha ubbidito, seguito le regole, inneggiato al socialismo e annientato i propri ideali personali per quelli collettivi, per poi scoprire che si era dissolto come una leggiadra bolla di sapone, senza che ne venisse conservato nemmeno il lustro. 

 

È un mondo in cui c’è un passato che non passa. E che sa di tessuto economico sfibrato, di organizzazione politica e sociale inefficace, di inserimento nel capitalismo disastroso. E, nella dimensione più intima, di una vita fatta di ristrettezze e dolori che non trova più una cornice di senso in cui farli valere – perché il socialismo, nel mondo moderno, non riesce più a essere compreso, talvolta anche riconosciuto, così come non vengono comprese le storie di chi lo ha vissuto e i duri sacrifici che hanno costellato le loro vite. 

 

Scritto con uno stile crudo e scandito da ricordi che affiorano alla mente in sequenze discontinue e frammentate, il romanzo riesce a restituire il dramma di una realtà europea che si allontana pericolosamente dai suoi ideali di stabilità e benessere, ricordandoci quanto i semi del disagio sociale siano sempre lì pronti a dare il loro frutto di violenza. Battere i pugni sul mondo è sicuramente tra i romanzi tedeschi più incisivi degli ultimi anni e il suo autore, complice la giovane età, avrà a lungo la possibilità di raccontare l’Europa e le nostre vite attraverso la sua sensibilità sincera e senza sconti, togliendoci la possibilità di dimenticare che tutto il malessere nascosto sotto il tappeto torna e tornerà sempre a bussare alle nostre porte. E senza guanti bianchi.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *