Dai selvaggi anni Novanta agli stabili anni Duemila: protagonisti, eroi e outsiders

C’è una canzone di Liza Monetočka, 90, che riesce a rendere belli e romantici persino i lichie devjanostye; in particolare c’è una frase che dice “negli anni Novanta uccidevano le persone e tutti correvano completamente nudi”. Questo frammento ci aiuta a ottenere una delle diverse chiavi di lettura del mood generale di quel periodo che stiamo riportando in auge su Estranei e che stiamo provando ad analizzare a 360 gradi, per creare una piccola antologia della storia, della cultura e degli attori sociali che hanno reso questa decade fondamentale da molti punti di vista.

 

Affrontare un qualsiasi discorso che abbia come tema gli anni Novanta polarizza i russi proprio perché ognuno ha una percezione molto diversa: c’è chi ne apprezza la libertà in ambito artistico e sociale, chi si è arricchito ai limiti dell’impossibile, chi invece ha perso quelle sicurezze e quella stabilità che il sistema sovietico assicurava al cittadino. In virtù di ciò, ci troviamo davanti a una situazione che non può avere una lettura univoca.

 

Tralasciando le motivazioni storiche ed economiche che hanno causato la transizione verso l’economia di mercato, vediamo da vicino come era composta la società del tempo e quali personaggi popolavano le città.

La crisi economica che investì la Russia in quel periodo fu talmente forte da causare una ondata massiccia di disoccupazione che coinvolse la maggior parte della popolazione più giovane che, a causa della mancanza di denaro e di prospettive lavorative, era costretta a compiere piccoli crimini che resero le carceri sovraffollate. Vivendo senza nessun tipo di controllo, allo sbaraglio e guadagnandosi da vivere con attività illecite, non era raro che i giovani trovassero una forma di protezione presso le varie bande criminali (in russo ОПГ, Organizovannaja Prestupnaja Gruppa – gruppo criminale organizzato) che si stavano formavano in quegli anni. Fu proprio così che questi piccoli gangster trovarono un’identità molto forte grazie all’unione che fornivano le cosiddette bratva (fratellanze), al cui interno ogni bratok (fratellino) svolgeva un ruolo ben preciso.

 

L’identikit del bratok “entry level” era molto semplice ed è quello che viene in mente a ogni persona che prova a immaginarsi un criminale di quel periodo: capelli corti, pantaloni della tuta, giacca cremisi (il malinovyj pidžak). Il tutto arricchito da un corredo kitsch di oro che andava dai bracciali alle collane, dalle croci al collo alle catene dorate. A primo impatto non trasmettevano una sensazione di paura o di timore proprio perché erano degli esempi di trash ambulante; il loro tratto caratteristico era un pessimo gusto per la moda, per la volgarità e per quegli oggetti appariscenti grossolani che spesso e volentieri compravano in boutique di alta moda come Versace. I tratti psicologici di questi bratki erano fondamentalmente la brutalità immotivata, la spietatezza e l’assenza di qualsiasi etica che li guidasse.

 

 

Foto da una festa a tema anni Novanta. La foto non è originale d’epoca, ma il mood sì

 

 

In quegli anni si diffusero due parole nel mondo dei media per poter parlare di questa situazione: la prima era otmorozki, che indicava questi criminali (spesso drogati) senza alcun tipo di scrupolo, in grado di uccidere per un nonnulla, mentre la seconda, bezpredel, “senza limiti”, descrive il modus operandi di questi gruppi. Non bisogna dimenticare che era normale all’epoca ricevere visite da parte di queste bande (spesso in casa) e ci si poteva aspettare di tutto: da minacce a punizioni pesanti che si concludevano non di rado con uccisioni e pestaggi. Questi gruppi erano legati a sentimenti di tipo nazionalista e religioso; infatti, le gang cittadine erano divise tra “slavi” e “caucasici” (spesso ceceni), e la rivalità si rifletteva anche in un sentimento ossessivo di rispetto per la chiesa ortodossa e per la religione. Non era raro infatti svolgere attività criminali, uccidere e compiere reati e, allo stesso tempo, confidarsi con i preti, andare in chiesa e pregare.

 

I gangster si confrontavano spesso con i cosiddetti vory v zakone (ladri nella legge), che in qualche modo erano i predecessori dei gangster moderni: guidati dal rigore e dalla sobrietà, rappresentavano tutto il contrario di ciò che erano i membri delle bande degli anni Novanta e proprio a causa di queste differenze ideologiche spesso si sfociava nelle lotte che hanno caratterizzato tutta la decade e i primi anni duemila.

 

Da un lato c’erano le vecchie generazione di criminali, dall’altro i bratki che adoravano il lusso, il kitsch e il glamour, che divenne una prerogativa di quel nuovo ceto che i giornalisti definirono “nuovi russi”. Questo nuovo strato sociale aveva un background diverso proprio perché composto da personaggi che si muovevano all’interno del nuovo mondo capitalista tra investitori, PR, broker, promoters: era un caleidoscopio di nuove professioni, lusso sfrenato, cattivo gusto e rampantismo. I nuovi russi erano guidati dal materialismo militante. Si potrebbe fare una generalizzazione definendoli come i belli e dannati della decade; erano persone di successo, divertenti, avevano una bella vita e uno sdegno per tutte quelle persone “normali” che nella vita si erano accontentati di poco e non avevano osato abbastanza per poter uscire dal branco ed elevarsi a imprenditori rampanti in grado di trarre profitto da ogni dove.

 

In un contesto in cui il capitalismo criminale dilagava ovunque e il ceto sociale egemone era questo dei nouveaux riches, la società subì una modifica radicale: l’intelligencija, che per anni era stata il fulcro della società sovietica, si ritrova costretta a dover emigrare per poter trovare fortuna e riconoscimento all’estero, dall’altro lato invece la popolazione che non era immischiata in nessun tipo di attività commerciale e imprenditoriale si era ritrovata senza nessuna via d’uscita. A tal proposito, furono proprio le generazioni più giovani a unirsi ai cosiddetti Mit’ki.

 

 

 

 

Per spiegare la storia questo termine bisogna andare indietro nel tempo, nel 1984, anno in cui Vladimir Šinkarëv pubblicò la sua opera Mit’ki. Il personaggio principale del libro era Dmitrij “Mitëk” Šagin, che era un personaggio realmente esistente, un pittore che fluttuava tra “la tenerezza al limite dell’idiozia e lo sconforto sentimentale”. Il libro diventò un manifesto di un’intera subcultura, i cosiddetti Mit’ki, che erano membri del mondo artistico. Intorno a loro si formò un movimento sociale ed estetico che aveva riscontri nelle belle arti, nella prosa, poesia e stile di vita. Principi fondamentali di questa subcultura erano la gentilezza, l’amore un po’ lacrimoso per il prossimo, la compassione, l’estrema semplicità nel parlare e nel modo di vestirsi (iconica era la teležka, la maglietta da marinaio a righe bianche e blu) e l’amore per il consumo smodato di alcolici.

 

Nel tempo questo movimento fu abbracciato da molte persone, tra le tante anche Boris Grebenščikov. I Mit’ki erano infatti una risposta a quell’ondata di arrivismo e di dinamismo economico aggressivo del periodo, si contrapponevano con fermezza a quella mentalità e spesso affermavano: “Siamo perdenti, non abbiamo molti soldi, nessuno ha paura di noi e non vogliamo essere migliori di nessun altro. Ma siamo felici, amiamo tutti e ci sentiamo meglio rispetto a voi predatori paranoici!”.

 

Purtroppo, questo movimento a tratti romantico terminò nella metà degli anni Novanta proprio perché la figura del mitëk non aveva più ragione di esistere, e in contemporanea si svilupparono nuove figure che dominavano la scena culturale dell’epoca. Gli anni Duemila non iniziarono nel migliore dei modi. L’umore generale oscillava tra delusioni per la transizione economica, povertà e invidia. Una persona in particolare fu in grado di fissare su pellicola questa malinconia di inizio millennio: il regista Aleksej Balabanov, con i suoi due Brat e il ciclo del banditskoe kino (cinema dei banditi). In questi film la popolazione riuscì a vedere delle nuove figure di criminali, nuovi eroi e nuovi nemici: da un lato i poliziotti corrotti, i ladri, i ceceni, gli ucraini (tipi umani visti come antagonisti della società), dall’altro invece Danila Bagrov, che si batte per la giustizia e per la verità.

 

 

 

 

L’uscita di questi film coincide con l’aumento dei partiti di matrice nazionalista. Alla fine degli anni Novanta c’erano solo tre partiti: Unità nazionale Russa, il partito nazionale Bolscevico e quello di Žirinovskij, mentre in seguito sorsero numerose realtà politiche che avevano lo stesso terreno ideologico. In un clima simile si accentuarono le questioni nazionaliste e le motivazioni furono sostanzialmente legate all’arrivo dei nuovi migranti dalle regioni povere dell’Asia Centrale, all’aumentare degli attacchi terroristici da parte della comunità cecena e inoltre al deterioramento dei rapporti della Russia con i propri ex Stati membri. L’arrivo in Russia di queste persone dalle più svariate zone dello spazio post-sovietico non aveva fatto altro che accentuare questo sentimento xenofobo, tanto che si svilupparono ulteriori partiti politici e gruppi neonazisti come ad esempio Schultz 88, Mad Crowd, White Society 88 e l’organizzazione combattente dei nazionalisti russi. Agli antipodi invece si collocavano gli antifascisti, le cui fila erano occupate dagli anarchici e dagli estremisti di sinistra.

 

Ritornando ai due Brat, possiamo vedere come vengono rappresentati i vari tipi sociali di cui abbiamo parlato in questo articolo. Con le sue raffigurazioni schiette e brutali viene annullato il mito del gangster come una personalità tragica e affascinante e diventa una persona cruda, fuori da ogni quadro morale.

 

L’immagine dell’eroe principale subisce un cambiamento nel tempo e nei diversi film; l’opposizione resta quella tra i film girati negli anni Novanta (e sugli anni Novanta) e quelli girati nel Duemila (ma ambientati negli anni Novanta). Il fratello di Danila Bagrov, l’attore Viktor Suchorukov, subisce una trasformazione radicale all’interno dei diversi film: nel primo ha l’aria di un grandissimo gangster, di un uomo forte e potente, un vor v zakone. Nel secondo film il suo aspetto cambia, diventa ancora più grottesco e viene in qualche modo ridotto a pura figura, senza nessuna forma di eroismo e senza nessun atteggiamento positivo, così come era nella prima pellicola della dilogia di Brat. Gli altri banditi di Brat vengono sempre rappresentati in maniera periferica e marginale, proprio perché l’intenzione del regista era quella di mostrare la realtà senza alterare in alcun modo l’azione scenica, e senza rendere eccessivamente caricaturali questi personaggi e queste figure sociali degli anni Novanta.

 

Passando invece a Brat 2, girato a distanza di qualche anno dal primo, si può notare in che maniera vari la rappresentazione delle figure di questi personaggi potenti e influenti all’interno del panorama sociale della nuova Russia: Belkin, ad esempio, è il fondatore di una banca e il direttore di una scuola privata. Nel film ricopre il ruolo di un importante magnate, proprietario e direttore di importanti attività che però resta sempre legato all’ambiente del banditismo.

 

 

 

 

La caratteristica da notare è la sua raffigurazione: non è più rappresentato in maniera caricaturale così come gli altri protagonisti di Brat. In particolar modo, vale la pena notare (anche considerando l’arredamento in stile impero del suo studio e della sua abitazione) che non è un reietto che proviene dai lati più marginali della società: il personaggio sembra ormai essersi ben inserito nel panorama economico e sociale, e il suo obiettivo è quello di aumentare la propria ricchezza e sviluppare in maniera sostanziale il proprio business. Era questa la realtà dei fatti negli anni Duemila, quella di grandi capitani d’impresa che erano riusciti a diventare dei personaggi ben affermati con le spalle coperte a causa della diffusione dell’illegalità anche all’interno dei contesti politici ed economici. Se prendiamo in esame un altro film di Balabanov, Žmurki, è possibile vedere come l’immagine dei gangster e dei banditi venga ulteriormente deteriorata e resa grottesca: non si vedono più gangster che sparano a sangue freddo e senza scrupoli, bensì personaggi caricaturali che suscitano il riso nello spettatore.

 

Il ciclo del banditskoe kino si conclude in qualche modo con Žmurki, perché fa del banditismo (e della tematica generale degli anni Novanta) motivo di ironia: bisogna capire che nel 2005, anno di uscita del film, ormai si poteva ridere di questa tematica proprio perché ormai in Russia non esistevano più situazioni simili. Le organizzazioni criminali e le scorribande per la strada erano state già eliminate dallo Stato russo attraverso le numerose leggi e le riforme che erano state introdotte: proprio perché il regista si trovava all’interno di un periodo storico completamente diverso e proprio perché non esisteva più quella realtà, era possibile ridere e parodiare quel mondo criminale che per l’intera decade aveva dominato il panorama storico della Russia. Centrale per l’analisi del periodo è proprio il finale del film di Žmurki, che ci riporta nell’anno 2005: da banditi, i due protagonisti si sono trasformati in deputati della Duma di Stato e siedono su delle poltrone davanti a una finestra grande con la vista sul Cremlino.

 

Dopo il grande excursus sui lichie devjanostye, la storia ritorna nei sytye nulevye (i ben nutriti Duemila), il tempo in cui si trovano gli spettatori, i registi e gli attori e si capisce che non c’è una contrapposizione che si basa sull’idea di dell’ “allora non c’erano leggi, ora sono apparse”, bensì proprio dalla mancanza di legge, del sangue e del grottesco degli anni Novanta sono nati gli anni Duemila: la conclusione di ciò è che i banditi si trovano non più nelle strade, ma sono entrati a far parte della leadership politica e dei potenti della nazione.

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